Il futuro che cambia

da | Mar 15, 2021 | Lo sbriglialacci | 1 commento

E se l’attesa del piacere fosse essa stessa il piacere? Adulti e giovani hanno la stessa capacità di aspettare questo piacere?

Così risuonava uno degli spot più iconici di una bevanda tutta made in Italy; la memorabilità di queste parole, forse, risiede nel fatto che dietro questa affermazione la quale, in prima analisi, vuole enfatizzare il momento dell’aperitivo, si nasconde una verità psicologica dai mille risvolti. Infatti, la capacità di guardare al futuro (il “piacere”) dipende strettamente dal contesto presente in cui tale previsione si attua (l’“attesa del piacere”).

Ma procediamo per piccoli passi, affermando prima di tutto cosa, in termini di facoltà mentali, distingue una persona matura, o adulta che dir si voglia, da una immatura o “ancora troppo giovane”: la capacità di rappresentare sé stessi nel futuro in un modo verosimile, e questo non è qualcosa che rende gli adulti migliori dei giovani ma semplicemente un meccanismo che l’evoluzione della specie ci ha lasciato in eredità. Se chiedi ad un giovane come si vede tra 10 o 20 anni, lui fornirà una risposta lontana dalla sua attuale condizione e a tratti irrealistica e idealizzata proprio perché, quando si è giovani, si è potenzialmente in grado di prendere una qualsiasi strada, vista la potenzialità offerta dalla formazione personale in via di completamento. Una volta che questa formazione è conclusa, le strade da poter prendere si riducono ma diventano più concrete: un adulto si vede in modo più realistico tra 10 o 20 anni perché ha pressoché appreso tutto quello che gli serve e ora lo deve mettere in pratica; per questo la sua prospettiva futura è meno ampia ma più concreta di uno studente di scuola superiore o universitario.

Fatto sta che sia gli adulti (tra i quali anche noi giovani adulti scarpesciuote) che i giovani guardano al futuro partendo dal presente, motivo per il quale la condizione sociale ed economica individuale influenza la propria capacità di percepirsi un futuro più o meno roseo. E quali sono le affordances che il nostro presente mette a disposizione per darci l’idea di dove saremo in futuro?

Senza dilungarmi troppo, potrei riassumerle in parole chiave collegate l’una all’altra da un nesso di causa ed effetto: pandemia – instabilità economica – preoccupazione per la salute – distanziamento sociale – futuro incerto. Le prime due parole chiave sono state analizzate fino alla noia o all’esaurimento dei concetti, per cui voglio darle per assodate (sì, perché si è parlato già altrove della precarietà dovuta dalla mancanza di lavoro che la pandemia ha ulteriormente acuito); la preoccupazione per la salute e il distanziamento sociale, però, come stanno modificando la rappresentazione che ciascun individuo ha di sé stesso tra 10 o tra 20 anni?

Per dare una risposta efficace avrei bisogno che Marty Mc Fly parcheggiasse la sua De Lorean sotto casa e mi invitasse a fare un giro nel 2031 e nel 2041 (con la speranza che non sbagli data e mi faccia fare un giro nel passato). Ciò che è molto probabile è che gli starnuti non passeranno più nell’indifferenza generale, così come la cucina tradizionale di qualsiasi posto verrà analizzata con maggiore scrupolo dai turisti gastronomici di tutto il mondo e in tutto il mondo: il raffreddore sarà causa di assenze da scuola e dal lavoro e i vegetariani avranno una freccia in più nella loro faretra. La stretta di mano, l’abbraccio e ogni tipo di contatto fisico “sociale” assumerà un significato diverso da quello attuale: ci vorrà più confidenza affinché ci si possa avvicinare così tanto alle persone.

Al di là delle ipotesi strettamente personali, a tratti banali e quasi ironiche sul futuro relativo all’immediato post pandemia, la capacità di costruirsi un futuro dipende da ciò che il presente fornisce alle persone: provando a vedere il residuo positivo dell’esperienza pandemica a livello globale, ritrovarsi in metropoli aria più pulita, forse, ha accelerato l’abbandono dei combustibili fossili in favore di energie più green del petrolio; l’utilizzo forzoso delle tecnologie multimediali, inoltre, ha permesso ai più scettici di rivedere le proprie posizioni rigide in merito alla comunicazione a distanza (e nel campo degli psicologi, nel 2019, c’era uno “zoccolo duro” fatto di illustri colleghi attempati che riteneva l’intervento psicologico online uno strumento del diavolo che ridicolizzava la professione) e, chissà, ha aperto la strada ad una concezione del lavoro più smart nella speranza che, finita l’emergenza, si possa utilizzare l’esperienza attuale come stimolo a cercare una reale miglioria al lavoro.

Il dato più preoccupante proviene dal futuro che i giovani adolescenti e preadolescenti si prospettano in base alla loro esperienza: un’età di sviluppo che si caratterizza per la comparsa progressiva di una rappresentazione personale di sé nel gruppo dei pari, la quale crea le condizioni per concepirsi come parte integrante di una società risentirà sicuramente tantissimo della limitazione alla socialità che stiamo vivendo. È possibile ipotizzare una grossa lacuna nel modo di vedersi questi ragazzi come facenti parte di un sistema sociale ampio. Per loro il futuro è sicuramente più incerto e insicuro del nostro.

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