La guerra era bella soltanto quando me la raccontava mio nonno. Io, bambino, sulle sue gambe, mentre lui, con occhi e parole, tratteggiava uomini cattivi e cieli colorati di morte e fuoco. Provavo paura, ansia, ma soprattutto la serenità di conoscere già l’esito più importante: ovvero lui lì con me. E mi viene da sorridere ripensando, a questo proposito, uno dei suoi detti più riusciti: “Finché le racconti, le cose, significa che tutto va bene”.
Ora, ed è da egoisti, mi sento smarrito, terrorizzato da una storia di sangue e di merda che non so se potrò raccontare a chi vorrà ascoltarmi. Sono tante le domande che frequentano la mia testa: a cosa servono migliaia di bombe nucleari quando ne sono sufficiente un paio per cancellare l’umanità? Perché gli interessi di poco devono invitare milioni di persone alla morte certa? Come mai ho una sensazione sempre più netta sul fallimento del genere umano?
Più di qualcuno mi dirà che si tratta di capire, che si tratta di vicende assai più complesse. Io, però, non sono d’accordo. Per me, quelle persone che siamo stati, siamo e saremo anche noi, devono soffrire soltanto a causa delle buste della spesa pesanti, che ti lasciano un segno sulla pelle peggio degli amori finiti, oppure perché i testi di Diritto Privato sono scritti da un alieno capitato sulla Terra per sbaglio. E visto che sono cattivo, si può provare dolore persino a causa di un lavoro sempre troppo precario.
Mai, però, bisogna avere paura per colpa di pochi coglioni che stanno lì a discutere di confini, missili, negoziati. È molto complicato comprendere che i loro interessi ed i nostri sono due rette parallele che non si incontreranno mai? Che lui, noi, tu, vogliamo “soltanto” vivere tutti i giorni per provare a capirci qualcosa di piccole cose come la felicità, l’amore e stronzate simili?
Tuttavia, so che si tratta soltanto di parole scritte dall’ennesimo coglione che, mentre scuote la testa, ha la quasi certezza che ci estingueremo per colpa nostra ed è forse meglio così.
0 commenti