La gioventù aumentata

da | Set 27, 2021 | Lo sbriglialacci | 40 commenti

Esattamente un anno fa raccontavo come sui giovani di oggi ci si scatarri su. In quell’articolo si parlava di violenza e aggressività e di come sia facile etichettare l’età giovanile come contraddistinta da queste caratteristiche.

Ma la gioventù non è solo questo!

Tralasciando il particolare, già menzionato altrove, per cui il sistema nervoso “giovane” non ha raggiunto la maturazione proprio in quell’area cerebrale dove si controlla l’impulsività eccetera, la gioventù di oggi risulta anagraficamente più vecchia di quella di un tempo. La questione riguarda quello strano spazio in cui la cultura della società influenza lo sviluppo individuale mentre, a sua volta, viene influenzata dalle nuove abitudini individuali nate in risposta al cambiamento della società: un polpettone nebuloso e confusionario dal quale è venuta fuori una nuova parola che indica una categoria di persone giovani, che un tempo non lo erano considerate più. Gli adultescenti.

Questa parola è stata ufficialmente riconosciuta nel 2014, quando entrò a far parte del vocabolario italiano con la definizione “Stile di vita di chi, entrato ormai nell’età adulta, continua a comportarsi da adolescente“. Non sembra essere chissà quale novità, d’altronde la storia di Peter Pan è vecchia di un bel po’; questa parola, però, sottende il cambiamento di una fase della vita figlio del progredire del tempo. Peter Pan era un singolo che rifiutava la società moderna e trovava rifugio nell’isola che non c’è insieme ad altri ragazzini che non volevano crescere, l’adultescenza è il prodotto della società stessa.

Mettiamo insieme l’allungamento del periodo degli studi, per chi li prosegue, la condizione lavorativa precaria che impedisce di raggiungere una piena stabilità economica nei tempi e nei modi di 20-30 anni fa (per chi decide di lavorare dopo la scuola dell’obbligo), il prototipo di “uomo&donna fighi” odierni, persone che ottengono ricchezza con minimo sforzo e che trattano il prossimo come una platea che attesta la loro bravura e bellezza, e aggiungiamo un pizzico di cultura mediterranea che tende a proteggere la prole ed a considerarla un bambino anche a 50 anni. Ecco, ora shackeriamo il tutto con il progresso tecnologico e l’analfabestismo funzionale e otteniamo una nuova fase della vita, di quelle che i padri delle teorie psicologiche non potevano nemmeno immaginarsi visto che ai loro tempi la gioventù finiva più o meno tra i 14 e i 18 anni e si diventava subito adulti. Una fase della vita all’insegna dell’incertezza, in cui l’ideale di sé che propugna la società guadagna milioni a suon di selfie e pubblicità per abiti firmati che, in quanto dato di fatto, è uno stereotipo con cui bisogna farci i conti nel bene o nel male.

L’adultescente è costretto a vivere in condizioni precarie perché se vuole accedere ad alcuni lavori per cui il concorso del 1990 richiedeva la terza media, oggi ha bisogno di una laurea magistrale più un mater post laurea e qualche anno di esperienza nel settore. Se poi vuole lavorare subito dopo la maturità (scolastica), deve fare i conti con la concorrenza accresciuta e la burocrazia maledetta. Per questo, prima di combattere per affermarsi come individuo separato dalla propria famiglia di origine e raggiungere quella maturità psicologica che richiede un senso di identità coeso e mirato ad uno scopo, questo nuovo tipo di giovane ha la necessità di appoggiarsi alla famiglia di origine che, nei Paesi mediterranei, tende da sempre a trattenere la prole in uno spazio esente da assunzioni di responsabilità oltre i tempi previsti.

E come accade sempre, c’è chi persevera nel tentativo di autoaffermarsi e supera l’adultescenza in modo equilibrato e chi invece rimane imbrigliato nella rete di questa nuova gioventù contemporanea.

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