da Roberto Ciarnelli | Lug 20, 2021 | Fuori righe
Era una calda estate della mia infanzia e insieme a mio padre giravamo per un mercato dei libri nella città di Otranto. Rimanevo affascinato dalla quantità di volumi che erano presenti, la voglia di sfogliarli e leggerli tutti ma anche la consapevolezza che non tutti erano adatti a me e mentre mi immergevo in un viaggio di fantasia, mio padre mi riportò a terra regalandomi un libro che avrebbe cambiato qualcosa in me: il Gabbiano Jonathan Livingston.
Ricordo che quel libro lo divorai in un attimo, tanto che mi appassionò. Riuscì a superare il costante senso di nausea che mi accompagnava durante i viaggi in auto, pur di finirlo e scoprire cosa aveva di speciale quel gabbiano; alla fine della lettura mi ritrovai a pensare che un libro come quello non l’avevo mai letto e il segno che mi lasciò diventò indelebile.
Barriere di normalità
Nei nostri primi anni scolastici ci insegnano i confini tra le regioni, per passare alle nazioni fino a definire i continenti; oltre alla geografia ci mostrano cosa è giusto e cosa no e in fin dei conti anche prima dell’età scolastica, la nostra famiglia ci mostra ciò che è pericoloso e cosa no. Fin dall’infanzia veniamo portati a creare, a vivere e vedere continuamente intorno a noi delle barriere, a convivere con un concetto di normalità sociale e che a volte questo pensiero non è esattamente giusto.
Quelle barriere che quasi ci vengono imposte spesso ci creano più disagi e problemi invece di aiutarci a vivere una vita dignitosa, a realizzare sogni e superare quelle avversità che ci portano a dubitare di noi stessi e questo capita anche al protagonista del libro di Richard Bach che si ritrova ad inseguire il suo sogno di imparare a volare e di non limitarsi a ciò che lo stormo ritiene normale, ovvero mangiare.
Mentre cresciamo dall’ambiente domestico a quello scolastico, passando per l’università e finendo nel mondo del lavoro riusciamo a scorgere un numero illimitato di barriere, nascoste o visibili e che vengono richiamate in nome della normalità; barriere che limitano, che spaventano, che rendono il diverso (e anche qui bisognerebbe dare una definizione di diverso da accostare alla normalità) un individuo da cui dobbiamo allontanarci e temere.
É pur vero che siamo totalmente diversi dai gabbiani ma l’autore ha cercato ed è riuscito egregiamente a trasferire il concetto che abbiamo della nostra società, il nostro modo di rapportarci alla vita e agli altri nel suo racconto e mostrandoci come noi stessi ci portiamo e creiamo delle barriere, anche in modo involontario, per salvaguardarci da ciò che il mondo ci propone.
Dalla felicità al dolore, dalla normalità all’irregolarità, dall’uguale al diverso e passando dal merito e punizione non facciamo che vivere in una società che impone barriere, tarpando le ali che ci porterebbero a realizzarci e migliorare come lo stormo buonappetito fa nei confronti del gabbiano Jonathan Livingston
“…un giorno, Gabbiano Jonathan Livingston, capirai che l’irresponsabilità non paga. La vita è l’ignoto e l’inconoscibile, ma noi siamo al mondo per mangiare, per restare vivi il più a lungo possibile.”
Un giorno capiremo che non tutte le barriere, fisiche e non, sono utili per proteggerci e crescere. Un giorno saremo liberi di poter volare oltre le barriere del pregiudizio e della paura, realizzando grandi cose.
da Andrea Cerrito | Lug 19, 2021 | Lo sbriglialacci
Il cervello umano è una macchina che elabora informazioni superiore a qualsiasi computer finora progettato. È così potente che ha bisogno di creare una complessa rete di schemi che lo proteggono da sé stesso, o meglio che permettono a chi lo usa di guardare la realtà senza essere sopraffatto dagli stimoli che vede. Per questo motivo la mente, la versione astratta del cervello, costruisce una sorta di barriere affinché le cose che percepiamo abbiano un senso e siano consapevoli a noi stessi. Infatti, si potrebbe considerare la coscienza stessa come uno spazio mentale circondato da una muraglia metaforica che fa da barriera verso quelle cose che non sopportiamo perché ci repellono o semplicemente perché si sovrapporrebbero ad altre informazioni e renderebbero la realtà un caos peggiore di quello che già siamo abituati a sopportare.
A questo punto è necessario dividere quelle che fin qui ho chiamato indistintamente barriere in due categorie: le funzioni psicologiche e le difese mentali. Quante volte, ad esempio, ci è capitato di trovarci in una folla rumorosa (ad un concerto, in discoteca o tra la folla mormorante) e di ascoltare un amico che ci parla mentre tutto intorno a noi c’è una confusione estrema? In quell’istante la funzione psicologica dell’attenzione crea una barriera tra noi, il nostro interlocutore e l’ambiente esterno concentrando le orecchie a ricevere con precisione i suoni emessi da chi ci sta parlando in modo da capire quello che sta dicendo nonostante, se si misurassero i decibel, la voce del nostro amico risulterebbe più bassa del rumore circostante. Altri tipi di funzioni come la presa di decisione, la risoluzione di problemi o la stessa memoria agiscono in modo da creare queste barriere mentali che filtrano le informazioni necessarie attraverso il modo stesso in cui operano e ci permettono di adattarci e fare quello che solo gli esseri umani sanno fare.
L’atra categoria di barriere sono le difese psichiche; diciamo che questo tipo di barriere sono un po’ più sofisticate delle prime descritte e, per questo, capita spesso di non riuscire a maneggiarle adeguatamente e, quando questo capita, di utilizzarle in modo da crearci vere e proprie barricate mentali tra noi e la realtà del mondo. Come avviene tutto questo?
Per capirlo bisogna considerare prima di tutto che oltre quella muraglia metaforica che circonda la coscienza risiede più o meno l’80% dell’attività mentale che quelli bravi definirebbero inconscia ma che, per evitare di offendere la psicoanalisi classica, mi piace chiamare inconsapevole. Questo spazio mentale è governato da regole leggermente diverse da quelle che organizzano la coscienza: se il mondo cosciente è organizzato secondo il principio di realtà della coerenza logica e dell’economia mentale, nella parte restante della mente vige il principio del piacere che deve essere soddisfatto prima di ieri. Anzi, deve essere continuamente soddisfatto visto che, in mancanza del principio di realtà, non c’è una temporalità definita e tutto succede contemporaneamente. Visto che, come si può immaginare, fuori dalla coscienza l’attività mentale è un gran casino, le difese mentali fungono da organizzatori psichici verso gli elementi che popolano questo “spazio” in modo da rendere sopportabile alla coscienza un pezzettino alla volta di questa babele di impulsi (che sempre quelli bravi chiamerebbero pulsioni o istinti). Il meccanismo d’azione delle difese psichiche si basa sul distorcere la realtà di un determinato impulso quel tanto che basta per essere autorizzato a superare la muraglia metafisica di cui sopra creando, in questo modo, una barriera tra la realtà di ciò che desideriamo e la rappresentazione cosciente del desiderio stesso. Esempio: subiamo una delusione d’amore e, come le più classiche scene di serie tv, ci viene voglia di mangiare del gelato davanti ad un film strappalacrime…o almeno questo è quello che ci raccontiamo! In realtà, il nostro impulso sarebbe quello di umiliarci pubblicamente pur di riottenere l’affetto e la dolcezza di cui la relazione d’amore finita ci ha privato. Essendo qualcosa di insopportabile da pensare o di semplicemente impossibile da ottenere, la nostra stessa mente crea questa barriera tra noi stessi e i nostri desideri (nel cui mondo, ricordo, vale solo la regola dell’appagamento) così da riuscire ad essere in grado di “pensare” un desiderio inaccettabile trasformato in voglia di mangiare cibi dolci e, in fin dei conti, di appagarlo seppur metaforicamente: non avremo riottenuto l’affetto perduto ma almeno siamo sazi di dolce.
I problemi vengono fuori quando queste difese psichiche vengono usate sempre allo stesso modo, per trasformare o sopprimere sempre lo stesso desiderio o, in conseguenza a tutto ciò, diventano esse stesse la lente attraverso cui leggiamo la realtà che ci circonda facendole organizzare le suddette funzioni psicologiche. Arrivati a quel punto la barriera tra noi e la realtà è diventata una barricata spessa e insormontabile, da tirare giù con l’aiuto di uno, più di uno, bravo.
PS: ogni riferimento a psicologi e professionisti della salute mentale è puramente casuale.
da Andrea Famiglietti | Lug 14, 2021 | Riflessioni
Esistono diverse città e poco importa se il nome è sempre lo stesso, conta poco anche il fatto che le strade siano sempre quelle e che saremmo capaci di attraversarle ad occhi chiusi senza avere particolari problemi.
Ciò che conta è che esistono differenti città per quanti sono coloro che la vivono quotidianamente. Esistono diverse città anche per i differenti momenti della giornata.
Questo articolo intende partire proprio da questa consapevolezza.
Spesso per necessità o per diletto ci ritroviamo a percorrere molte volte, anche nell’arco dello stesso giorno, le strade delle nostre città. Una pratica non certo inusuale e ai più noiosa, ma che nasconde in sé delle particolari e inaspettate chiavi di lettura.
Infatti, molto spesso nell’arco della giornata possiamo scorgere delle piccole o impercettibili trasformazioni che col passare del tempo divengono sempre più evidenti.
Un esempio su tutti può essere importante. Esiste una strada ad Atripalda che costeggia il fiume e che spesso diviene ritrovo, soprattutto nei mesi caldi, di appassionati della corsa podistica o di persone semplicemente interessate a svolgere qualche oretta di attività motoria libere da qualsiasi costrizione fisica.
Il percorso che è lungo poco più di chilometro lambisce due quartieri popolari cittadini che dimostrano perfettamente quanto ho precedentemente descritto.
Le stesse strade e gli stessi spazi subiscono una trasformazione radicale nel corso di ventiquattro ore. Durante le ore di luce si ritrova ad essere un luogo frequentato da decine di persone che svolgono le attività motorie lungo i bordi della strada. Mentre nelle ore serali si trasforma, immancabilmente, in luogo desolato.
L’abbandono delle strade da parte di coloro che si sono impegnati nelle attività motorie e sportive coincide con l’esaltazione delle criticità che il quartiere vive. Infatti, la scarsa illuminazione e una vegetazione invasiva costringono in molti ad interrompere la propria attività.
Ma se per chi si impegna in queste pratiche la soluzione è semplicemente quella di andarsene, tutt’altra situazione è per gli abitanti della zona che vedono limitata o, in alcuni casi, esclusa la possibilità di raggiungere il centro o le altre zone della città senza correre qualche rischio (le strade sono abbastanza larghe il che permette uno scorrimento veloce della viabilità).
Come ho già detto in precedenza le nostre strade spesso diventano luoghi di stratificazioni e di disuguaglianze, ma quello che emerge da questa piccolissima riflessione è la capacità che la città ha di creare frontiere e barriere.
Barriere che solitamente tendiamo ad identificare come visibili ed immobili, che ci condizionano con la loro azione chiara ed immutabile, sia di giorno che di notte. Queste, però, rappresentano solo una piccola parte. Molte altre, come quella appena descritta, sono indefinite e scarsamente visibili se non le si vive nell’intera quotidianità.
In conclusione, il compito a casa di questa settimana è proprio quello di porre maggiore attenzione alla presenza di queste e lavorare affinché queste vengano definitivamente abbattute.
da Lorenza Melillo | Apr 11, 2021 | Cartolina dalla provincia
L’ultimo lavoro di Bernardo Bertolucci è stato un corto di un minuto e mezzo
Una passeggiata nelle sue strade di Roma
Su una sedia a rotelle
La sua
Voleva mostrare le mille difficoltà che ha un disabile a muoversi
Voleva mostrare cosa significa sentirsi emarginati perché sul tuo tragitto manca un marciapiede
O una discesa
O un posto auto dedicato
Voleva mostrarcelo da disabile
Lui che ha girato il mondo senza porsi mai alcun limite
Quel limite lo ha trovato sotto casa
A Trastevere
Quel limite che incontrano tutti i disabili
Quell’emarginazione che continua ad essere un’ offesa
Che io vedo ovunque
Che mi rattrista
“Scarpette rosse”
Irpinia 2021
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