Eccoci qua, con le nostre mani sporche di sborra e ciambelline a ticchettare sulla tastiera per condividere l’ennesimo post teso a delineare un evidente confine tra bene e male. Bene, ora che sembriamo migliori dell’idiota che ha tirato un cazzotto ad un immigrato, possiamo sederci davanti al bar e bere l’ennesima birra con gli amici, magari incazzandoci con l’indiano e le rose. Non indignatevi mentre leggete queste parole, siamo tutti colpevoli. Non ci sono assoluzioni, siamo tutti sulla stessa barca, quindi almeno facciamoci compagnia.
Ora che ci penso bene, mi pare di vivere un film horror sudcoreano. Nella mia stanzetta buia accendo il pc, login e decido di diventare un’altra persona. Più attraente (?), più affascinante, più profonda: citazioni del cazzo, canzoni che in realtà mi rompono i coglioni, istantanee per urlare agli altri che la mia vita non fa schifo e così avvio il processo che mi permette di uccidere la mia reale identità.
Qui non è permesso essere se stessi. È vietato avere dubbi, è consentito sparare a chi ha il passo incerto. Quindi mi metto in viaggio, chiedo a Fabio Volo di perdonarmi e vivo la vita di un 29enne eccellentemente acculturato. Tra queste quattro pareti ascolto esclusivamente cantautorato elegante, leggo romanzi che circolano nei circoletti di sinistra e guardo con sospetto la simpatia dei boomer. A volte mi concedo il lusso di una battuta sarcastica, appena sufficiente per dimostrare la mia superiorità rispetto al popolino. Mi tengo ben distante dagli argomenti caldi, tipo la disputa tra grassi e magri. Avere paura dei tuoi pensieri reali: altra regola di questo fight club. E devo ammettere che la maggior parte dei vigilanti ha la faccia di chi invoca la libertà di pensiero e poi ti massacrano di botte se fai notare che forse è sbagliato vedere tutto bianco o tutto nero, che ci sono le sfumature di umanità (e meno male).
Non devo sbagliare nessuna mossa: l’identità percepita è fondamentale. Quello che sono non conta più un cazzo, lo volete capire?
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