Vi sarà capitato di sentir dire che i detti popolari ci prendono sempre, che bisogna fare cieco affidamento a questi e alla loro forma di saggezza. Così anche quando abbiamo deciso di affrontare come prossimo tema quello relativo alla speranza mi sono venuti in mente due proverbi, il primo più ottimista che asserisce che la speranza, in fondo, è l’ultima a morire.
Risentito da tanto ottimismo il mio es non ci ha messo molto a ricordarmi che per un detto che si affida ciecamente alla speranza, un altro si abbandona fatalmente alla disperazione e mi ha ricordato che chi di speranza vive disperato muore.
Il 2020 è stato fondamentalmente questo, un lungo anno che ci ha portato a vivere un’altalena intensa di emozioni in cui abbiamo perso più volte la speranza: abbiamo attraversato i primi mesi dell’anno, quando tutto sembrava così irreale e ci sentivamo spaesati e perduti. Ma abbiamo vissuto anche momenti di speranza, come quando a maggio con l’avanzare della primavera siamo rinati, con fiducia abbiamo creduto che il peggio ormai fosse alle spalle. Siamo ricaduti nella spirale di paura e sfiducia quando in autunno con l’accorciarsi delle giornate abbiamo cominciato a vedere il numero dei contagi aumentare.
Ma in fondo quello che non ci siamo detti è che in questo anno, come sempre abbiamo vissuto le nostre vite, nelle nostre città e le abbiamo trovate nel bene e nel male cambiate. Abbiamo trovato un attimo di sollievo nelle camminate estive, notturne, per le strade strette dei nostri centri storici e abbiamo vissuto momenti di panico in fila al panificio quando tutto ci sembrava così assurdo e insensato.
Ma abbiamo anche immaginato di poter vivere un miglioramento, di poter vedere le cose cambiare in meglio. È quello che in questi giorni ci ripeteremo molte volte e che proietteremo a questo 2021 che si appresta ad incominciare. Sappiamo, però, che l’immaginazione non basta, abbiamo bisogno di agire anche nel nostro piccolo. Noi ci proveremo a cambiare qualcosa e non possiamo che augurarci di avervi al nostro fianco.
Una delle peculiarità più interessanti relative alle nostre esistenze riguarda il valore simbolico che le date riescono ad assumere per noi e per chi ci circonda. Per tutta la nostra vita ci districhiamo tra date e ricorrenze, molto spesso senza essere totalmente consapevoli di quello che alcuni giorni hanno significato. Il 23 novembre 1980 è spesso vittima della stessa sorte: diviso tra ricordo delle vittime e degli sfollati, commemorazioni e interminabili discussioni ed elucubrazioni (sacrosante) su quella che è stata la ricostruzione e sugli effetti che ancora oggi si ripercuotono sulla nostra terra, vive però di un certo, apparente, distacco tra le generazioni più giovani, quelle che spesso vengono chiamate le generazioni del post terremoto.
Ma è proprio per queste e con queste che oggi vogliamo ricordare questa data. Il sisma del 1980 ha segnato una sorta di anno 0 per la nostra terra dividendo drasticamente tutto quello che c’era prima e tutto quello che viene dopo. Gran parte della nostra banda è nata negli anni successivi a quel 23 novembre, ma non per questo non è stata toccata da questo tragico evento.
Per anni i nostri genitori e i nostri cari ci hanno raccontato quella domenica, col tempo abbiamo imparato a memoria ogni dettaglio di quel giorno e così non di rado vi potrebbe capitare di sentir parlare qualcuno di estremamente giovane che in occasione del Terremoto potrebbe esordire dicendovi: “Quel giorno faceva molto caldo e il cielo aveva un colorito rosso e poi l’Avellino aveva fatto una grandissima partita, avevamo vinto 4-2 contro l’Ascoli…”
Abbiamo costruito una nostra personale memoria del sisma derivata dai ricordi altrui e l’abbiamo introiettata a tal punto che abbiamo, inconsciamente, costruito le nostre identità e la nostra stessa collettività in funzione di questa. Percorriamo strade ricordando palazzi che non abbiamo mai visto, ci orientiamo usando riferimenti conosciuti solo attraverso il ricordo e talvolta analizziamo le belle giornate tardo autunnali, atipiche per l’Irpinia, con animo preoccupato.
Certo non siamo solo questo, a distanza di quarant’anni siamo figli degli effetti sociali e culturali di una ricostruzione a metà che se possibile ci ha resi ancor più precari di quanto potessimo essere.
Di questo e molto altro ne abbiamo parlato in un lavoro cartaceo che vedrà la luce nel prossimo mese. Avremmo voluto far uscire lo stesso per la data di oggi, ma le difficoltà ambientali che stiamo vivendo non ci hanno consentito altra scelta se non quella di rimandare la diffusione del nostro lavoro.
In attesa del cartaceo di Scarpesciuote vi ricordiamo che nel corso della settimana ci saranno piccoli gesti simbolici volti a ricordare quel tragico giorno. Il primo ci sarà stasera alle 19:34 quando insieme a Laika project e ai Parroci don Fabio e don Ranieri ci riuniremo simbolicamente per 90 secondi attraverso il suono delle campane.
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