

L’argomento di questa settimana mi riguarda in prima persona, da individuo prima che da psicologo. Il motivo principale è che, come tanti miei coetanei, dopo aver deciso di continuare gli studi al termine della scuola superiore, ho deciso di emigrare al nord, che nel mio caso è un nord molto relativo al mio luogo di partenza visto che mi sono trasferito, nel lontano 2008, a Roma. La mia esperienza di studente fuori sede, prima, e di giovane psicologo poi, mi ha portato a vivere in una decina di case diverse, tutte condivise con altri studenti/lavoratori e tutte situate nella prima periferia di Roma: ho vissuto nei quartieri di San Lorenzo, Casalbertone, Pigneto-Malatesta e, attualmente, Villa Gordiani, tutte situate nel quadrante est della capitale. Il primo impatto con la città eterna mi ha permesso di apprezzare le opportunità che una metropoli fornisce ai suoi abitanti in termini di studio e attività ricreative, nulla a che vedere con la sterilità atripaldese, fatta di piazze e ritagli di spazi entro cui poter organizzare eventi culturali per arricchire il tanto, troppo tempo libero del paese di provincia. A Roma est ho incontrato il fermento culturale dei centri sociali, la promozione di una partecipazione alla vita pubblica che partisse dal basso, la realtà studentesca fatta di incontri e scambi di esperienze sempre diverse e provenienti da ogni parte d’Italia (con una rappresentanza meridionale esponenzialmente maggiore di quella settentrionale e addirittura di quella autoctona).

La prima, imponente differenza che ho trovato a Roma, quindi, è stata la forte presenza della mia generazione, della fascia d’età 19-35 anni che si riunisce attorno ad un punto di riferimento, quel riferimento che, dalle mie parti è stato dichiarato latitante ed ha favorito la diaspora giovanile, alla ricerca di un totem che potesse rappresentarlo. Mentre nel mio paese facevo parte di vari gruppi di amici, ciascuno di essi costituitosi intorno ad un campanile (la scuola e il monumento ai caduti di Atripalda nel mio caso), la metropoli romana, con la sua tendenza generalizzante e massificante e con il polo universitario a fare da totem aggregativo piuttosto che da campanile, offriva l’opportunità di identificarsi come studente tra tanti studenti, mi ha dato l’opportunità di sentirmi parte di un gruppo così grande da potersi assimilare ad una città.

Col passare degli anni gli studi finiscono, e con essi elaboro l’utopia dell’uomo totipotente, iniziando a chiedermi quale posto potessi occupare in una realtà ancora più grande di quella universitaria. Gli orizzonti, dunque, si estendono ed inizio a considerare con maggiore presa di coscienza il tessuto urbano e sociale in cui vivevo: se prima abitavo in una casa e vivevo all’ombra del totem universitario, dopo 6-7 anni inizio a prendere consapevolezza di ciò che significa vivere la periferia romana e di cosa sia veramente la periferia. Difatti ho sempre abitato sì in periferia, ma a poca distanza dal centro della città; Roma è una delle città più estese d’Europa, e più ci si allontana dal centro, più il tessuto urbano inizia a somigliare al mio paesello fino ad arrivare a situazioni in cui l’offerta aggregativa atripaldese è oro! I ragazzi di Torre Angela, Tor Sapienza o di Torre Maura, quando prendono l’autobus che li avvicina al centro città sono soliti dire “nnamo a Roma”, come se abitassero in un’altra città. Sarà la conformazione del territorio, sarà il piano regolatore, questo sconosciuto, ma la periferia romana pullula di quartieri dormitorio, dove anche per fare spesa o hai l’auto o impieghi un’ora, tra attese e bus che non passano, per arrivare al supermercato. Inizio a pensare di vivere in una “periferia borghese” (gentrificata direbbe qualcuno) e che tutto sommato Atripalda non è da buttare, in fondo anche a Roma ci sono migliaia di persone che vivono in quartieri fatti di case e palazzoni e si possono considerare “emigranti” quando decidono di andare a vivere in un quartiere più centrale della capitale.

In conclusione, la differenza tra centro e periferia romana ricapitola il divario esistente tra nord e sud e tra metropoli e provincia, con tutti i risvolti psicologici del caso. Ci ho messo quasi 10 anni a capire che, dopo essermi trasferito a 240 chilometri di distanza dal paese dove sono nato, mi sono trasferito nel microcosmo metropolitano più simile alla mia Atripalda e che le mie nuove “Avellino”, “Napoli” o “Salerno” si chiamavano Forte Prenestino, Snia, Piazza del Popolo o Campo dei Fiori.
Dentro Roma puoi trovarci tutta Italia.
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