Ciascuno di noi nasce con una certa dotazione biologica che, all’inizio, non garantisce da sola la sopravvivenza del singolo individuo. Col progredire dello sviluppo le cose non cambiano molto e anzi, la specie umana si caratterizza, nel regno animale, per l’ampia durata della fase di accudimento e crescita genitoriale; qualsiasi altro animale, nel giro di un paio di anni al massimo, si rende indipendente dai suoi genitori e vive (o meglio impara a vivere) da sé. Molti dicono che questo avviene perché siamo la specie animale più evoluta del pianeta grazie al nostro uso del linguaggio e delle relazioni sociali che ci danno il permesso di manipolare la natura a nostro piacimento in modo da vivere (o meglio sopravvivere) più a lungo e in sicurezza di qualsiasi altra specie animale.
Ma come fa un neonato a diventare un adulto? Apprende, o per dirla meglio si istruisce!
Ogni specie animale ha scommesso sullo sviluppo di un particolare organo o apparato nel corso della sua evoluzione: i canidi hanno un olfatto sopraffino, i felini la vista e così via; l’essere umano ha puntato sullo sviluppo del cervello, un organo nascosto e ben protetto del cranio che non da vantaggi immediati come, ad esempio, zampe forti o artigli affilati ma, nel tempo, ci fornisce la capacità di adattarci e modificare l’ambiente circostante meglio di quegli animali che hanno puntato su altri organi. Benché ipercomplesso e ancora da comprendere appieno, il cervello funziona seguendo vari principi e secondo diversi meccanismi alla cui base vi è il principio dell’economia, riassumibile nella massima di ottenere il miglior risultato con uno sforzo minimo, e il meccanismo dell’apprendimento. Quest’ultimo è un processo mentale che Jean Piaget, psicologo vissuto nella prima metà del ‘900, ci insegna che avvenga tramite due meccanismi: assimilazione e accomodamento. Per farla breve, dal momento in cui emaniamo il primo respiro a quello in cui esaliamo l’ultimo, catturiamo informazioni sul mondo che ci circonda (assimilazione) e le integriamo con quelle prese in precedenza (accomodamento) in modo da crearci degli schemi utili ad ottenere ciò che ci serve, dal latte materno al lavoro allo svago.
Ok, e allora a cosa serve l’istruzione se per natura siamo votati all’apprendimento? Serve ad evolverci!
Questo meccanismo dell’apprendimento, così come ce lo spiega Piaget, funziona per tutta la vita, ma c’è un periodo in cui funziona alla grande per formare la base delle conoscenze su cui creare le strutture mentali più evolute: dalla nascita all’ingresso nell’età adulta. Durante questa fase il cervello è peggio di una spugna, si impregna di qualsiasi sapere gli venga incontro e si ingrandisce come se dovesse farlo all’infinito. E difatti i ragazzi percepiscono che questo potere di assorbire la qualunque non finirà mai, sebbene questa percezione svanisca nel momento in cui il cervello, alter-ego concreto del concetto di “mente”, arriva a maturazione completa di una specifica parte, quella che serve a bilanciare l’impulsività con la logica e la razionalità. Da quel momento in poi noi non siamo più cuccioli di uomo, diveniamo adulti; fino ad allora abbiamo avuto bisogno di qualcuno e qualcosa che ci aiutasse ad apprendere e che, più o meno consapevolmente, ci facesse da guida. Con qualcuno mi riferisco a tutte le figure che si sono prese cura di noi (genitori e parenti, prima, amici e insegnanti, di mestiere e/o per vocazione, poi), con qualcosa intendo, invece, l’istruzione.
L’istruzione si può definire come quella zona di sviluppo prossimale tanto cara ad un altro psicologo, Lev Vygotskij, la cui funzione principale è quella di dare la possibilità a chi ne fa uso di accrescere le proprie competenze meglio di come si farebbe senza di essa: una sorta di catalizzatore dell’apprendimento piagetiano naturale citato prima. Lo psicologo russo riteneva che un bambino imparasse di più e meglio se, di fianco a lui, vi è una figura che lo incita a fare qualcosa di appena più complesso delle sue reali capacità, una guida. E a scuola e nei luoghi ad essa assimilabili (vedi a casa, all’università o “miezz’ a via”) si fa questo: ci si sceglie una guida o un modello che ci fornisce input appena al di fuori delle nostre conoscenze del momento così da implementare i nostri modi di fare e le nostre conoscenze sul mondo. Ognuno sceglie la sua strada, c’è chi preferisce andare lungo traiettorie prestabilite e chi, apparentemente, rifiuta l’istruzione e si istruisce nella ormai famigerata “università strada”, passando per le innumerevoli strade intermedie fatte di ribellioni, bocciature e lauree con lode.
Gli esami non finiscono mai! Il grande Eduardo ci ha scritto un libro su questa massima e questa verità non finirà mai di essere tale: il tempo degli esami non finirà mai, ma quello dell’istruzione sì. Perché d’istruzione si cresce, in modi più o meno consapevoli, e ci si può vivere (e a dirla tutta c’è un periodo della vita, quello della terza e ormai quarta età, in cui è la vita stessa, perché acquisti di nuovo significato, a dare il compito di istruire le nuove generazioni con i saperi e, ancor di più, con la saggezza), ma si potrebbe anche rimanerci impantanati dentro e, lentamente, morire nell’indecisione su cosa farsene. L’istruzione ha, dunque, un suo tempo e un suo spazio, mancandone uno o entrambi si diventa adulti e non ce ne si rende conto.
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