Così un giorno salii in vetta ad una montagna di cui ho sempre ignorato il nome. Era Basilicata profonda, talmente profonda che presi il telefono per una foto e per un attimo mi convinsi che fossi uno dei primi a viaggiare nel tempo (oltre alle canzoni di Sanremo, sempre troppo vecchie per il presente). Comunque non voglio tirarla per le lunghe. Da lì vidi un bambino rincorrere una bambina e sorridersi. Asciugato con mezzi di fortuna il sudore sulla fronte, feci respirare un po’ di aria fresca ai miei pensieri, soprattutto ad uno, quello che più mi spaventa: un giorno, neanche troppo lontano, sarà sempre più raro vedere due bambini, al Sud, sorridersi.
Così, mentre addentavo un panino con la mortazza, una botta di malinconia mi perforò il cuore come la pallottola più potente del mondo. Affamati di pizza e di mare, abbiamo smarrito le vere missioni da inseguire per resistere qui e vedere altri bambini sorridersi. Io non voglio dilungarmi sui responsabili di questa “estinzione” – altri miei colleghi saranno molto più efficaci – ma da sentimentalista vorrei poter restare qui e maledire una segnaletica stradale da schifo e veder spuntare, poi, un inaspettato tramonto tra due abitazioni abusive in mezzo ad una piazza straordinaria ma rovinata dal tempo eppure misteriosa e bellissima. In fondo, in questo periodo lessicale e confuso, respira tutto il Sud che è in me.
E quindi non sarà facile proteggerlo da noi che lo difendiamo soltanto elogiando la nostra allegria ed il cibo buono ed il romanticismo delle vecchie che spettegolano, ma per favore, rimettiamoci in cammino. Lasciamo stare il Nord, i giornali che mistificano, la politica: badiamo soltanto al nostro futuro ed iniziare a pensare che senza le urla di vita dei bambini è soltanto un conto alla rovescia verso la morte.
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