Cara Fabiana,
conosci la canzone C’è tempo di Ivano Fossati? Beh, a un certo punto nel testo si parla di un tempo che sfugge e che prima o poi ci riprende. Così ho iniziato a riflettere sull’immagine che in particolar modo mi suggeriva il verbo riprendere.
Davanti agli occhi si sono stagliati disegni di un tempo padrone, in giacca e cravatta, che con andare frettoloso stringe con forza tra le mani una ventiquattro ore. Le nostre 24 ore. Noi cerchiamo di tenere il passo, spesso inciampiamo, ma alla fine è lui ha decidere se lasciarci indietro o prenderci con sé.
Un’immagine terribile, insomma, ma che la dice lunga sull’effettivo rapporto che intercorre tra uomo e tempo. Il che fa abbastanza ridere se si tiene conto che la suddivisione del tempo è una convenzione creata proprio dall’uomo per gestire una distesa di infinito dove l’unico tratto distintivo fornito dalla natura era l’alternarsi di luce e buio.
È all’inizio del Novecento che si può fissare la nascita della suddivisione del tempo in otto ore per lavorare, otto ore per consumare e otto ore per dormire. In pratica, quella a cui siamo state destinate sin dalla nostra nascita. Una suddivisione netta per far girare il mondo, ma che, non si comprende bene come, ha prodotto una società in continuo affanno.
È come assistere alla scena del cane che si morde la coda. Da qui le lamentele su di un tempo che non è mai abbastanza, da qui il desiderio di un giorno fatto di 48 ore.
Eppure il tempo è sempre lo stesso. Lo è anche ora che con l’introduzione dello smartworking è arrivata una ventata di novità. Eh sì, un po’ per costrizione un po’ perché prima o poi qualcosa deve pur cambiare, da qualche mese nelle nostre vite è stata introdotta questa nuova modalità di lavoro, da casa, comodamente seduti dietro alla propria scrivania, con ciabatte e pigiama.
Bisogna però capire se l’introduzione di questa nuova modalità costituisca semplicemente un cambio di vestito o se in effetti segni una modifica di valore nella gestione del tempo.
Abbiamo più tempo a disposizione? La mia professione non può essere convertita in smartworking e, quindi, non posso condividere la mia testimonianza, ma da semplice osservatrice secondo me la risposta è no. Quello che cambia è di certo la suddivisione della giornata in spicchi con confini bene delineati. Questo è ciò che viene meno e si assiste a una compenetrazione della vita privata con quella pubblica. Certo, tra una riunione on line e una telefonata, si ha modo di azionare la lavatrice, ma non credo sia questo a renderci padroni del nostro tempo.
Sì, nostro. Il tempo è nostro in quanto parte della nostra vita e, secondo me, l’errore non è nella ripartizione che c’è stata imposta, ma nell’acconsentire completamente a questa imposizione.
Capisco bene che non stare al passo con il tempo per molti possa significare perdere una gara. Il tempo, però, è infinito e ogni tanto rallentare per dedicarsi a ciò per cui non si ha mai tempo può solo farci riprender fiato. Tanto per rimettersi in corsa c’è sempre tempo.
0 commenti