La commedia del…terrore

La commedia del…terrore

“Supponete che i pensieri siano palloni: l’ansioso ci si ferirebbe lo stesso.”

Henri Michaux

Premessa: nella brevissima presentazione di questo film darò per scontato che siete consapevoli dell’importanza del cast attoriale e tecnico citato. In caso contrario, vergognatevi oppure chiedete a google.

Ora possiamo proseguire il viaggio estivo di questa rubrica, momentaneamente dedicata ai film da visionare comodamente sotto l’ombrellone grazie al Tubo. È il momento di una commedia intitolata Il Clan del terrore (titolo originale, The Comedy of terrors). Il nome e gli attori principali potrebbero trarvi in inganno, il lungometraggio è tutt’altro che terrificante e andrebbe classificato come una riuscita e spassosa parodia dei film horror dell’epoca.

Perché guardare questo film senza che vi anticipi nulla della trama?

  1. Perché gli attori principali sono: Vincent Price, Boris Karloff, Peter Lorre e Basil Rathbone;
  2. Perché il leggendario Boris Karloff nei panni del suocero rimbambito è fenomenale;
  3. Perché tutti gli attori durante le riprese se la sono spassata a punzecchiarsi esattamente come potrete notare dalla sceneggiatura del film;
  4. Perché il regista questa volta non è il maestro Roger Corman, ma quel mezzo francese di Jacques Tourneur (Il bacio della pantera, 1942 e Ho camminato con uno zombie, 1943) e scusate se è poco;
  5. La sceneggiatura è di Richard Matheson;
  6. Vincent Price, nel suo essere un semidio, grazie allo script ha l’occasione di lasciarsi completamente andare…
  7. C’è anche un cameo di Joe E. Braun (vedi A qualcuno piace caldo di Billy Wilder… “Nessuno è perfetto!”)

Buon divertimento a tutti.

Signore e signori, direttamente dal 1964, senza aria condizionata ma con la mascella pronta alle risate…

E tu che sagra scegli?

E tu che sagra scegli?

È una prerogativa molto interessante quella che ci costringe ad affidare le nostre speranze e i nostri desideri ad un segno, un simbolo. La primavera viene annunciata dal ritorno delle rondini (almeno se non vogliamo dare credito ai proverbi) e da una rigogliosa rifioritura che conquista lentamente spazio e città.

Anche l’estate non tradisce questa prerogativa. Ad esempio in Irpinia, l’arrivo dell’estate, viene solitamente sancito dalla comparsa dei manifesti 70×100 lungo le strade cittadine che annunciano una qualche sagra.

Molto spesso la stagione estiva viene anche definita la stagione delle sagre.

Come detto poc’anzi l’Irpinia, in questo senso, rappresenta un caso emblematico. Con i suoi 118 comuni riesce, ogni estate, a mettere in scena decine e decine di eventi.

Le conseguenze di questa situazione sono senz’altro due: la prima è che ci si trova in un girone da inferno dantesco, fatto di indigestioni dovute al troppo mangiare e dal troppo bere e la seconda è che molto spesso ci si ritrova a vivere un calendario pieno, mal al tempo stesso, molto omogeneo. Non di rado capita che paesi limitrofi si ritrovano a mettere in scena gli stessi eventi e con le stesse modalità, solo in tempi diversi.

ESTATE PERCHÉ TU ESTATE

Le ragioni per cui ci troviamo, solitamente, a vivere estati così intense e al tempo stesso così simili sono alcune e tutte strettamente connesse alle condizioni sociali ed economiche della realtà.

Sicuramente il fatto che la provincia di Avellino sia consapevole protagonista di una emigrazione di massa perpetua rappresenta una parte interessante della spiegazione da cui partire.

Il rientro dei lavoratori emigrati e dei tantissimi fuorisede comporta la necessità del territorio di dare vita ad eventi socializzanti utili a trattenere persone ed economie.

Per rispondere a queste necessità le soluzioni prevedono, da almeno trent’anni, l’organizzazione di sagre o eventi con artisti di strada. Un’estate piena di “sagra del …” e di “nome del paese – arte” dimostrano che tale processo non si è mai evoluto.

CONCLUSIONI

Chi scrive non è contrario a queste iniziative e all’incredibile attivismo che anima chi ogni anno si impegna, ma ritiene fondamentale intraprendere un nuovo percorso.

Andrebbe compreso che non si dovrebbe rispondere alla necessità di una vita di un territorio a stagioni alterne. Costruire eventi sociali e socializzanti attraverso l’elaborazione e la programmazione costante, ascoltando il territorio e non trasformandolo in un piccolo presepe fatto di naccare, tammorre e vestiti tradizionali.

Inoltre, si dovrebbe lavorare alla costruzione di una rete provinciali di comuni e attori territoriali capaci di creare un macro percorso fatto di piccoli percorsi territoriali.

Ci apprestiamo a vivere un secondo anno di stop dovuto alla pandemia e alle direttive anti – contagio, capaci di scoraggiare anche il più ottimista degli organizzatori, potrebbero essere utili per definire e costruire un diverso modo di intendere le realtà e con esso la creazione di eventi sociali e socializzanti di più ampio respiro e durata.