
Il tema dell’ambiente in ambito psicologico racchiude due concetti che si rifanno entrambi alla costante di “ciò che circonda”. L’ambiente è la matrice impalpabile, fatta di cure genitoriali, in cui si sviluppa la mente e da cui trae gli strumenti essenziali al potenziamento delle capacità innate ed è il contesto concreto in cui gli individui crescono e modificano al fine di vivere (o meglio sopravvivere) al meglio delle loro abilità. L’ambiente fisico può essere più o meno modificato dall’uomo andando a distinguersi in ambiente urbano e ambiente naturale; con il termine natura ci si riferisce automaticamente agli alberi, agli animali selvatici, ai fiumi e agli oceani ma è solo una questione di comodità, così è più semplice distinguere ciò che viene prodotto dall’uomo da ciò che si autorigenera ed ha vita propria: la natura è tutto, è la foresta ed è anche la città, nulla si crea o si distrugge, tutto si trasforma!
Detta in questi termini l’ambiente, dunque, è la Terra.

E allora come siamo arrivati a temere la fine del mondo e il cambiamento climatico? Dando per scontata l’idea fantasiosa che le risorse ambientali sono infinite e ogni modificazione possibile potesse essere a vantaggio della specie, o per meglio dire: ogni modificazione possibile potesse avvantaggiare all’infinito chi ne fosse stato il promotore nonché produttore.
La fantasia delle risorse infinite deriva dal cosiddetto errore di approssimazione o stima, un comune errore banale che ci vede protagonisti tutti quanti nel nostro vivere quotidiano. Chi non si è mai trovato a comprare scorte di un singolo prodotto in offerta (la pasta ad esempio) e a trovarsi gli scaffali pieni di quel prodotto? Viene spontaneo, in seguito, fare scorpacciate del prodotto di cui sopra al pensiero di “tanto ne ho una scorta enorme, quasi infinita”; l’errore di stima ci coglie impreparati quando non facciamo più caso a quanto prodotto rimane nella dispensa e continuiamo a mangiarne come se fosse davvero infinito finendo, prima o poi, a constatare la pochezza delle riserve ma a dire “vabbè, mal che vada aspetto la prossima offerta e faccio di nuovo scorta”. Peccato che la natura non è un supermercato, i prodotti sono quasi finiti e le alternative ai prodotti di consumo maggiormente utilizzati osteggiate perché troppo economiche per una forma di economia basata sul consumo di materiali finiti; bisognerebbe reinventarsi l’economia e guardare la natura da un altro punto di vista.
Quest’ultima frase, baluardo retorico per antonomasia, è tale a causa del tanto tempo da cui noi tutti stiamo utilizzando una certa affordance dell’ambiente. Cos’è l’affordance? Una proprietà degli oggetti che suggerisce all’essere umano il modo per essere utilizzata; questa cosa la diceva uno psicologo statunitense di nome James Gibson e ci credeva così tanto da basarci tutto un approccio psicologico chiamato Psicologia Ecologica o approccio ecologico alla percezione.

Tornando al discorso iniziale, l’uomo ha da sempre manipolato l’ambiente a suo piacimento utilizzando i suggerimenti di utilizzo delle risorse che le risorse stesse portano con sé, fin dalla preistoria; a quei tempi sembrava che le risorse non potessero finire mai e anche se fosse stato, esse si sarebbero rinnovate ciclicamente. Niente di più corretto, per un mondo popolato da qualche migliaio di scimmie consapevoli della loro intelligenza che vivono in uno spazio dai confini indefiniti. Il tempo passa, la popolazione umana aumenta e con essa l’istruzione su come cogliere le affordances degli oggetti presenti in natura a cui si aggiungono, man mano, oggetti creati dall’uomo, artificiali, aventi anch’essi affordances diverse e maggiori. Se un cavernicolo utilizzava X oggetti e ne coglieva Y affordances, l’uomo contemporaneo utilizza e coglie l’utilità di oggetti esponenzialmente maggiori, sebbene la rapidità con cui le risorse si rinnovano sia rimasta immutata nei millenni. È come se la produzione di pasta, che prima soddisfaceva me e qualcun altro, sia rimasta invariata mentre i consumatori siano aumentati a ritmi impossibili da sostenere per cui al supermercato non c’è più modo di farsi una scorta e il prezzo da pagare sia diventato insopportabile per i suoi consumatori quindi o cercano qualche altra fonte di carboidrati oppure il loro consumo di pasta determinerà l’estinzione del prodotto, prima, e, al termine di una lunga catena di eventi, della specie poi.

In fin dei conti basterebbe cogliere una nuova affordance dell’ambiente, tocca solo accettare di essere arrivati alla fine di un ciclo e di doverne iniziare uno nuovo, riconoscendo al precedente di aver fatto il suo tempo.
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