Il precedente articolo sul tema ha voluto ripercorrere la formazione del senso di sicurezza che ciascuno di noi prova nel rapportarsi con le presone a sé circostanti. Il legame di attaccamento provato da bambini nei confronti dei nostri genitori, quindi, è alla base della sicurezza.
Quando si diviene abbastanza maturi da sentirsi in grado di affrontare il mondo da soli, senza la necessità di sentirsi confortati e protetti da qualcuno che sa meglio di noi come va il mondo, anche il legame di attaccamento si trasforma. Esso, con l’avanzare degli anni e l’accumularsi di esperienze di vita proprie, diventa qualcosa di strettamente personale e si radica nella nostra mente. Se da bambini, infatti, la qualità dell’attaccamento era condizionata da una relazione intrattenuta con delle persone, gli schemi di interazione appresi e ripetuti all’infinito durante l’infanzia “entrano” nella mente e dirigono il nostro modo di fare adulto con il prossimo; in particolare, modulano la sensazione di sicurezza provata in situazioni di scambio sociale. Lo stile di attaccamento evolve nel modello operativo interno che funge da architettura di base dei nostri comportamenti sociali. Quest’ultimo, a sua volta, determinerà anche la relazione che avremo con i nostri figli e di conseguenza il loro attaccamento nei nostri confronti. Insomma, l’attaccamento si trasmette di padre in figlio quasi come il dna.
Questo è quanto rispetto alla sicurezza nelle relazioni, ma verso noi stessi? Cosa ci da la sensazione di star facendo bene? Ovviamente l’autostima!
L’autostima si riferisce all’insieme dei giudizi che ciascuno ha di sé stesso. Questi possono riguardare l’aspetto estetico, la bravura nel compiere azioni fisiche o mentali, la percezione di essere capaci nelle relazioni e nei compiti a cui facciamo fronte. Una persona sicura di sé, riesce a mobilitare le proprie energie in modo più efficace e quindi a dare quanto di meglio può in un determinato evento. Ciò è molto evidente nello sport professionistico, dove la preparazione atletica raggiunge livelli di perfezione scientifica: quando la differenza di preparazione fisica è nulla, come in un match di serie A o in una finale dei 100 metri, gran parte della prestazione legata a quel singolo evento è garantita dalla capacità di applicare le proprie doti in tutta la loro portata. questa capacità è strettamente legata al livello di sicurezza (o autostima) delle proprie capacità.
Per parlare di autostima o di sicurezza di sé è necessario sottolineare che l’autostima non è una cosa che si ha o non si ha, non è un oggetto da tenere con sé. La sicurezza di sé, invece, ha mille sfaccettature; una persona, ad esempio, può essere sicura delle sue capacità lavorative e quindi produrre in abbondanza e cono soddisfazioni ma, quando deve dare un appuntamento galante, non riesce a dire una frase di senso compiuto. A queste differenze talvolta paradossali, contribuisce anche il modello operativo interno con cui abbiamo iniziato l’articolo, in questo momento è sufficiente ricordarlo. L’importante, adesso, è concepire l’autostima e la sicurezza di sé come concetti che abbracciano più contesti di vita, che per ogni contesto può esserci differenza e che in questo modo si crea un continuum, i cui estremi sono la totale sfiducia nei propri mezzi e la sensazione di essere invincibili e indistruttibili.
Partendo dalla fine, quando una persona giudica sé stesso in grado di compiere un’azione senza avere gli strumenti per compierla ci troviamo davanti ad una eccessiva sicurezza di sé la quale, detta in altre parole, può definirsi grandiosità. Per fare un esempio banale, il vincitore della gara dei 100 metri di Atripalda con un tempo di 12 secondi, se credesse di poter battere Jacobs e Bolt al punto da invitarli a partecipare ad una sfida convinto di vincerla, potrebbe avere un’autostima un pelino troppo rigonfiata. Dall’altro capo del continuum, se Marcel Jacobs decidesse di non partecipare alla sfida perché convinto di non poter battere gli altri partecipanti sulla base delle sole credenze sue, senza riferirsi ai tempi stagionali o al duro lavoro svolto in allenamento, l’autostima della medaglia d’oro olimpica dei 100 metri sarebbe troppo bassa. Come si può notare, estremizzare la propria autostima nell’uno o nell’altro senso distorce la realtà: il campione cittadino dei 100 metri si percepisce all’altezza di una sfida impossibile da vincere, la medaglia d’oro olimpica non riuscirebbe a percepire di poter correre i 100 metri entro 12 secondi.
L’autostima e la sicurezza nelle proprie capacità è una sensazione fondamentale per riuscire ad esprimersi nel modo più efficace e corrispondente a sé stessi nella vita di tutti i giorni. Proprio per questo è necessario saper bilanciare e gestire il giudizio di sé stesso e confrontarlo costantemente con ciò che effettivamente sappiamo fare, dire o tollerare. Eccedere lungo uno o l’altro aspetto del continuum provoca distorsioni alla realtà da noi vissuta che compromette il nostro funzionamento in generale, portandoci a produrre di meno di quanto potremmo. In altre parole, è importante mantenere un giudizio sempre positivo di sé nella misura in cui questo giudizio tenga conto delle reali abilità e potenzialità individuali.
0 commenti