È arrivata l’estate e anche Punksophia va in vacanza. Per non lasciarvi soli abbiamo pensato a una serie di libri da portare sotto l’ombrellone per continuare a viaggiate attraverso la storia della filosofia con spensieratezza e leggerezza. Buona lettura!
Giancristiano Desiderio, Essere e gioco. Da Platone a Pelé. Il senso del calcio e della condizione umana, Ultra 2018.
Il calcio è stato uno degli argomenti più trattati in Punksophia. Il calcio è lo sport più popolare di tutti e più di ogni altro riesce a spiegare la vita in ogni suo particolare. Più di ogni altra cosa, il calcio si basa su due principi fondamentali: controllo della palla e metterla in gioco. Per la vita vale lo stesso: piena consapevolezza di sé e abbandono, nel senso di “giocare la vita”. Il libro è un grandioso viaggio attraverso i più grandi interpreti della storia del calcio e della filosofia. L’autore spiega le idee di Platone attraverso Pelé, Maradona con la logica poetica di Vico, il cucchiaio di Totti con la Metafisica di Aristotele e tanto altro. Per gli amanti del calcio è una lettura da non perdere.
Tommaso Ariemma, La filosofia spiegata con le serie tv, Mondadori 2017
Tommaso Ariemma è uno degli esponenti di spicco della filosofia pop italiana. Attraverso il suo bellissimo libretto rosso riesce a collegare i grandi filosofi del passato alle più importanti serie tv del momento. È così che troviamo Kant sull’isola di Lost, Parmenide nelle indagini di TrueDetective, Platone attraverso lo specchio di BlackMirror. La filosofia spiegata con le serie tv è un ottimo modo per avvicinare i più giovani alla storia della filosofia e ai suoi più grandi temi.
Richard Osbourne, Storia della filosofia a fumetti (Illustrazioni di Ralph Edney), Editori Riuniti 2007
Scordatevi i noiosi manuali di scuola. Richard Osbourne abbandona il classico modo (e un po’ noioso) di esposizione tipico dei libri scolastici per affrontare in maniera semplice, ma non per questo banale, una materia che può essere difficile ma assolutamente fondamentale. Il libro, accompagnato dai fantastici disegni di Ralph Edney, ripercorre i 2.500 anni della storia della filosofia occidentale, dai greci fino agli sviluppi contemporanei. L’autore colloca questo sviluppo in contesto più ampio in cui vengono trattati anche temi di scienza, letteratura, economia. In questo quadro, tutte le discipline sono collegate tra loro all’interno della storia della cultura umana.
Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia, TEA 2017
Terminiamo questa guida con un romanzo. Un giorno Sofia Amudsen trova nella sua cassetta della posta delle strane lettere attraverso le quali viene introdotta a uno speciale di corso di filosofia. Il suo professore è un filosofo eccentrico di nome Alberto Knox. Man mano sopraggiunge un mistero legato ad una ragazzina di nome Hilde, la quale sembra avere molto in comune con Sofia. Il romanzo di Gaarder non è solo un giallo avvincente ma è anche un appassionante viaggio da intraprendere con Platone, Cartesio, Kant e tutti gli altri grandi filosofi della storia.
L’aspetto più affascinate dell’universo di Star Wars è sicuramente quello rappresentato dall’ordine Jedi. Chi non ha mai provato il desiderio di impugnare la spada laser e sentirne il ronzio che. Non tutti sanno però che i Cavalieri Jedi, nel corso dei secoli, hanno sviluppato un vero e proprio codice di comportamento che deve guidare tutte le loro azioni. Tale codice ha una forte affinità con lo stoicismo, una corrente filosofica nata in Grecia tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.
Il Codice Jedi recita in questo modo:
Non ci sono Emozioni, c’è Pace; Non c’è Ignoranza, c’è Conoscenza; Non ci sono Passioni, c’è Serenità; Non c’è Caos, c’è Armonia; Non c’è Morte, c’è la Forza.
Non si analizzeranno, però, i singoli precetti del codice ma si prenderanno come sfondo per volgersi verso un discorso più generale sulla filosofia stoica.
Fa parte integrante dell’etica stoica la totale negazione delle emozioni e delle passioni. Esse sono manifestazioni dettate dall’ignoranza e dalla stoltezza, consistenti nel dare giudizi su ciò che non si sa. Gli stoici distinguono quattro emozioni fondamentali: la brama dei beni futuri, la letizia per i beni presenti, il timore dei mali futuri e l’afflizione per i mali presenti. A tre di queste emozioni, rispettivamente alla brama, alla letizia e al timore, i filosofi stoici fanno corrispondere tre stati di calma ed equilibrio propri del sapiente, ossia la volontà, la gioia e la precauzione. All’afflizione non corrisponde nessuno stato d’animo per così dire “normale”: infatti, non c’è nessun male di cui bisogna temere, dato che il sapiente conosce alla perfezione le leggi dell’universo. Per il saggio stoico quindi, le emozioni sono considerate delle vere e proprie malattie che colpiscono gli stolti e dalle quali bisogna rifuggire. La condizione del sapiente è allora l’apatia, ovvero l’indifferenza a ogni tipo di emozione, grazie alla quale può raggiungere la serenità. A differenza del saggio stoico, il cavaliere Jedi non deve eliminare del tutto le emozioni ma deve analizzarle e comprenderle per raggiungere la pace interiore. Il fine massimo di questo cammino interiore è la serenità d’animo, accettare le emozioni per come sono, nel bene o nel male.
Dal punto di vista della visione generale del mondo, gli stoici professavano una sorta di panteismo nel quale identificavano Dio con l’ordine naturale del cosmo. Dio coincide con il principio attivo dell’universo, con la ragione universale, che dona la vita a tutti gli esseri viventi dando loro forma e sostanza. Da questo punto di vista, il destino si identifica necessariamente con l’ordine del mondo, legando tutti gli esseri tra loro. Poiché tale ordine procede da Dio, o meglio coincide con Esso, il destino non è una forza cieca e malvagia ma piuttosto un ordine razionale e benefico. Infatti, tutto ciò che accade avviene secondo una ragione, la quale segue l’ordine razionale divino dell’universo. Per tali motivi, la massima fondamentale dell’etica stoica è “vivere secondo natura”, dove per “natura” si intende la struttura divina universale. Poiché la natura è razionalità, la massima “vivere secondo natura” coincide con “vivere secondo ragione”. Il dovere per gli stoici significa quindi compiere un’azione in conformità alla ragione e alla natura. Allo stesso modo, i Jedi traggono la loro serenità ed energia seguendo le vie della Forza. Iconiche a tal proposito sono le parole del maestro Yoda ne L’Impero colpisce ancora:
La vita essa crea ed accresce, la sua energia ci circonda e ci lega; illuminati noi siamo, non questa materia grezza! Tu devi sentire la Forza intorno a te, qui, tra te, me, l’albero, la pietra, dovunque!
O quelle di Obi-Wan Kenobi ne Una nuova speranza: La Forza è quella che dà al Jedi la possanza. È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, mantiene unita tutta la galassia.
La Forza, quindi, guida il Jedi verso la saggezza e l’armonia, lo eleva oltre la materialità e la corporeità. Allo stesso modo allora, né il saggio stoico né il Jedi devono temere la morte. Essa fa parte del ciclo naturale delle cose e bisogna essere accettata come quella che è, ossia come fine naturale delle cose. Per alcuni Jedi, tuttavia, morire vuol dire far parte della Forza, essere tutt’uno con essa per diventare immortale, come fa ad esempio Obi-Wan Kenobi che divine “fantasma di Forza” per guidare ancora Luke Skywalker nel suo addestramento.
Un’eccezione va fatto con il verso “non c’è Ignoranza, c’è Conoscenza”. Esso è strettamente collegato al multiculturalismo presente nell’universo di StarWars. Secondo la concezione Jedi (che verrà dimenticata nella Guerra dei Cloni), un conflitto è generato sempre dall’ignoranza. In una guerra, i due contendenti hanno sempre visioni opposte della realtà e spetta ai Jedi, quali diplomatici di pace, mediare tra le due diverse opinioni. Per far ciò, ai Jedi è necessario possedere una mentalità aperta e libera da ogni pregiudizio. Se nella trilogia prequel abbiamo una galassia multiculturale in cui diverse specie aliene riescono a vivere in pace e in armonia, è proprio grazie agli ideali dei Cavalieri Jedi. Con la caduta dell’ordine e la nascita dell’Impero, nella trilogia originale prevalgono sentimenti quali l’odio, la paura e il pregiudizio.
Per lo stoicismo l’ordine razionale del mondo, così come dirige l’universo, allo stesso modo dirige la vita della comunità umana. Quest’ordine prevede una legge superiore a tutte quelle dei diversi popoli della terra ed è perfetta e non ha bisogno di correzioni. Se unica è legge che governa l’umanità, unica è pure la comunità umana. Molto significative restano le parole di uno dei più importanti filosofi stoici del periodo romano, Seneca:
Tutto quello che vedi, che contiene il divino e l’umano, è tutt’uno: noi siamo tutti membri di un gran corpo. La natura ci generò parenti dandoci una stessa origine e uno stesso fine. Essa c’ispirò l’amore reciproco e ci fece socievoli (Lettere).
Perciò il saggio appartiene ad una città universale in cui non esistono schiavi ma in cui gli uomini sono tutti cittadini e liberi. L’unica forma di ignoranza è quella che l’uomo esercita nei confronti delle proprie passioni e delle quali è schiavo.
Nell’ottobre del 2019 veniva pubblicato l’ultimo album di Franco Battiato, Torneremoancora, una raccolta delle più belle canzoni del maestro, registrate di nuovo con l’accompagnamento della RoyalPhilarmonicOrchestra di Londra. Solo la traccia d’apertura è inedita, Torneremoancora, la quale dà anche il titolo all’album. Si tratta di un branco scritto assieme all’artista Juri Camisasca e avvolge l’ascoltatore in un’atmosfera mistica e spirituale, tipica dei testi del cantautore siciliano.
Di seguito il testo completo:
Un suono discende da molto lontano Assenza di tempo e di spazio Nulla si crea, tutto si trasforma La luce sta nell’essere luminosi Irraggia il cosmo intero Cittadini del mondo Cercano una terra senza confine La vita non finisce È come il sogno La nascita è come il risveglio Finché non saremo liberi Torneremo ancora Ancora e ancora Lo sai Che il sogno è realtà E un mondo inviolato Ci aspetta da sempre I migranti di Ganden In corpi di luce Su pianeti invisibili Molte sono le vie Ma una sola Quella che conduce alla verità Finché non saremo liberi Torneremo ancora Ancora e ancora.
I riferimenti filosofici sono lampanti. In particolare, i versi “nulla si crea, tutto si trasforma” e “torneremo ancora e ancora”, sono un chiaro riferimento alla filosofia greca dei fisici pluralisti, la quale può essere riassunta nel concetto “Nulla viene dal nulla”. Per questi filosofi nessuna cosa può venire a esistere dove prima non c’era niente. L’unione e la disunione di determinati elementi preesistenti determinano la nascita e la morte delle cose. Si tratta però di una nascita e di una morte apparante dal momento che le cose non si creano e non si distruggono, ma soltanto si trasformano. I più importanti filosofi pluralisti sono Empedocle, Anassagora e Democrito.
Empedocle afferma che le cose sono composte dalle cosiddette quattro radici, il fuoco, l’acqua, la terra e l’aria. Dall’unione delle quattro radici avviene la nascita delle cose, mentre dalla loro disunione avviene la morte ma nulla va perduto: tutto resta, seppur disgregato. A dar vita al processo di unione e disunione delle radici sono due forze contrapposte: 1) l’Amore o l’Amicizia, forza che aggrega le radici; 2) l’Odio o la Discordia, forza che le divide. Le due forze, alternandosi e scontrandosi, agiscono in un eterno ritorno dei diversi cicli cosmici. Questi ultimi sono quattro e si differenziano a seconda della forza dominatrice: 1) la prima fase è quella dello Sfero in cui domina l’Amore e tutti gli elementi sono uniti in perfetta armonia tra di loro in un tutto omogeneo. Nella fase dello Sfero non c’è vita; 2) l’unione perfetta dello Sfero viene rotta dall’azione dell’Odio. Dal conflitto di Amore e Odio nasce il mondo attuale. L’azione dell’Odio non è distruttiva, piuttosto genera la vita e tutto ciò che c’è nel mondo; 3) continuando la sua azione, L’Odio prevale sull’Amore dando origine al caos e alla disgregazione di tutte le cose; 4) grazie a un nuovo intervento dell’Amore e a una nuova contesa con l’Odio si torna alla situazione intermedia in cui abbiamo il mondo attuale poi ancora lo Sfero dove ricomincia un altro ciclo e tutte le fasi si ripetono eternamente.
Anche Anassogora, come Empedocle, sostiene che nulla nasce e nulla muore. La nascita e la morte sono dovute alla separazione di particelle piccolissime chiamate semi, le quali aggregandosi generano le cose dandogli la nascita e disgregandosi gli danno la morte. Tutto è composto da questi semi e niente perisce in modo definitivo poiché i semi, seppur disgregandosi, restano eterni. Esistono semi per ogni sostanza materiale che è al mondo. Tuttavia, una cosa non è composta dei soli semi della sua stessa sostanza. Un ente contiene al suo interno piccole quantità di semi di altre sostanze. Per tale motivo Anassagora afferma che tutto è in tutto, cioè ogni cosa contiene i semi di tutte le cose. I semi poi possono essere aggregati e disgregati all’infinito. Il processo di aggregazione avviene per opera di una mente superiore divina, il Nous. Essa ha operato dapprima all’interno del caos indistinto dei semi causando le prime separazioni: caldo-freddo, luce-oscurità e successivamente tutte le altre cose.
In ultima analisi, l’apporto fondamentale di Democrito alla filosofia occidentale è la concezione di atomismo. Principi di tutte le cose sono gli atomi, particelle letteralmente indivisibili. Essi riempiono la natura e costituiscono la materia. Ma in che modo lo fanno? A differenza di quanto affermava Anassagora, per Democrito gli atomi non si aggregano a causa di una mente divina ma lo fanno in maniera totalmente meccanica. Tale aggregazione avviene allora per via del movimento spontaneo degli atomi, che si spostano in tutte le direzioni. Il movimento avviene nel vuoto poiché, senza tale vuoto, gli atomi non potrebbero muoversi. Democrito allora è il primo rappresentante del materialismo, concezione che vede nella materia l’unica sostanza e l’unica causa delle cose e del meccanicismo, il quale spiega i fenomeni del mondo naturale attraverso le sole leggi della natura, escludendo qualsiasi finalismo o apporto della divinità.
Noi siamo sicuri che ogni volta che ascolteremo Radio Varsavia o Radio Tirana in cerca di un nostro centro di gravità permanente, il maestro Battiato vivrà ancora e ancora.
Una delle scene più belle ed emozionanti di Tre uomini e una gamba è sicuramente quella del pranzo in cui Chiara espone il “mito delle metà” presente nel Simposio di Platone. Pur essendo tecnicamente giusta come citazione, non è del tutto esatta. Il mito esposto del film è sì un mito narrato in un testo di Platone ma non rappresenta propriamente la sua opinione o almeno ne rispecchia solo una parte. Per capire di cosa stiamo parlando e, visto che siamo pignoli come Giovanni, è opportuno contestualizzare il mito all’interno del dialogo.
IL SIMPOSIO E IL MITO DI EROS
Il Simposio è uno dei dialoghi della maturità di Platone e sicuramente uno dei più testi più conosciuti e apprezzati della storia della filosofia. Oggetto del dialogo è l’amore, l’eros, che per il filosofo ateniese rappresenta quella volontà che spinge l’uomo alla ricerca. Per essere ancora più precisi, il Simposio considera prevalentemente l’oggetto dell’eros, cioè la bellezza. I discorsi dei personaggi del dialogo intorno alla natura dell’amore ne rispecchiano solamente i caratteri subordinati e accessori che la dottrina di Socrate unificherà. È importante, però, sottolineare che il personaggio-Socrate rappresenta, nella maggior parte dei dialoghi, il portavoce delle dottrine di Platone. Ed è così che uno ad uno, i personaggi esprimono la propria opinione sull’amore. Pausania distingue l’amore, che si rivolge ai corpi, dall’amore celeste, che si rivolge alle anime. Erissimaco vede nell’amore una forza cosmica che dona armonia a tutti i fenomeni della natura. Ed è qui che giunge il famoso mito delle metà. A raccontarlo è Aristofane, il famoso commediografo. Egli espone che in passato esistevano tre sessi: il maschile, il femminile e il sesso androgino, ossia esseri che possedevano sia caratteristiche maschili che femminili. Tutti gli esseri umani possedevano due facce orientate in direzione opposta, quattro braccia, quattro mani, due organi sessuali e avevano una forma sferica. Per via della loro potenza e per paura che potessero spodestare gli dei, Zeus divise gli esseri umani un due metà. Da quel momento, ognuno va alla ricerca della propria metà per ritornare all’antica unità. A tale desiderio di unione viene dato il nome di amore. E proprio da questo aspetto, l’insufficienza, che parte il racconto di Socrate: l’amore è mancanza poiché desidera qualcosa che non ha. Istruito dalla sacerdotessa Diotìma, Socrate afferma che la natura di Eros è a metà strada tra il divino e l’umano (demone) poiché è figlio di Penìa (Povertà) e Pòros (Espediente). Essendo un demone, Eros non possiede la bellezza ma aspira a possederla, non possiede la conoscenza ma la desidera. Amore è desiderio di bellezza. La bellezza è il fine dell’amore. È un percorso lungo e faticoso che richiede un animo provvisto di qualità particolari: dapprima si è attratti dalla bellezza di un bel corpo; dall’amore per la bellezza di un corpo si passa a desiderare la bellezza della corporeità in generale, per poi passare alla bellezza delle anime, delle leggi e delle istituzioni e delle scienze. Solo alla fine si giunge alla contemplazione del Bello in sé, eterno, imperituro, perfetto, fonte di ogni altra bellezza e sempre uguale a se stesso. Eros è filosofo perché spinge l’uomo verso la conoscenza. Poiché Amore è il desiderio di possedere ciò che non si ha, il filosofo tende alla conoscenza perché ne è sprovvisto.
Death Note, manga/anime ideato e scritto da Tsugumi Ōba e disegnato da Takeshi Obata, rappresenta sicuramente uno dei prodotti più affascinanti della cultura giapponese. Non solo grazie alla trama avvincente e mai banale ma anche perché porta alla ribalta temi molto profondi. Ai nostri occhi, due sono gli aspetti filosofici che emergono: il concetto del migliore dei mondi possibili i del filosofo tedesco Gottifred Wilhelm Leibniz e l’idea di giustizia e utilità sociale dello scozzese David Hume.
IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI
La filosofia di Leibniz è diretta a giustificare l’esistenza di un ordine necessario e non determinato ma spontaneamente organizzato e quindi libero. Cosa vuol dire? Il primo aspetto da tenere a mente è che quando Leibniz parla di “ordine” non vuol dire che esso sia “necessario”. La necessità, ossia l’aspetto per cui una cosa è così com’è senza ulteriori spiegazioni, risiede nel campo della logica e non nel campo della realtà e dell’esperienza. Una cosa reale, quindi, non è mai necessaria ma possibile perché accade sempre per una causa. Per questo motivo il filosofo tedesco distingue le verità di ragione dalle verità di fatto:
le verità di ragione sono identiche a se stesse, assolute e universali e si basano sul principio di identità e di non contraddizione. Esse non hanno un legame con l’esperienza ma concernono i principi della matematica e della geometria;
le verità di fatto sono contingenti ed empiriche e si basano sul principio di ragion sufficiente per il quale nulla accade senza una causa.
Il principio di ragion sufficiente è proprio quello che Leibniz cercava per giustificare l’ordine delle cose, un ordine che non escludesse la scelta libera. Se ci si chiede come mai tra tutti i mondi possibili solo questo è reale, bisognerà trovare la ragion sufficienza della sua esistenza nella libera scelta di Dio. Quindi, la ragion sufficienza della realtà del mondo è che esso è il migliore di tutti i mondi possibili e che Dio, nella sua perfezione, doveva fare questa scelta. Il dovere da parte di Dio non implica una necessità assoluta ma l’atto della volontà di Dio, il quale ha liberamente scelto questo mondo in conformità alla sua natura perfetta.
LA GIUSTIZIA E L’UTILITÀ SOCIALE
Da buon empirista, l’intento principale di David Hume non è quello di prescrivere certi comportamenti in base a dei principi assoluti, ma quello di descrivere, partendo dall’esperienza della realtà, come e secondo quali principi gli uomini si comportino nella loro vita. Fatta questa doverosa premessa, per Hume la giustizia e la morale devono tendere verso un fondamentale obiettivo: l’utilità sociale. Solo in base a tale principio è possibile creare una società in cui giustizia e moralità siano legittimamente orientate all’utile. Per tale ragione a muovere l’uomo è un forte sentimento di simpatia attraverso il quale l’individuo lega il proprio benessere all’utilità sociale. Il fatto che la giustizia sia necessaria a mantenere in vita la società attraverso la ricerca dell’utile, essa è il fondamento della società stessa. Ora, poiché la giustizia è considerata una virtù, l’utilità collettiva può essere considerata il fondamento di tutte le virtù.
DEATH NOTE
Light Yagami, il migliore studente di tutto il Giappone ma fortemente annoiato, un giorno, dalla finestra della sua classe, vede cadere dal cielo un quaderno nero. Raccogliendolo ne legge il titolo, Death Note, “Quaderno della morte”. Pensando a uno stupido scherzo, al suo interno trova delle regole che affermano che chiunque scrivesse il nome di una persona di cui conosce il nome, ella morirà. Non credendo a quanto scritto, il ragazzo decide lo stesso di provare. La tv porta in diretta la notizia di un uomo che tiene in ostaggio dei bambini in una scuola elementare. Il telegiornale mostra il volto e il nome del criminale. Light, una volta scritto il nome del criminale, attende 40 secondi dato che una delle regole del quaderno afferma che se non si specificano le condizioni della morte, la vittima morirà per arresto cardiaco dopo, appunto, 40 secondi. Passato questo breve lasso di tempo, alcuni bambini corrono fuori la scuola e i giornalisti affermano che il sequestratore si sia accasciato a terra misteriosamente perdendo la vita. Seppur sconvolto, Light è ancora scettico riguardo il potere del quaderno e decide di fare ancora una prova. Dopo aver terminato le lezioni serali si ferma in una libreria. All’esterno nota un gruppo di motociclisti intenzionati a violentare una ragazza. Uno di loro si presenta pronunciando nome e cognome e Light non si lascia sfuggire l’occasione. Questa volta però, oltre al nome dell’uomo, descrive anche le dinamiche della morte. Poco dopo lo stupratore, nell’inseguire la ragazza, viene investito da un camion proprio come aveva scritto Light. Ora il ragazzo non ha più dubbi, il quaderno funziona. Successivamente farà la conoscenza del vecchio proprietario del quaderno, lo Shinigami Ryuk, un dio della morte nel folklore giapponese, il quale rivela di aver fatto cadere il quaderno sulla Terra per portare un po’ di brio alla sua vita noiosa. Ed è così che iniziano le vicende di Death Note, le quali porteranno Light a diventare il giustiziere invisibile di tutti i criminali del pianeta, tanto da venire soprannominato dall’opinione pubblica Kira (trasposizione giapponese della parola killer), e ad ingaggiare un duello fatto di bugie, astuzie e sotterfugi con Elle, il miglior detective del mondo.
Prendendo in esame ciò che abbiamo detto in precedenza, l’intento di Light è chiaro: egli vuole costruire il migliore dei mondi possibili secondo la sua visione e la sua scelta, ossia eliminare i criminali per il bene della società. Seguendo ciò che dice Hume, l’intento di Light si basa sull’utilità sociale: i criminali sono un danno per la società, ne ostacolano il giusto funzionamento e per questo motivo vanno eliminati senza alcun processo o pena. Come un Dio che plasma la sua creazione, Light vuole costruire un mondo in cui il crimine non esiste. Ma è davvero il migliore dei mondi possibili quello cha in mente il ragazzo? Ovviamente e banalmente la risposta è no. Anche perché ciò che muove Light non è dettato da principi morali, seppur ampiamente distorti. Ciò che lo muove è innanzitutto scacciare la noia che lo attanaglia perennemente e per questo inizia a giocare a fare il Dio uccidendo i criminali. Con il passare del tempo però, assuefatto dal potere che il quaderno gli ha conferito, Light si convince di essere un dio così da avere il controllo sulla vita e sulla morte delle persone. I numerosi culti nati nel corso del tempo in onore di Kira non fanno altro che accrescere la convinzione di Light di essere una divinità capace di decidere il destino degli esseri umani. Più che da Leibniz e da Hume, sembra che Light abbia tratto ispirazione per i suoi piani dalle azioni di quel “politico” tedesco (austriaco per i puristi) del quale da un po’ di tempo non si può più pronunciare il nome (non stiamo parlando di Voldemort perché lui era inglese).
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