La mia autocensura quotidiana

La mia autocensura quotidiana

Io mi autocensuro ogni giorno perché ho paura di finire nel tritacarne di chi ritiene di avere il potere di utilizzare le parole giuste al momento giusto. Figuratevi che l’altro ieri, mentre facevo l’amore con la mia compagna, ho avuto paura di urlarle una parolaccia perché ho temuto il rischio di dover affrontare una successiva discussione su quali siano gli stimoli sessuali più adatti da inseguire mentre la felicità è lì ad un passo.

Io ho una fottuta paura del politicamente corretto, lo ribadisco. Me ne accorgo quando a tavola con amici e sconosciuti – a proposito, non tutti quelli con gli occhiali da sole ed un cane sono ciechi – reprimo a manetta il mio sarcasmo, anche quando si parla dei rumori provocati dalla mia masticazione e vorrei poter replicare “ma avete mai mangiato a tavola con i cinesi?”. Ed invece sto zitto, perché viviamo tempi in cui vige l’obbligo morale di accendere internet ogni mattina e leggere cosa si può dire e come si può dire, quali sono i film da scartare perché “la donna viene vista in una prospettiva maschilistica tipica del secolo scorso”, quali sono i pronomi da rivolgere a quel tale che oggi pretende del “loro”. Io mi sono perso, forse da quando al Festival di Sanremo ho visto consegnare dei fiori anche agli artisti maschili.

E non mi accusate di essere retrogrado, io rivendico soltanto la mia libertà. E non quella pretesa dai destroidi – che confondono la battaglia contro il “politicamente corretto” con la voglia di sbandierare con maggiore scioltezza le proprie stronzate – bensì la tranquillità di fare battute con il cuore e ridere persino delle tragedie della vita. A me questo manca. E ogni giorno mi sento più triste, più silenzioso perché a furia di rincorrere le “cose giuste” abbiamo smarrito l’umanità delle parole incerte, delle battute a vuoto, degli sguardi teneri dopo un gesto equivoco. Però il terrore di finire al centro di un post social è troppo più forte. Così, a poco a poco, mi sono affiancato a voi.