da Andrea Famiglietti | Giu 17, 2021 | Riflessioni
Parlare o addirittura ripensare al passato è una pratica che ci pone di fronte ad un ampio ventaglio di emozioni e reazioni. Il passato è qualcosa che ritorna spesso nelle nostre vite. I tanti coetanei che vivono e lavorano all’estero o in altre città ne sono un valido esempio.
Questi fanno i conti con il proprio passato ogni qual volta che ritornano in paese. Ritrovano sempre la strada sotto casa un po’ cambiata e al solito bar dove si incontrano le stesse facce, qualcuna presenta sempre qualche ruga in più.
È facile, in questo caso, lasciarsi andare ai ricordi e al passato. Cominciano tutti col ricordare. Basta un semplice pretesto, anche il più piccolo, come quando si osservano dei ragazzini giocare per strada a calcio, per ritornare indietro con gli anni.
Ed ecco che subito ci si volge al passato, anzi ci si rivolge, non senza un certo fondo di giudizio. “Dopotutto le partite erano organizzate sicuramente meglio, anche se gli abiti erano sempre gli stessi, ovvero un paio di scarpe bucate, un paio di pantaloncini e una maglia di calcio falsa comprata in qualche mercato cittadino. Si era sicuramente più genuini. Ci si sentiva comunità, parte di una famiglia allargata. Una condizione che sicuramente i nostri eredi, in abiti all’ultimo grido e con lo smartphone sempre in mano, non potranno comprendere”. Ma sicuramente il discorso prosegue e con esso anche il giudizio. “Non sembrano presi dall’agonismo, quello sano, quello delle fratture e delle ginocchia sbucciate”.
Ma queste affermazioni nascondono altro. Infatti, oltre l’apparente rievocare e giudicare, si cela un’idea di città che si percepisce trasformata e cambiata. Una città diversa nelle sue strutture fisiche e sociali.
Così, il ricordo, lo sguardo al passato diventa uno strumento di lettura ed interpretazione del presente e delle trasformazioni che da esso ne derivano. Ci si risveglia coscienti di aver intorno una città che negli anni è cambiata. Ed è proprio grazie a questa pratica rievocativa che il passato compie l’azione più forte ed importante, ovvero di renderci attenti a ciò che ci circonda quotidianamente.
Non un piano urbanistico comunale (PUC), non una seduta di un consiglio comunale e nemmeno un articolo di giornale. A renderci coscienti di quello che ci circonda sono le memorie, i ricordi che ognuno di noi ha dei luoghi e degli attori ad essi connessi, ma sono poca cosa se non vengono condivisi e resi collettivi.
Un processo comune di memoria invece rappresenta un’importante chiave di lettura delle realtà cittadine ed è anche di questo che avremo bisogno.
da Antonio Lepore | Mag 12, 2021 | Abbecedario di provincia
All’improvviso su facebook un post su Blockbuster e per un attimo larghissimo ritorno ad essere quell’adolescente con i capelli spettinati di sonno e le sigarette rotte in tasca. Varcavo la soglia d’ingresso del punto vendita qui vicino sempre con meraviglia ed un pizzico di paura perché – esulta il boomer dentro di me – non erano tempi come quelli di oggi.
Se avessi sbagliato il film, non avrei avuto l’immediata possibilità di salvare la serata né probabilmente i soldi necessari per noleggiare un’altra cassetta il giorno successivo. Così, manco stessi all’ultima domanda di “Chi vuol essere milionario”, mi aggiravo con ansia tra gli scaffali. Scartavo immediatamente gli horror, i musical (dovevano estinguersi loro e non i dinosauri) e i thriller. Il “mio” reparto erano le commedie romantiche: cazzo che sbronza l’adolescenza. E ricordo nitidamente che prima della cassa era obbligatorio affrontare il tunnel delle leccornie: snack americani ed eccessivamente giganti, patatine al gusto di tutto che i miei occhi provinciali non avevano mai visto e gadget inutilmente necessari. Credo che Blockbuster sia stato la sintesi di ciò che è stata la mia, la nostra adolescenza: scelte un po’ a culo e quotidiane attese.
Non avevamo la possibilità di leggere recensioni cinematografiche né di poter switchare se la prima scena era già una rottura di coglioni. E quindi ci fidavamo di più del nostro istinto: la locandina del film, il consiglio dell’addetto (lì ho imparato ad avere maggiore fiducia nel prossimo), il rischio delle decisioni a pelle, un sentimento che poi negli anni abbiamo sotterrato sotto Tripadvisor e compagnia bella.
E le lunghe attese abbiamo detto prima. Sì, bisognava pazientare per rivedere una scena o per riascoltare la sua voce che il cellulare costava. Pure masturbarsi diveniva un lunghissimo percorso di piacere e non per doti nascoste bensì per colpa di quel maledettissimo modem 56K: sono quasi certo che le mie prime esperienze sessuali le abbia avute con un capezzolo pixellato malissimo (ma pur sempre eccitante).
Ribadisco, scelte un po’ a culo e quotidiane attese: questa è stata la nostra adolescenza, quegli anni che forse vorrei rivivere almeno per un giorno però se ci penso va bene così. Anche oggi è bello, magari se vivessimo più staccati dallo smartphone e dai pensieri altrui sarebbe ancora più bello. Lo so, sono parole che sanno un po’ di qualunquismo, ma nel mio cuore sono ancora forti le emozioni della scoperta, di quell’attesa per vedere le nostre facce l’una accanto all’altro dopo non so quanti giorni e la consapevolezza che è necessario anche sbagliare un film e andare a dormire. Troppo facile, infatti, aprire Netflix e avere subito una seconda possibilità. Mica è così la vita.
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