Io sono Nessuno, io sono Polifemo

Io sono Nessuno, io sono Polifemo

“Alcune parti della nostra Storia definiscono chi siamo. Ma le sfumature e l’umanità vanno perdute nelle enciclopedie”
Etna – Cyclopedia Exotica

Guardandomi indietro mi rendo conto di aver trascorso molti fine settimana della mia adolescenza in una piazza di Napoli, insieme agli amici dell’epoca, e c’era una cosa che mi sorprendeva sempre, ovvero come un semplice luogo potesse essere un punto d’incontro per quei ragazzi e ragazze che si definivano alternativi. Si definivano così per contrapporsi ai cosiddetti cuozzi, altrettanti ragazzi e ragazze che si identificavano in un gruppo con l’obiettivo di essere sempre all’ultima moda, o per meglio dire “quelli fighi”; e così ero sorpreso come attraverso queste categorie sociali venivano a crearsi delle differenze e l’identificazione del diverso già in un periodo dove conoscersi era importante.
Oggi quando si parla di diversità, possiamo fare riferimento a tante varianti: genere, religione, cultura, orientamento politico o sessuale e chi più ne ha più ne metta.

 

Un occhio di riguardo

Un’occhio. Due occhi. Quale potrebbe mai essere la differenza? Nella società moderna immaginata da Aminder Dhaliwal, esseri umani e ciclopi convivono tra le pagine di “Cyclopedia Exotica”.
Ma come si può immaginare, ciò che è “diverso” da noi un po’ spaventa; ed è proprio ciò che l’autrice cerca di spiegare sulle pagine della sua graphic novel e con l’intreccio delle storie dei vari protagonisti, echi di personaggi mitologici.
La narrazione inizia con il primo numero di Playclops (una sorta di Playboy per ciclopi, nda), dove in copertina si trova Etna, acquistato dall’aspirante modella Latea; qui già un primo confronto tra i personaggi, da una parte si ha la prima modella ciclope che ha posato la prima pietra per l’accettazione della diversità e dall’altra un personaggio che vive in una società già più tollerante e che sembra essere “l’evoluzione sociale” di Etna.
La figura di Etna ricorda Donyale Luna, la prima modella di colore a posare per le riviste e che è stata anche la pionera per l’accettazione da parte della società per le minoranze.

Se con Etna e Latea l’autrice mostra e ci immerge in una sorta di evoluzione temporale per l’accettazione della minoranza, con il rapporto di coppia di Tim e Pari ci porta ad un livello totalmente diverso; sono una coppia mista, dove Tim è un “due-occhi” (come ci descrive l’autrice, nda) e Pari è una ciclope. Anche qui si può riscontrare una dualità particolare poiché Tim rappresenta lo stereotipo del “fortunato”, colui che ha vissuto in una società che lo accettava, mentre dall’altra abbiamo Pari che richiama quella parte di minoranza che deve costantemente mostrare il suo valore; con la figura della ciclope vediamo il tema delle minoranze con un buon lavoro ma privi di un modello da seguire, quindi Pari vive una crisi d’identità poiché essendo anche madre di due bambini (una due-occhi e un ciclope) non sa se dedicarsi alla propria carriera o solamente alla famiglia. E su questo pure ci sarebbe da parlare!

Crisi d’identità e accettazione del sé

 

Se prima abbiamo visto il rapporto tra individuo e società, in questa parte dell’articolo si andrà per il rapporto con il sé. L’autrice non si è risparmiata sulle tematiche e con Pol e Bron ci porta ad una visione più intima dell’individuo; Pol è un ciclope che ha avuto una vita difficile ma nonostante ciò si è sempre messo in gioco, cercando di raggiungere i suoi obiettivi e senza troppe problematiche nonostante la sua giovane età ma la prematura calvizia. Mentre Pol è l’identificazione dell’accettazione del sé, poiché ha passato la sua vita ad amarsi, la figura di Bron è di tutt’altro avviso. Bron è la crisi d’identità fatta persona, ha passato la sua vita vedendosi costantemente in svantaggio e al contrario di Pol si è impegnato per cambiare e somigliare ai “due-occhi” più che cercare una sua strada; il ciclope nel non accettarsi arriva ad operarsi all’occhio, un’operazione che all’inizio sembra renderlo felice ma che si rivolta contro e portandolo in una situazione dove la sua identità è in bilico tra i due mondi: essere ciclope o un due occhi.
Bron vive la sua identità da ciclope come un’ostacolo alla sua felicità tanto che arriva a denigrare “L’occhio di Suzy” , un libro per bambini che racconta dell’identificazione e appartenenza; il rapporto tra il ciclope e il romanzo è anche un tentativo da parte dell’autrice di parlare del tema delle storie, di quelle storie che raccontiamo a noi stessi e che ci vengono raccontate ma che contribuiscono alla nostra definizione. Ma un incontro fortuito porta l’insicuro Bron ad accettarsi e ad identificarsi con la sua origine, riportandolo alla sua infanzia e ad una nuova lettura del libro che ha tanto evitato.

Piccole curiosità

I nomi utilizzati dall’autrice per i suoi ciclopi (e non solo) fanno tutti parte (o quasi) della mitologia greca. Una piccola nota va alla ciclope Etna, chiamata come il vulcano presente sull’isola della Sicilia e secondo la mitologia è lì che risiedevano i ciclopi; così oltre ad essere un omaggio alla nostra amata isola, Etna riesce ad essere anche una sorta di “genitrice” dell’identità ciclopica all’interno del fumetto. Per chi fosse curioso di conoscere meglio le storie scritte da Aminder Dhaliwal, il fumetto è edito in Italia da Edizioni BD.

Restare fermi

Restare fermi

“I’d rather be a rising ape than a falling angel.”

 Terry Pratchett

In una società dove bisogna sempre essere in movimento, fermarsi diventa un atto di ribellione. Qualcuno potrà dire che negli ultimi due anni ci siamo fermati anche troppo, che ora bisogna muoversi per tornare alla normalità. Ma esattamente cos’è la normalità? A quanto pare la normalità è quel fattore che varia a seconda del genere, della professione, dell’età e addirittura dal colore della pelle.
Ma spesso la normalità non è altro un aspetto negativo per fermare la mente. E accettare determinati pensieri che vanno a ledere il prossimo

Indomite

Se fuori non piove e sono libero da impegni, mi piace passare il mio tempo libero tra librerie e fumetterie. E ogni volta che vado qualcosa riesce ad attirare la mia curiosità, che sia una copertina o i consigli lasciati da sconosciuti lettori e così finisco sempre per uscire dal negozio di turno per ritrovarmi uno o più volumi nel mio zaino; tra gli ultimi volumi acquistati e che ho trovato davvero interessanti ci sta Indomite di Pénélope Bagieu, una graphic novel dove si racconta di donne che con il loro impegno e sacrifici hanno lasciato un segno nella storia costellata da uomini. Indomite non è solo una graphic novel ma è un messaggio, che spesso dimentichiamo in una società dove essere diverso spesso è un problema. Non parla solo di scoperte ma anche di drammi, vite difficili che hanno formato il carattere e la persona di tantissime donne ed è un romanzo che va dedicato a tutte quelle persone che ogni giorno affrontano delle sfide avverse; indomite sono quelle donne che non si arrendono, che hanno obiettivi ben prefissati nella loro mente e non si fanno scoraggiare da una società che cerca di relegare al solo ruolo di anima del focolare. Un esempio? L’astronauta Samantha Cristoforetti di recente è partita per una missione nello spazio e ad alcune figure politiche non interessava molto del ruolo e dell’importanza dato da questo evento internazionale ma tenevano a cuore come una donna decidesse di abbandonare la famiglia; indimenticabili le parole del senatore Simone Pillon pronunciate l’anno scorso, quando Cristoforetti è stata nominata per ricoprire il ruolo di comandante della ISS:

 

“naturale che i maschi siano più appassionati a discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria per esempio, mentre le femmine abbiano una maggiore propensione per materie legate all’accudimento”

Nonostante passino gli anni, commenti del genere non tendono a sparire. Il lato tossico di una società dove essere donna significa quasi sempre ricoprire un ruolo marginale e mettere in secondo piano tutto il resto. Da una parte abbiamo assistito come il genere vada ad influenzare così tanto il ruolo da negare l’importanza che ha la persona, dall’altra ci sono episodi che non fanno altro che sottolineare come il genere sessuale e l’occupazione vadano a braccetto a tal punto da dissacrare ciò che è una persona; se con la Cristoforetti siamo arrivati a toccare le stelle, con il caso di cronaca nera di Carol Maltesi abbiamo toccato le più profonde nefandezze. In questo triste evento la vittima sembra che sia morta due volte: la prima per mano di un uomo e la seconda attraverso i social, dove i commenti non si sono risparmiati per la professione della donna. Perché si sa, parlare di sesso o lavorare come sex worker in automatico ti declassa in una società ancora troppo puritana dove chi giudica sembra non praticare certi rapporti e che quindi si scandalizza a leggere o vedere certe cose.
E per queste situazioni mi dispiaccio, sperando sempre che certe dinamiche smettano di esistere, poiché l’Italia è un paese che riesce a restare fermo mentre tutto il mondo va avanti.
E’ quel paese dove le differenze le senti, quelle differenze che ti portano a stare fermo ma che alla fine uno non riesce e ha bisogno di cambiare. Differenze tra Nord e Sud, tra uomini e donne, tra religioni. Ma anche culturalmente, per non farci mancare nulla. Sembra proprio che l’Italia, o meglio gli italiani, siano propensi a stare fermi e che a volte sembra di tornare indietro, fino al Medioevo.
Se restare fermi a volte serve per ricaricarsi, in altri momenti dovremmo essere i primi a mobilitarci per poter costruire una società migliore. Onore a quelle persone che ogni giorno sono pronte a lottare per il prossimo, rispetto per tutti a prescindere dal genere o dalla provenienza culturale.

Conflitto continuo

Conflitto continuo

“Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontare, il valore nostro”
Umberto Eco – Costruire il nemico



Penso di non aver mai cancellato e riscritto un articolo come questa volta, mai realmente convinto di ciò che stessi provando ad esprimere. Volevo inizialmente parlare di guerre girate in una serie o in un film, scritte in una graphic novel o addirittura giocate su schermo con un controller in mano e di trovare un collegamento a ciò che sta avvenendo in Ucraina.
Poi mi son ricordato di un testo di Umberto Eco in cui spiegava di una sua esperienza in America in cui gli chiedevano chi fossero i nemici degli italiani, lasciandolo dubbioso sulla risposta da dare e infine scritta sul saggio “Costruire il nemico e altri scritti occasionali”.

Mentre Eco nel suo saggio spiega come un popolo si identifica solo attraverso un nemico, oggi ragiono su un discorso più generico: l’essere umano è il nemico di se stesso.
Per renderci conto di questo non basta vedere lo scoppio di una guerra, basta leggere i commenti ad una notizia, guardarsi intorno per vedere come l’individuo si comporta verso il prossimo o semplicemente collegarsi ad un social per capire quanto i conflitti siano la base dell’esistenza umana. Esagero? Forse. Però è innegabile che nel prossimo ci sarà quasi sempre qualcosa che guarderemo dall’alto in basso, cercando di dimostrare quanto noi siamo migliori di loro; in questo processo tendiamo, chi volontariamente e chi involontariamente, a circondarci di persone che hanno una visione del mondo simile a noi e nel momento in cui c’è un piccolo cambiamento in questo modo di vedere la realtà non facciamo altro che allontanare il prossimo.

Due anni fa il mondo entrava in stato di emergenza per la pandemia e poco tempo dopo si profilarono due schieramenti, da una parte chi diceva che il covid non esisteva e dall’altra chi invece ci credeva; ora non ci sono state vittime per queste discussioni, se non quelle che hanno contratto il virus purtroppo, però era interessante vedere come si trovavano e utilizzavano notizie palesemente false o dati sballati pur di cercare di aver ragione. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è come l’argomento si sia evoluto, prima l’esistenza del covid, poi all’utilizzo o meno delle mascherine per arrivare allo stadio finale: il vaccino e i no vax. Con lo scoppio della guerra in Ucraina sembra che le discussioni siano andate a diminuire ma non l’esistenza costante di due gruppi (e sottogruppi) in continuo contrasto ideologico.

Come si può evitare un conflitto ideologico? Credo che la soluzione migliore sia l’ascolto e il confronto invece che uno scontro continuo con chi ha una visione diversa dalla nostra.

Tell you you’re the greatest
But once you turn they hate us
Oh, the misery
Everybody wants to be my enemy
Imagine Dragons – Enemy

Colour Pass

Colour Pass

Who watches the Watchmen?”

Alan Moore – Watchmen

 

Tonalità psicologiche

Nel XXII secolo la società umana ha raggiunto un elevato sviluppo tecnologico tale da riuscire quasi ad eliminare il coefficiente criminalità dalla società. Con questo incipit sembra io vi voglia parlare di Minority Report ma invece l’argomento sarà Psycho-Pass di Akira Amano. Questa società utopistica/distopica riesce a valutare i propri cittadini attraverso un sistema governato da un’intelligenza artificiale chiamato Sibyl System e che viene gestito dal Ministero della Sanità attraverso il pugno di ferro dell’ufficio di pubblica sicurezza. Ispettori ed esecutori sono gli agenti incaricati di bloccare e prevenire la diffusione della criminalità, agendo attraverso l’utilizzo dei Dominator armi che permettono la lettura del coefficiente di criminalità e di decidere a seconda del valore riscontrato, se la vittima va riabilitata o eliminata.
Anche se questo anime crea un’immagine distopica di ciò che è la disciplina psicologica, a mio parere ognuno di noi avrebbe bisogno di fare almeno una seduta da uno psicologo. Eppure il governo italiano ha bocciato l’emendamento in cui veniva dato un bonus psicologico che sarebbe stato utilizzato a soccorso di quelle persone che hanno bisogno di esternare quei malori che ancora oggi sono visti come delle mere invenzioni mentali, create da quei soggetti che “cercano semplicemente attenzioni”.

Panopticon

L’intera società si basa sullo sviluppo del proprio coefficiente psichico che definisce determinati valori che portano il soggetto ad essere considerato un criminale latente o un cittadino normale. Questi valori sono divisi in 3 scale di identificazione: da 0 a 99 il soggetto è considerato un cittadino “normale”,da 100 a 199 un criminale latente che ha bisogno di essere supportato e reintegrato attraverso cure mediche mentre se il valore supera i 200 il soggetto va eliminato attraverso il dominator.
La popolazione vive costantemente sotto l’occhio vigile delle intelligenze artificiali e qualsiasi variazione in negativo, viene immediatamente segnalata agli ispettori ed esecutori; questo gruppo di individui sono formati da agenti con un coefficiente basso, quasi immacolato e da ex criminali latenti che sono stati scelti per redimersi e diventare socialmente utili.
In questa società distopica avere un valore negativo definisce il soggetto un pericolo per gli altri ed è quindi costretto a fuggire/curarsi, impossibilitando il criminale a giustificare; ci ritroviamo in una società in cui gli eventi negativi non sono “giustificabili” per ciò che porta il soggetto a provare, come si può riscontrare all’inizio della serie dove una donna subisce una serie di violenze dal suo rapitore e che una volta liberata viene considerata una criminale latente per via del valore che ha assunto il suo psycho-pass. Questo è un importante parallelismo con la nostra realtà poiché malattie come la depressione, sono viste come invenzioni e le persone che ne soffrono vengono in qualche modo allontanate e portando ad un risultato di peggiorare la situazione.

Essere psicologicamente vulnerabili

Siamo esseri emotivi, che ci piaccia o no. Viviamo in base alle esperienze, alle emozioni positive o negative che siano, agli umori che ci circondano e tutte queste cose insieme vanno a creare un nostro percorso; siamo esseri psicologicamente vulnerabili e come tali dobbiamo prenderci cura di noi stessi in primis e poi di chi ci circonda, poiché non è possibile curare o aiutare il prossimo se per primi non siamo in grado di stare bene.
Ecco una cosa che dovremmo fare è avere una sicurezza emotiva che ci porti a mitigare ciò che l’esterno ci scaglia addosso. Perché come ha detto Drusilla Foer quest’anno a Sanremo “Per capire la nostra unicità dobbiamo capire perché lo siamo e quali talenti ci rendono unici, quali convinzioni e quali idee. Senza contare le paure, i dolori e le fragilità che vanno affrontate. Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità

Oh Rabbia!

Oh Rabbia!

“I never knew till now, it’s not the dates that matter… it’s the dash.”
Henry Altmann

Sapete cosa dura in media 90 minuti? Una partita di calcio, se si escludono i minuti di recupero. Oppure come scopre Henry Altmann è la cottura di un tacchino al forno, oltre a quanto gli resta da vivere nel film The Angriest Man in Brooklyn.
Il protagonista del film, l’ultima interpretazione di Robin Williams, è un uomo di mezz’età che ha un problema : non è in grado di gestire la sua rabbia.
Ma questa rabbia non è dovuta al carattere ma è provocata da ciò che lo circonda, una società stancante. Ed io come Altmann, sono stanco di una società così. Una società che ogni giorno dimostra che non esiste uguaglianza, non esistono pari opportunità, non esiste potersi definire esperto in qualcosa ed essere ascoltato. Stanco delle persone che vogliono per forza sapere come ti senti mentre indossi una maschera e rispondi “tutto ok”, per non dover spiegare che non è tutto ok.
Stanco di quelle persone che giudicano perché hanno sentito dire qualcosa ma non si sono preoccupate di capire meglio, stanco dei pregiudizi perché vieni da una città diversa. Stanco di dover fare attenzione al prossimo ma che il prossimo invece se ne frega.
Un po’ Henry Altmann lo capisco, dover reprimere le cose e poi esplodere ed essere additato come l’esagerato. Perché in fin dei conti persone come me tendono ad accumulare e diventano delle bombe ad orologeria, che una volta che il timer segna 00.00 esplodono. E fanno danni.
Quei danni che poi restano lì, si cicatrizzano e li nascondiamo nel profondo del nostro cervello e che tornano a galla di tanto in tanto a ricordare che abbiamo sbagliato. E che siamo stanchi. Stanchi di sbagliare ed essere giudicati per gli errori, mentre siamo dimenticati quando siamo bravi. Stanchi di non essere all’altezza e di deludere chi pone delle aspettative in noi,
Stanchi di non poter essere sempre noi stessi ma di doverci nascondere per essere accettati
Stanco di un ruolo che non ho chiesto, di essere vittima e carnefice.
Stanco da un po’ di tempo di una vita che è una routine pericolosamente ripetitiva.
Stanco e con un forte desiderio di cambiamento.
scusate se a questo giro vi lascio dei miei pensieri.