Cara Fabiana,
questa è la prima di una lunga serie di lettere dirette a te, o meglio a quella parte di me che ho lasciato a Napoli. Lo faccio per mantenere un contatto, per cogliere le sfumature della mia vita, per non dimenticare certe cose. Insomma, oggi do avvio a una sorta di psicoanalisi fai da te. Non fatelo a casa.
Beh, che si dice laggiù? Qualche giorno fa, mi hanno consegnato la mia seconda tessera elettorale: sono ufficialmente un’elettrice parmigiana. E così mi è venuto da pensare a quella volta in cui ho ricevuto la mia prima tessera elettorale e sai cosa ho ricordato? Niente. E non perché l’età avanza – in effetti sono passati ben tredici anni – ma perché a diciotto anni si ha una consapevolezza diversa rispetto al diritto che si sta acquisendo; magari, quella mia prima volta non l’ho vissuta neanche io, ma mia madre che avrà ritirato la tessera e riposta in un cassetto.
Ricordo, invece, perfettamente il momento in cui mi sono patentata, l’entusiasmo provato. Esibivo per la strada quella card rosa come un trofeo, la conquista dell’indipendenza: finalmente avrei avuto un’automobile, sarei potuta andare dove mi pareva. Non mi sarei mai sognata di sventolare la mia tessera elettorale, neanche mi passava per l’anticamera del cervello che si trattava del potere di partecipare alle decisioni sulla vita dello Stato in cui vivo.
Quella consapevolezza, anche se ancora in fase embrionale, sarebbe arrivata durante la mia prima volta in un seggio elettorale. Lì sì che si sente l’entusiasmo e anche il peso della responsabilità che comporta esprimere il proprio pensiero. Non so gli altri, ma ancora oggi, benché possa avere le idee chiarissime sul mio voto, prima di esprimermi vengo presa da un pizzico di incertezza che mi porta a leggerla tutta quella scheda elettorale, a rivalutare un’ultima volta tutte le opzioni. Credo che questo avvenga perché il mio voto conta, anche se non cambierà nulla. Non trovi straordinario – e per certi versi cinematografico – che il potere di cambiare le cose sia racchiuso in una matita e un foglio di carta?
Se ora fossi a Napoli ti chiederei di recuperare la vecchia tessera elettorale giusto per contare quante volte fino ad oggi ho utilizzato questo superpotere. Certo votare non è sempre un’esperienza facile. Ci possono essere periodi bui per predisposizione personale o per come girano le cose nella vita pubblica che costringono l’entusiasmo a farsi da parte e a lasciare spazio allo sconforto, alla delusione o, perché no, alla frustrazione.
C’è il diritto di voto e il diritto di non votare. In questo caso si parla di astensionismo, da non confondere con il voto di protesta che implica il recarsi al seggio e lasciare la scheda bianca. Nel primo caso non hai votato, nel secondo lo hai fatto a tutti gli effetti. A tal proposito come non fare riferimento al libro Saggio sulla lucidità di Josè Saramago. Lo abbiamo letto qualche tempo fa, ricordi? Lo scrittore portoghese racconta di quella volta in cui tutti gli abitanti di una città senza nome si recarono in massa alle urne per votare scheda bianca come gesto rivoluzionario verso una politica in cui non si riconoscevano più. Provocatorio quell’atto, provocatorio lo scrittore stesso.
Gli ultimi dati Istat[1] aggiornati alle elezioni politiche del 2018 confermano per quanto riguarda l’affluenza alle urne un andamento di decrescita registrato nelle tornate politiche dalla fine degli anni ’80. Emerge, inoltre, che solo una quota di popolazione limitata partecipa direttamente alla vita politica (il 3,8% partecipa a comizi, il 3,5% prende parte a cortei), mentre più ampia è la fetta che partecipa indirettamente (il 71,9% si informa di politica, il 64% ne parla). Il 26,8% delle persone, dato in aumento rispetto al passato, non è per niente interessata alla politica.
Viene da chiedersi se recarsi al seggio ed esprimere il proprio voto sia da considerarsi un gesto non rivoluzionario.
Ad ogni modo, questa settimana si vota. Qui a Parma si voterà solo per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, lì da te anche per le elezioni regionali. Ho fatto due passi per le strade del centro storico della città e non mi sembra si respiri nessuna aria particolare. E per quelle stesse stradine contornate da piccoli palazzetti dalle finestre colorate ho immaginato come deve essere Napoli in questo momento. Così mi si è materializzata davanti agli occhi quella distesa di metallo con sopra appiccicati manifesti elettorali che puntualmente pendono da un angolo. Non so se nei periodi elettorali quegli stessi pannelli si usino in tutte le città, ma ricordo che guardarli distrattamente mentre si corre a lavoro o si è bloccati nel traffico poteva anche essere d’ispirazione. La varietà di personaggi e maschere, gli slogan fantasiosi o raccapriccianti e le promesse spesso da marinaio, qualche volta mi strappavano un sorriso.
Cara Fabiana, ho brutte notizie: quest’anno non potrai votare lì a Napoli, ne hai perso il diritto. Posso io, però, che – non prenderla a male – sono un po’ più consapevole di te, un po’ più rivoluzionaria.
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