Avanti Palestra! Una storia italiana

Avanti Palestra! Una storia italiana

Dopo 22 anni la Sociedade Esportiva Palmeiras è campione di Sud America. La finale di Rio de Janeiro decreta il vincitore in maniera beffarda, il Verdaõ si aggiudica la competizione contro i rivali storici del Santos con un colpo di testa di Breno al 98esimo minuto (avete capito bene)!

Il calcio sudamericano regala emozioni senza risparmiarsi mai, nonostante il Maracanà svuotato dalle disposizioni anti Covid, la torcida verde non ha rinunciato a riversarsi per le strade di San Paolo per festeggiare un titolo che mancava dal lontano 1999.

A questo punto per qualsiasi lettore sarebbe lecito chiedersi: ma a noi cosa ci importa? Difficile rispondere che cosa significhi il Palmeiras per me, né è così semplice far capire il posto occupato da questa società nella mia storia familiare. La storia di questo glorioso club brasiliano è legata a doppio filo con la storia del nostro Paese, con la sue storie di emigrazione, avventura e coraggio, il coraggio dei tanti Italiani imbarcatisi nel dopo guerra per cercare migliori condizioni di vita, tra questi, i miei nonni.

Negli anni ’50 San Paolo del Brasile era un ricettacolo di etnie, culture, speranze e lavoro improvvisato. Le sue torride strade promettevano mondi nuovi e nuove prospettive, arenatesi poi con il tempo e grazie a dei prevedibili processi socio-economici che avrebbero portato a trasformare il sogno brasileiro in un incubo sconfinato come una favela. I miei nonni la domenica avevano un solo svago: il Palmeiras, lo stadio Palestra Italia, il ritrovo della comunità italiana, l’orgoglio di rappresentare il tricolore in un Paese sconfinato e malato di calcio.

Il Palmeiras nasce, infatti, come Palestra Italia nell’agosto del 1914 per volontà dei primi immigrati italiani a San Paolo, stupiti dalle performances del Torino e della Pro Vercelli giunte pochi mesi prima nell’emisfero australe in tournée. Lo stemma di casa Savoia e i rimandi al tricolore italiano vengono scelti ad eterna memoria delle radici italiane del club. La Puma, sponsor tecnico del club, ha omaggiato il passato del club presentando una maglia elegantissima, sulla quale è possibile intravedere impresso sulla divisa la stessa trama dei libretti migratori dell’epoca.

Il club è nato Italiano, ma ha impresso pagine importanti nella storia del Futebol Brasileiro: 10 volte campione del Brasile, 3 coppe nazionali, due Libertadores. Sontuosi campioni come Djalma Santos, Vavà, Roberto Carlos, Marcos, Rivaldo e Serginho hanno militato e vinto per il Verdaõ, che oggi deve accontentarsi delle vecchie conoscenze del calcio italiano come Luiz Adriano e Felipe Melo, più che sufficienti per portare il club a diventare campione del continente, acquisendo il diritto di sfidare il campione d’Europa Bayern Monaco nella coppa del mondo per club che si giocherà in Qatar.

Mio nonno è stato portato via da un tumore nel 1994, una vita di guerre, viaggi e sacrifici ha visto la fine già tanti anni fa. Il mio ricordo di lui si ferma all’infanzia, mentre a mia nonna, nonostante la salute mentale ormai precaria, ancora brillano gli occhi quando nomino il Palmeiras. Ricorda anche lei la gioventù, quelle domeniche assolate, la folla esultante, lo stadio gremito. È stata una storia popolare. È stata una storia italiana. Mio nonno è da qualche parte contento, a godersi le due Libertadores conquistate dopo la sua dipartita. Oggi più che mai…Avanti Palestra! 💚

L’attimo di Pablito

L’attimo di Pablito

La vita è composta da una sequenza di attimi banali e spesso continui e ricorrenti. Ci alziamo sempre alla stessa ora, ma la domenica si può fare un po’ più tardi. A colazione mangiamo sempre i cereali della stessa marca ma a volte ci concediamo il vizio di un cappuccino e di un cornetto. Andiamo lavoro anche se vorremmo già essere in vacanza. Una volta tornati a casa e ceniamo la prima cosa che ci capita per le mani. Dopo aver visto il solito programma alla televisione, andiamo a dormire e tutto ricomincerà da capo.

Se, come molti affermano, il calcio è metafora della vita, una partita può presentarsi noiosa e includente come la giornata qualunque di una persona qualsiasi. Nessuna conclusione in porta da parte di entrambe le squadre. Passaggi semplici in orizzontale. Possesso palla sterile e poco efficace. 0 a 0, nessuna emozione.

All’improvviso qualcosa accade. Il difensore, troppo sicuro delle sue doti, sbaglia il passaggio verso il proprio compagno. L’attaccante coglie l’errore. Intercetta la palla, corre verso la porta e segna. I più scettici definirebbero questa circostanza come un semplice caso. Il difensore ha solo sbagliato un passaggio e l’attaccante ha avuto fortuna ad intercettare il pallone e segnare.

Ma per i credenti del calcio non è così semplice come occasione. Da parte dell’attaccante c’è lo studio del difensore. Ha capito che avrebbe eseguito un passaggio superficiale. C’è l’osservazione minuziosa del pallone. Il centravanti puro conosce la sua circonferenza, la sua traiettoria e le sue deviazioni. Ci sono movimenti, a volte anche inutili, per smarcarsi. Uno è quello importante, uno è quello decisivo. Non è solo fortuna. È l’insieme di tutti questi fattori che porta all’illuminazione, allo scatto decisivo. Alla gloria. È il momento opportuno che cambia le sorti della partita.

I greci utilizzavano un termine per esprimere questo concetto: kairós, “il momento opportuno”, “il momento supremo”. Durante il chronos “il tempo lineare” e sequenziale, c’è un momento (kairós) in un cui qualcosa di meraviglioso accade. Nel Politico, Platone afferma che una delle qualità fondamentali dell’uomo politico è cogliere il kairós. Egli sa quando inviare gli eserciti a fare la guerra, sa quando è il momento di inviare ambasciatori in periodo di pace, sa quando emanare la migliore legge per la città. L’arte politica richiede intelligenza, creatività, astuzia e di cogliere l’occasione propizia nelle situazioni improvvise. Paolo Rossi ha colto il suo kairós a Barcellona il 5 luglio 1982.

Fa caldo quel giorno, come in tutta quell’estate spagnola del 1982. L’Italia aveva appena vinto contro l’Argentina nella prima partita della seconda fase a girone ma le polemiche e non si erano ancora raffreddate. La stampa non risparmiava righe per attaccare la nazionale dopo la prima deludente fase a gironi ma soprattutto ce l’avevano ancora per Bearzot per aver avuto la scellerata idea di convocare Paolo Rossi dopo i due anni di squalifica per il calcio scommesse e fin lì non ancora in forma e a secco di gol.

Come detto, fa caldo. Di fronte c’è forse la nazionale più forte di tutti i tempi. Falcao, Zico, Socrates, Cerezo, Junior. Nessuno aveva mai visto in campo una tale quantità di talento in un’unica squadra. Contro giocatori del genere si può solo attendere la fine della partita e dichiarare umilmente la propria inferiorità. Ma Paolo Rossi non ci sta. Sa che quella è l’occasione giusta per riprendersi il rispetto che merita. 5’ minuto di gioco. Sulla sinistra Cabrini fa partire un traversone. Paolo Rossi è all’interno dell’area di rigore. Si stacca dal suo marcatore, si allunga sul secondo palo lasciandosi dietro i difensori e insacca di testa. Il Brasile non si piega e pareggia poco dopo con il proprio capitano, Socrates. La Seleçao palleggia, forte del proprio talento. A un certo punto Rossi coglie l’incertezza nel passaggio in orizzontale di Junior sulla trequarti. Intercetta la palla, è più veloce di tutti. Corre verso l’area e al limite fa partire un tiro che il portiere verdeoro non può parare. 2 a 1, e così finisce anche il primo tempo. Nella ripresa il Brasile non si arrende. Falcao si porta al limite dell’area di rigore azzurra. Una serie di finte. Tiro di sinistro e palla che finisce nell’angolo in cui Zoff non arriva. 2 a 2. Sembra tutto perduto per l’Italia. Al Brasile serve anche un pareggio per passare il turno. Per la squadra azzurra si prospetta un rientro difficile condito dalle solite polemiche. Gli dei del calcio però hanno altri piani e Paolo Rossi lo sa molto bene.

Calcio d’angolo per l’Italia. La palla spiove in mezzo e viene respinta di testa fuori dall’area. Tardelli l’intercetta e fa partire un tiro al volo verso la porta del Brasile. Rossi è sulla traiettoria e devia il pallone in rete. 3 a 2 per gli azzurri. È il trionfo della nazionale, di Bearzot e di Paolo Rossi. Il dream team verdeoro è eliminato e l’Italia approda al turno successivo. Il resto è storia nota. Rossi segna altri due gol contro la Polonia in semifinale e uno contro la Germania Ovest in finale. L’Italia è campione del modo. Paolo si aggiudica il titolo di capocannoniere del Mondiale e a fine anno vincerà anche il Pallone d’Oro.

Il talento di Paolo Rossi consisteva nel giocare senza palla. Non aveva un grande fisico e per farsi spazio tra i rocciosi difensori degli anni ’80 ha dovuto sviluppare altre qualità. Dove non arrivava la potenza, arrivava l’astuzia e l’intelligenza. Rossi ha saputo cogliere l’occasione della vita in un’estate torrida del 1982. Più che nei trofei e nelle vittorie, la vera essenza del calcio risiede in gol come quelli di Paolo contro il Brasile. Qualcuno dirà che li ha potuti segnare per caso o per qualche coincidenza ultraterrena. Dietro quei gol si nasconde la sua capacità di saper leggere le situazioni (il primo), di saper approfittare delle incertezze degli avversari (il secondo) e il sapersi trovare al momento giusto nel posto giusto (il terzo). La capacità di cogliere il kairós di cui parlava Platone nel Politico. Non è un caso segnare tre gol al Brasile, a quel Brasile! E non un caso segnare altri tre gol nelle partite decisive del torneo. In mezzo al tempo lineare della storia quindi, il 5 luglio 1982 sarà sempre ricordato in cui un esile ragazzo italiano cambia per sempre il proprio nome. L’attimo di Pablito.