Come spesso accade quando qualcosa scuote l’opinione pubblica, e qualche volta anche la coscienza collettiva, ci ritroviamo ad essere sommersi dai pareri più differenti, ma soprattutto ci ritroviamo in balia di tantissime opinioni di sedicenti sociologi e/o criminologi pronti a spiattellare in prima serata qualche polverosa teoria messa a nuovo per l’occorrenza.
Niente di più lontano dalle nostre realtà potremmo pensare, se non fosse che in realtà piccole come le nostre la scossa all’opinione pubblica prova a darla spesso la stampa locale (provinciale e cittadina) che da sempre va a caccia di argomenti capaci di smuovere timidi pomeriggi estivi e anche qualche seduta di consiglio comunale.
Ai più scettici questa cosa sembrerà strana, ma in realtà come in ogni articolo presentato in questa rubrica l’esperienza autobiografica viene sempre in aiuto di chi scrive e anche in questo caso non tarda ad arrivare. Infatti basterà tornare indietro di qualche anno e con la precisione al 2006 per riportare alla luce un caso fortemente esplicativo a quanto scritto poc’anzi.
PERCOCA MECCANICA AD ATRIPALDA
È il 2006 e siamo in piena estate ad Atripalda e come le estati precedenti e quelle successive i cambiamenti sono stati pressoché minimi. Ogni anno per almeno tre mesi si cerca di far fronte, in qualche modo, al caldo reso ancor più insopportabile dall’incredibile tasso di umidità; ma clima a parte, la nostra estate, quell’anno, aveva costruito un percorso parallelo a quello della nazionale di calcio, che dopo anni di cocenti delusioni, si stava apprestando a raggiungere il tetto del mondo ed era così riuscita anche a mitigare l’amarezza delle tante bocciature che avevano colpito la nostra cerchia di amici.
Avevamo così conquistato, nelle nostre vite di adolescenti, qualche settimana di serenità lontane dalle nostre preoccupazioni, quando una scossa improvvisa aveva agitato i pomeriggi estivi atripaldesi. Infatti come un fulmine a ciel sereno la redazione provinciale di un’importante testata giornalistica nazionale aveva deciso di pubblicare in prima pagina le foto tratte da alcuni video YouTube, tutt’altro che recenti e tutt’altro che violenti, cercando di suscitare sgomento nell’opinione pubblica portando alla ribalta delle cronache locali una questione giovanile legata al fenomeno della violenza.

Quell’improvvisa scossa aveva raffreddato la nostra estate e ci aveva posto al centro del ciclone, ci aveva trasformato in drughi, intenti ad inscenare quotidianamente dei veri e propri combattimenti tra gladiatori, portando con sé panico e distruzione nella villa comunale.
La notizia di una gioventù violenta non ebbe troppa difficoltà a diffondersi per due ragioni fondamentali: la prima di tipo geografico/urbanistico che vedeva nella villa un luogo di margine dove tutto veniva nascosto dalla sua posizione. La seconda di tipo generazionale, invece, vedeva nei giovani un insieme informe di teppisti e consumatori seriali di droghe.
La diffusione capillare era stata tanto veloce quanto superficiale e la narrazione conseguente era stata universalmente accettata da quasi tutti i partiti politici cui la soluzione proposta fu la stessa ed unanime: in risposta a quegli (presunti) atti andava utilizzato il pugno duro.
Confusi e pieni di rabbia c’eravamo ritrovati impotenti davanti all’incredibile mole di violenza simbolica che ci aveva investito. C’eravamo ritrovati impotenti contro una parte di città che non voleva sapere niente di noi, ma era disposta a giudicarci in maniera dura. A nessuno importava che la nostra sensibilità ci obbligava, già allora a raccogliere anche i rifiuti altrui disseminati nella villa, a nessuno importavano le difficoltà legate alla mancata presenza di un luogo aggregativo.

Avevano già scelto la loro narrazione nei nostri confronti.
EPILOGO

C’è voluto poco più di una settimana per far scomparire il fenomeno violenza giovanile dalle cronache locali e dai banchi di Palazzo di Città. Atripalda era ritornata al suo solito clima, preoccupata come sempre più dell’umido che delle persone. L’interesse per la questione giovanile era già scomparso e ai giovani era stato riconsegnato il solito posto ai margini della vita comunale; di tutta questa storia, solo quel gruppo di adolescenti non ha mai dimenticato quella terribile ed ingiusta esperienza e proprio grazie a questo ricordo negli anni successivi sono nate le diverse forme di attivismo giovanile che hanno portato la cittadina a vivere alcune forme di rinascita culturale e sociale.

Si ringrazia Sabino Battista per le foto.
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