Parlare o addirittura ripensare al passato è una pratica che ci pone di fronte ad un ampio ventaglio di emozioni e reazioni. Il passato è qualcosa che ritorna spesso nelle nostre vite. I tanti coetanei che vivono e lavorano all’estero o in altre città ne sono un valido esempio.
Questi fanno i conti con il proprio passato ogni qual volta che ritornano in paese. Ritrovano sempre la strada sotto casa un po’ cambiata e al solito bar dove si incontrano le stesse facce, qualcuna presenta sempre qualche ruga in più.
È facile, in questo caso, lasciarsi andare ai ricordi e al passato. Cominciano tutti col ricordare. Basta un semplice pretesto, anche il più piccolo, come quando si osservano dei ragazzini giocare per strada a calcio, per ritornare indietro con gli anni.
Ed ecco che subito ci si volge al passato, anzi ci si rivolge, non senza un certo fondo di giudizio. “Dopotutto le partite erano organizzate sicuramente meglio, anche se gli abiti erano sempre gli stessi, ovvero un paio di scarpe bucate, un paio di pantaloncini e una maglia di calcio falsa comprata in qualche mercato cittadino. Si era sicuramente più genuini. Ci si sentiva comunità, parte di una famiglia allargata. Una condizione che sicuramente i nostri eredi, in abiti all’ultimo grido e con lo smartphone sempre in mano, non potranno comprendere”. Ma sicuramente il discorso prosegue e con esso anche il giudizio. “Non sembrano presi dall’agonismo, quello sano, quello delle fratture e delle ginocchia sbucciate”.
Ma queste affermazioni nascondono altro. Infatti, oltre l’apparente rievocare e giudicare, si cela un’idea di città che si percepisce trasformata e cambiata. Una città diversa nelle sue strutture fisiche e sociali.
Così, il ricordo, lo sguardo al passato diventa uno strumento di lettura ed interpretazione del presente e delle trasformazioni che da esso ne derivano. Ci si risveglia coscienti di aver intorno una città che negli anni è cambiata. Ed è proprio grazie a questa pratica rievocativa che il passato compie l’azione più forte ed importante, ovvero di renderci attenti a ciò che ci circonda quotidianamente.
Non un piano urbanistico comunale (PUC), non una seduta di un consiglio comunale e nemmeno un articolo di giornale. A renderci coscienti di quello che ci circonda sono le memorie, i ricordi che ognuno di noi ha dei luoghi e degli attori ad essi connessi, ma sono poca cosa se non vengono condivisi e resi collettivi.
Un processo comune di memoria invece rappresenta un’importante chiave di lettura delle realtà cittadine ed è anche di questo che avremo bisogno.
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