Il terreno di battaglia per me che non sono un guerriero

Il terreno di battaglia per me che non sono un guerriero

Avverto un po’ di ansia ma a qualcuno dovrò pur confidare questa verità che sento esplodere di realtà dentro di me: il progetto di “Scarpesciuote” è l’ultima possibilità che concedo a me stesso per indossare l’elmetto e combattere una vita che non mi soddisfa per nulla. Insomma, grazie a questa “banda” ho deciso il terreno di battaglia per cui vale la pena rischiare tempo, idee e quasi tutte le mie emozioni: ovvero dare vita ad un movimento fatto di articoli, iniziative, scambi di opinioni (e perché no, fateci sognare, una piccola casa editrice o qualcosa del genere).

La pandemia che ci ha travolto, poi, ha soltanto rafforzato questa volontà di invertire l’ordine naturale delle cose, almeno in Italia: non abbiamo né soldi né santi in paradiso, però che bello che ognuno di noi scriva di cose che ha a cuore e di vederci, per ora soltanto virtualmente, tutti quanti assieme e sognare che, un giorno, tutti noi staremo “al posto giusto”.

Sarà una speranza piuttosto banale, però negli ultimi decenni ci hanno privato innanzitutto della dignità. In ogni posto di lavoro – se così si può definire un’attività quotidiana mal retribuita e troppo spesso distante anni luce dagli studi affrontati e dagli occhi brillanti con cui ognuno di noi dovrebbe vivere l’ennesima giornata lavorativa – ci hanno “disumanizzato” fino al punto da desiderare soltanto una piccola tranquillità economica e basta.

Ed invece io, povero fesso e coglione, con “Scarpesciuote” vorrei riuscire a riappropriarmi di progetti emozionanti che, ascoltate bene, non sono soltanto destinati al fallimento o a quegli sguardi del cazzo di quel tipo che ha il posto fisso e che la domenica porta i pasticcini a casa (quest’ultima affermazione è causata dalla mia dieta e quindi dall’invidia che provo per chi può abbuffarsi in santa pace). Quindi, questo è il mio campo di battaglia: costruire un ambiente lavorativo dove ognuno può scrivere ed organizzare eventi che sognava da bambino o davanti al bar quando ad un amico diceva “in città manca proprio questo”.

Io, come si può ben notare, non sono il tipico esempio di guerriero, però desidero con tutto me stesso che queste parole, un giorno, diventassero realtà, soprattutto in contesti urbani come quello in cui viviamo, povero di slanci umani e culturali.

Un tentativo per non odiare i nostri sogni

Un tentativo per non odiare i nostri sogni

Quando abbiamo deciso il tema della settimana, ovvero “Perché esiste Scarpesciuote?”, avrei voluto rispondere come quel macellaio al giornalista quando gli chiese il motivo per cui quel taglio di carne costasse così tanto: “Ma io che cazzo ne so?” (il video, con ingiusto ritardo aggiungerei, è diventato una pietra miliare di Youtube Italia).


Tornando seri per cinque minuti, io credo che questo progetto sia nato per permettere ai componenti di questa “banda” di avere uno spazio a disposizione per essere liberi. Lo so, spesso abusiamo dell’aggettivo “liberi”, ma secondo voi non è libertà manifestare la propria opinione su di un tema partendo dalle proprie competenze?

Ecco, la prima cosa che feci notare ad Andrea quando ponemmo le basi di questa piccola iniziativa editoriale fu che troppe volte, pur svolgendo il lavoro che desideriamo, veniamo impiegati in ruoli che non ci competono oppure ci ritroviamo ad essere oberati di lavoro, e la conseguenza più diretta di questo perverso meccanismo è iniziare a provare odio verso il nostro sogno.


E quindi “Scarpesciuote” per me, e spero per tutti quelli che ci sono e ci saranno, rappresenta il vaccino migliore per difendere le nostre libertà, le nostre presunte competenze e soprattutto il nostro pensiero. Certamente non si campa soltanto di libertà e di speranza, e qui già sento la voce di Andrea che mi dà, e non so perché, del “democristiano”. Vorrei che piano piano, riflessione dopo riflessione, scazzo dopo scazzo, questo spazio di libertà cresca fino a provare ad essere una realtà editoriale affermata. A riguardo, un mio ingenuo sogno è quello di costruire qualcosa in grado di arrestare, almeno in minima parte, quella fuga di giovani che bene non fa (nonostante io mi trovi molto di più a mio agio con persone di una certa età).


Dunque, noi ci stiamo provando, nonostante sia complesso portare avanti questo progetto tra il lavoro, lo studio e qualche sana scopata: però ci crediamo e sono convinto che insieme faremo grandi cose (non sempre, ci saranno picchi di qualità e picchi di stordizie, come si suol dire in dialetto irpino, però saremo sempre noi).