Volevo emarginare me stesso

da | Apr 7, 2021 | Riflessioni non richieste | 0 commenti

Mentre i romanzi scritti dagli influencer si susseguivano, io incominciavo ad annotare ai margini della mia anima i pensieri miei, le emozioni mie, le canzoni scritte dagli altri ma da sempre mie. Emarginare me stesso e somigliare agli altri, a chi ce l’ha fatta: in fondo me lo consigliò anche quel tizio che pretendeva di essere chiamato ‘professore’.

È un processo che si avvia all’improvviso, un po’ tipo quei cazzo di programmi su pc che ti aprono mille finestre con donne nude (dovrebbero caricare anche immagini di uomini nudi per la parità di genere). Dentro di te cova la convinzione che in questo mondo non c’è posto per tutti, tantomeno per te che non hai l’accento ‘giusto’, la famiglia ‘giusta’, l’outfit ‘giusto’.

E neanche quelli emarginati per moda ti accettano nei loro club di sinistra. Ti senti fuori posto, a te non frega un cazzo della filosofia di Marx mentre ti interesserebbe sapere come va a finire l’ultimo di Fabio Volo. E quando arrivi a questo punto della vita riesci ad empatizzare un po’ con il protagonista del film “Green Book”: un pianista troppo nero per essere accettato dai bianchi e troppo di successo per essere accolto dalla ‘sua’ gente. Io mi sentivo così: una via di mezzo. Credo che cominci così il processo di emarginazione durante gli anni della gioventù. Allora per non restare solo, metti da parte – emargini – la necessità di scoprire te stesso per incominciare a somigliare a chi sta in ‘gruppo’.

Ed invece è una gran cazzata. Non è il momento della morale, tranquilli, non sarei la persona giusta. Ancora oggi, in mezzo agli altri, fuggo da certi mie riflessioni o gusti personali per stare dalla loro parte. Non è facile non sentirsi emarginati, soprattutto in questi tempi dove tutti stanno pronti con il dito indicato appena dici “secondo me…” e quindi tu stai zitto, abbassi la testa e bastoni te stesso in uno stanzino umido e piccolo che tutti chiamano ‘intimità’. Io, però, ci sto provando ad essere me stesso: alla fine del gioco sto iniziando a capire che emarginare sé stessi forse è la tortura più pericolosa che possiamo farci (altro che Kim Jong-Un).

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