Appunto importante: devi fare ciò che ti fa stare bene

Appunto importante: devi fare ciò che ti fa stare bene

È accaduto che ad un certo punto ho dimenticato chi fossi e dove stessi andando. Dal nulla svanisce la magia, quella scintilla che quotidianamente illumina il tuo vero obiettivo. A soffiarci sopra diversi nemici: dall’ansia del futuro ad un Paese come l’Italia che ti stritola fino ad ucciderti dentro all’alba dei trent’anni. Del resto Gianni Morandi era stato un ottimo profeta: (soltanto) uno su mille ce la fa. E gli altri 999?

Gli altri 999 smarriscono completamente la bussola a furia di reinventarsi. Il lavoretto per avere una cosa di soldi in tasca, l’ossessione per il posto fisso perché arrivato ad una certa devi tirare le somme, i pasticcini da mangiare la domenica, l’immancabile viaggio a Londra per fare il cameriere e ritrovare se stessi. Insomma, veniamo risucchiati da un gioco infernale ed una volta conquistato l’ultimo livello – nella maggior parte dei casi somigliante ad una vita tipo “50 volte il primo bacio” – ti accorgi che hai dimenticato chi sei e cosa pretendevi dalla tua vita, magari quando nel cuore sentivi quella meraviglia di irrequietezza adolescenziale.

Si può interrompere questo gioco? Si, è possibile, mica è Squid Game. Ma vi anticipo che è una faccenda assai complessa. Più avanzi e più ti convincono di quanto fosse sbagliato avere quelle specifiche aspirazioni: non si può campare di parole, per fare l’architetto ne devi mangiare di pane, per la start up devi chiedere un prestito che la banca non ti concederà mai. Sono diversi, dunque, i trucchi che utilizzano gli agenti dalle tute arancioni per farti desistere.

Anch’io stavo vincendo alla grande in questo gioco al massacro, però poi in auto mi è capitata una canzone che avevo completamente scordato che fa così:

“Voglio essere superato,
come una Bianchina dalla super auto
come la cantina dal tuo superattico,
come la mia rima quando fugge l’attimo.
Sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo
Superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene,
con le mani sporche fai le macchie nere
vola sulle scope come fan le streghe,
devi fare ciò che ti fa stare
devi fare ciò che ti fa stare bene”. (Caparezza- “Ti fa stare bene”)

Sembra scontato, ma un bug del gioco è proprio questo: fare ciò che ti fa stare bene, prendendoti i tuoi tempi e fregandotene degli altri. Non fermatevi alla banalità di questo concetto: ricordiamoci che le cose preziose spesso vengono nascoste in piena vista.

 

 

 

Chi ero, chi sono

Chi ero, chi sono

Cara Fabiana,

i muscoli indolenziti delle gambe, mi ricordano che le cose cambiano. Ieri, dopo più di un anno di stop, ho provato a fare un po’ di sport e, come natura vuole, oggi faccio fatica a muovermi. Questo mi riporta inevitabilmente con la mente al passato, quando uno status simile era di fatto impossibile, dato che in palestra ci passavo quasi tutti i giorni della settimana.

La mia testa mi riporta a un passato prossimo, vicino, l’ultimo periodo a Napoli. Mi domando perché proprio quel periodo e mi rispondo che forse è stato quello più bello, più vivo. Insomma non l’infanzia di cui si ricorda poco e niente, né l’adolescenza in cui si deve ancora capire bene chi si è, ma un arco temporale segnato dagli ultimi anni di studio e dall’ingresso nel mondo del lavoro.

In realtà il passaggio non è stato così netto. Il tratto distintivo che mi caratterizzava in quel tempo era l’arte di fare più cose contemporaneamente. Ricordo che c’è stato un momento in cui ricoprivo il turno notturno a lavoro e poi a ora di pranzo mi recavo all’università per seguire il Master, e poi andavo in palestra, e poi scrivevo, e poi ballavo salsa, e poi il tango. Ricordo che, quando descrivevo la mia giornata tipo, le persone restavano abbastanza sorprese dall’intensità del mio programma quotidiano. Ricordo che mi sentivo molto fiera.

Non che ora non lo sia, ma ci sono alcune cose che ho dovuto lasciare scivolare via dalle mie mani durante l’ultimo tratto di strada della mia vita. Per mancanza di tempo, questa è la scusa più comune da raccontare agli altri e a se stessi, per pigrizia, l’antipatica verità.

Sì, sono stanca e alla sera mi addormento sul divano mentre guardo la tv. Sono stanca e faccio decisamente meno cose rispetto al passato oppure è giusto dire che le cose che faccio ora sono sempre tante, ma non tutte corrispondono a cose di piacere.

La verità è che in quel passato prossimo di cui ti parlavo ero ancora una ragazza, mentre oggi, nel presente, sono ormai una donna. Prima ballavo, studiavo, lavoravo, scrivevo, ma poi tornavo a casa e non dovevo pensare più a nulla perché i doveri e le difficoltà, quelli veri, erano un problema di quei santi dei miei genitori.

Il trasferimento a Parma ha sancito il vero cambiamento, l’abbandono del nido per spiccare il volo. È stato bellissimo e lo è tutt’ora, perché ho partecipato alla mia trasformazione e, anche ora che ti scrivo, ho ben chiaro chi ero e chi sono. E sono fiera come qualche anno fa, anche se nessuno è più sorpreso dal mio programma quotidiano. E va bene così, perché, seppure i mille doveri a cui assolvo non sono degni di nota, io mi sento una donna forte. Stanca, ma forte.

Voglio dirti un’ultima cosa. Le scelte che ho fatto hanno comportato delle rinunce e, come ti ho già detto, lungo il tragitto ho dovuto lasciar andare alcune cose a cui tenevo. Altre le ho trattenute, come la scrittura. Non è detto, però, che le cose perse non possano essere recuperate in un secondo momento. Se ci si accorge di avere delle mancanze, delle malinconie, nei limiti del possibile bisogna rimediare. Io lo farò. Lo premetto a te che sei il mio passato e hai reso possibile il mio presente.