Quando ero più piccola, passavo moltissimo tempo, troppo, chiusa nella mia stanza e rinchiusa nei miei pensieri. Erano momenti di estrema sofferenza, trascorsi a declinare la lista delle cose che non andavano bene nella mia vita. Mi sentivo inadeguata, incompresa, a tratti sfortunata e soprattutto diversa da tutto il resto del mondo. La mia condizione da sfigata era solo la mia e di nessun altro. Quasi la proteggevo, perché — questo lo affermo a posteriori — essere la poverina di turno rendeva le cose più facili.
Convincersi che tutto il male del mondo sia stato dirottato contro la tua persona, non è altro che il modo più semplice per sottrarsi agli impegni/doveri della vita. Una giustificazione, insomma, identica a quella che i nostri genitori ci scrivevano sul diario quando non riuscivamo a fare i compiti.
Con la maturità, poi, si comprende che esistono situazioni peggiori delle nostre e soprattutto che non siamo unici. Pertanto, le mie riflessioni di anno in anno sono diventate sempre più brevi e meno catastrofiche. Ciò non vuol dire che abbiano perso spessore. Sono diventate semplicemente leggere.
Leggerezza, che bella parola vero? In parte la leggerezza, quella totale, resta qualcosa di irraggiungibile anche per me. C’è, però, un modo per rendere il bagaglio di problemi, impegni, doveri che ci portiamo dietro più leggero. Sto parlando del dialogo e della condivisione. Comunicare, per dirla in un’unica parola.
Quando ero più piccola, mi chiudevo in una stanza e, ogni volta, intraprendevo un viaggio in solitaria, in cui sentivo tutto il peso del mio bagaglio. Un peso soffocante, che mi ammutoliva. A casa piangevo e fuori dalla mia stanza ero una ragazzina silente, timida, che non conosceva il peso della valigia dei suoi amici, anzi probabilmente credeva che gli altri non ne avessero una.
Ora, invece, tutto è diverso. Le esperienze mi hanno cambiata, fortificata e in una stanza, da sola, ci resto pochissime volte. Un po’ per forza maggiore, trascinata via dai mille impegni che non lasciano il tempo di respirare, un po’ per scelta. A fine giornata, ho già riflettuto. L’ho fatto in compagnia, condividendo i miei pensieri, problemi, pareri con le persone che mi affiancano durante tutta la giornata. E loro hanno fatto lo stesso con me.
Quella del condividere, del confrontarsi, è una pratica molto efficace che consente di dilatare la tua visuale e renderti conto che “solo” è diventata una parola quasi arcaica. I tuoi problemi sono gli stessi del tuo vicino e anche di quello accanto e quello accanto ancora. Questo avviene perché la maggior parte delle problematiche che ci affliggono sono figlie della società in cui viviamo e, in quanto tali, sono enormi, insormontabili. Non dipendono da noi, dalle nostre scelte, ma da fattori esterni difficilmente gestibili. Di fronte ad essi possiamo chiuderci in una stanza a piangere soli oppure sentirsi meno soli parlandone con qualcuno.
Comunicare è la parola chiave per intraprendere, questa volta, un viaggio in compagnia dove non esiste la mia pesantissima valigia e la tua, sicuramente più leggera. In questo viaggio la mia valigia è anche la tua e portarla insieme rende tutto più leggero.
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