
Tempo di elezioni, di corsa alle urne!? Forse sì, forse no!
Referendum, regionali e comunali: la prossima turnata elettorale vedrà coinvolti tutti i cittadini italiani benché a diversi livelli. Quello del voto, per esprimere la propria opinione sull’approvazione o meno di una modifica costituzionale o per eleggere i propri rappresentati al comune o al consiglio regionale, è una questione a cui ognuno di noi sta volgendo il pensiero, anche chi non si recherà alle urne. Difatti, prima dell’appartenenza politica o della preferenza costituzionale, l’individuo sceglie innanzitutto se utilizzare il proprio diritto di voto o astenersi per ogni votazione a cui è chiamato a rispondere.
Ma cosa c’è da scegliere?
La domanda potrebbe apparire retorica da cui, dunque, potrebbero derivare miliardi di risposte all’insegna di un’ideologia politica piuttosto che di educazione civica; ci si potrebbe addentrare nel mondo delle motivazioni riferite alla propria scelta (non ho tempo, per la mia idea non c’è spazio tra quelle proposte, non mi sono istruito abbastanza sull’argomento, sanno solo fare promesse elettorali). Qui invece vorrei concentrarmi sui meccanismi psicologici che rendono conto della scelta di tutti, votanti e astenuti.

La risposta (pre-retorica) me l’hanno fornita il caro Sigmund Freud con i suoi “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” e “Totem e tabù” insieme ad un altro psicoanalista, Wilfred Bion, autore di una tra le più affermate teorie dei gruppi in psicologia. Partendo da queste basi mi è possibile affermare che l’essere umano tende a vivere circondato da suoi simili per gli stessi motivi profondi che spingono altri mammiferi a riunirsi in branco: la sensazione di protezione. La massa è un particolare tipo di branco umano al cui interno si vengono a creare dei “movimenti mentali” specifici per ciascuna di esse: questi fanno capo a tre forme di pensiero che sono condivise indistintamente da ogni componente. Ci sono masse sorrette dal pensiero che “insieme creeremo qualcosa di fantastico che migliorerà il mondo”, ce ne sono altre che “dobbiamo difenderci dagli attacchi costanti del mondo esterno” e altre, infine che “l’unione fa la forza perché senza unione non c’è vita” (che poi, alla fine, in ogni gruppo, o massa, possono venir fuori tutti e tre questi assunti di base, in tempi distinti ovviamente). Ogni individuo che fa parte di una massa non ha la consapevolezza di essere guidato da questi pensieri, tant’è che al di fuori di essa può comportarsi in modo diametralmente opposto a quando si riunisce in gruppo; questo scenario è accompagnato da una tensione infinita e perennemente irrisolta tra l’istinto di autoaffermazione (quello che muove, dal profondo, la voglia di lasciare una traccia nella storia con le proprie gesta) e quello di annullamento (quello che ci conduce a spendere la quantità minima di energie per sopravvivere fino a delegare ogni forma di pensiero e decisione nella mani di qualcun altro relegando sé stessi nel ruolo “pecora del gregge”).
Va senza dire che tensioni e movimenti mentali possono essere più o meno espresse. In conclusione, si può dire che andare a votare può rispondere all’esigenza di assecondare di più un istinto, “perché andare a votare significa esprimersi e contribuire al mantenimento della cosa pubblica”, o l’altro, “perché tanto non cambierà nulla, mi affido alla maggioranza”. Ciascuna di queste due forme di pensiero, tuttavia, rimanda a una scelta che si rinnova fin dalla preistoria dell’umanità.

Si narra (o meglio, Freud narra) che i primordiali istinti di riunione in gruppi portarono al comando l’individuo più feroce, quello che meglio sapeva tenere sotto scacco la massa. I membri del gruppo, allora, si ribellarono e decisero di dare in pasto alle belve selvagge il leader primordiale, arrivando a tale decisione dopo aver concluso che la gravità dell’omicidio era giustificata dalla totale impossibilità di espressione individuale a cui il leader tiranno aveva portato la massa. La solennità di una tale decisione venne simboleggiata con l’elezione dell’animale divoratore a totem del gruppo e con l’istituzione del tabù che vietava l’omicidio all’interno del gruppo. Il gruppo primordiale allora si evolse e prolificò, ampliandosi per numero e per varietà di individui; tale ampliamento portò alla distinzione, fra le varie, in base al grado di partecipazione alla vita pubblica, contrapposta a quella privata. L’andamento di un gruppo non è lineare ma ciclico e ripetitivo e, per questa legge a cavallo tra la fisica e le scienze umane, venne a costituirsi un sottogruppo di individui che preferivano il ritorno del tiranno, alla luce dell’evoluzione che nel frattempo era scaturita dalla sua uccisione, così da delegare ad un solo capo ogni decisione che riguardasse il pubblico, l’intero gruppo, in modo da eliminare ogni sforzo e tensione tra le dimensioni pubblico e privato e giovare di un infinito nonché ideale dolce far nulla. Chi sceglie di andare a votare decide di partecipare alla vita pubblica e prova a lasciare un segno del suo passaggio in paese, nella regione o nella nazione; chi non ci va, invece, ci rinuncia, mosso dal “movimento mentale inconsapevole” del ritorno al tiranno, in attesa di godere della chimera del dolce far nulla.
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