Abbecedario di provincia: lettera I

Abbecedario di provincia: lettera I

“Stasera sei lontana mentre io penso a te, eppure sei vicina a me, non chiedermi perché, sarà che mi hai cambiato la vita, sembra ieri, eppure mi hai cambiato la vita”. Citando Fabrizio Moro ti dedico questo pensiero spicciolo, un po’ come i nostri sguardi durante la settimana, quando gli impegni reciproci ci succhiano le migliori energie ed io che vorrei portare la luna accanto al tuo viso come Jim Carrey mi ritrovo soltanto a raccontarti la mia stanchezza.

Eppure tu, con scazzi e baci, mi hai insegnato per bene il termine “insieme”. Che significa mangiare una cosa buona allo stesso tavolo ma anche fermarsi un attimo prima che tu stia male a causa mia. E da quello che ho capito vuol dire anche che dall’altro ieri sono autorizzato a sognare le stesse cose di sempre ma con te accanto. Tipo io che bevo un caffè lungo – i miei compaesani mi perdoneranno – tra le lunghissime strade americane e tu con i guanti, perché l’inverno a New York è freddo, a sgridarmi perché come al solito prendo decisioni avventate. In effetti quel bar era strano già a vista d’occhio.

E se non mi sono troppo distratto dietro ai tik tok di cani fantastici, insieme significa anche apprendere l’arte della carezza e del bastone quando i giorni sono storti. Sai, mi riferisco a quando fuori c’è il profumo del mare ma io ti confido la paura dell’acqua e tu con pazienza e fermezza mi stringi in un abbraccio che non fa svanire la mia paura però mi rende più forte. E sereno. E non so cosa ci riserverà la vita, del resto io sono un tipo affascinante che irrimediabilmente attrae le donne più belle di questo pianeta ma tu sei stata l’insegnante più brava. Anche se sono un alunno svogliato, capace di darti tutto ma a modo mio. E a volte quel tutto ha avuto soltanto la forma del silenzio, di parolacce suggerite dalla rabbia che convive in me da sempre. Però tu, nonostante non sia un Super Sayan, la stai annientando a colpi di cuore e bestemmie.

Che poi ora sono le 23 e stavo rileggendo il pezzo e ho il dubbio che queste parole siano egoiste. Però ovviamente è il mio punto di vista, cioè quel momento in cui mi blocco e tu pensi che io stia pensando chissà cosa ed invece è tutto qua. E forse penso anche a quanto sarebbe fantastico un film drammatico con la Premiata Teleditta.

 

Perdere il tempo ad Atripalda

Perdere il tempo ad Atripalda

Sono le 9 di una mattina di ottobre. Atripalda è già caotica, l’aria è calda e sono in fila al bar, una rarità per me e per i numerosi avventori miei conoscenti che in quel momento si erano già ritrovati lì davanti.

Siamo tutti lì, in quel piccolo bar che anticipa la piazza e che accoglie tutti coloro che la mattina camminano ancora assonnati nelle direzioni desiderate; siamo tutti lì, è il 2019 e di coronavirus nessuno ha ancora sentito parlare, o per lo meno la totalità delle persone che sono in fila per il caffè non ne hanno sentito parlare. La piccola folla si muove velocemente e proprio in questo suo progredire mi ritorna, d’improvviso, in mente un libro letto nei mesi precedenti: Binario morto di Luca Rastello, indimenticabile giornalista e scrittore scomparso 5 anni fa, e Andrea De Benedetti. L’opera, un’inchiesta sull’incredibile inutilità della costruzione dell’alta velocità in Val di Susa e più in generale in Europa, viene resa evidente attraverso un’unità di misura tutt’altro che convenzionale, un pacchetto di caffè che sarà l’unica merce a completare l’intero corridoio 5 Lisbona – Kiev. In quel momento di attesa ho ripensato al caffè sotto un’ottica differente, non più come sostanza da assumere per far fronte alla giornata, ma come unità di misura del tempo.

Nelle nostre aree, interne e meridionali, il tempo potrebbe essere ancora misurato con un caffè. Infatti se provassimo a ritornare nel piccolo bar del centro in quelle prime ore della giornata lavorativa dello scorso ottobre noteremmo subito che la velocità delle consumazioni potrebbe essere condensata tutta in pochi minuti, sapientemente divisi tra consumo della bevanda e lo scambio di veloci e semplici battute tra colleghi prima di congedarsi.

Ma sempre facendo fede alla nostra capacità immaginativa se provassimo invece a ritornare in quel bar all’imbrunire vedremmo gli stessi della mattina calmi, seduti al tavolino, intenti a consumare lentamente il proprio caffè e regalando all’aria intere sigarette.

Il caffè, dunque, ha svolto il compito desiderato: ci ha appena dimostrato che la fruizione del tempo è strettamente connessa alla produzione (lavoro) e che quando questo si conclude, il consumo del tempo tende a dilatarsi dandoci una sensazione di lentezza che non sempre ci entusiasma.

DAL TEMPO DI CONSUMO AL LUOGO DI CONSUMO

La dicotomia fruizione del tempo – produzione ci porta a vivere anche il tempo libero alla ricerca, spasmodica, di un qualcosa che possa essere speso, consumato, dando perciò ad esso un prezzo. Questa relazione porta con sé alcune conseguenze che si riflettono sulla ricerca dell’impiego ideale del tempo libero e che ci riportano a due reazioni fondamentali: la prima è riscontrabile in un atteggiamento nevrotico che ci conduce a ricercare disperatamente un qualcosa che ci faccia passare il tempo, anche e soprattutto prezzolato, mentre la seconda ci condanna all’immobilismo più totale. Infatti rassegnati dall’esito negativo di qualsiasi tipo di impegno non ci resta che aspettare che anche l’ultima parte della giornata termini e ci riporti, anima e corpo, alla solita routine giornaliera.

Una conseguenza non indifferente di questa condizione è vissuta dallo spazio che difatti si intromette in maniera dirompente in qualsiasi riflessione che vede al centro la relazione fruizione del tempo e consumo/produzione dello stesso. Gli spazi cittadini infatti sono attori passivi di questa relazione e sono caratterizzati dalle diverse modalità di impiego che gli conferiamo.

Così ci capita di vivere un luogo della nostra città più di un altro perché ci ritroviamo alla costante ricerca di una modalità di consumo del tempo caratterizzata dalla pratica di consumo/produzione. Un luogo cittadino svuotato da qualsiasi logica di consumo sarà costretto all’isolamento e al successivo abbandono.

TEMPO DI CONSUMO O TEMPO LIBERO? MEGLIO PERDERE IL TEMPO…

Ma per un momento, prima di proseguire, ritorniamo alla nostra unità di misura: sono le 6:30 di una mattina di agosto e al solito bar che fa da anticamera alla piazza, un drappello di ragazzi accompagna al caffè mattutino un cornetto, hanno passato la notte in quel piccolo lembo di città che fino a qualche anno fa veniva attraversato in tutta fretta per raggiungere i luoghi dove poter trascorrere le proprie giornate. Da qualche mese a questa parte questa piccola linea di frontiera è diventata il centro di una rinascita, dove oltre al tempo di lavoro, in molti ritornano per passare il proprio tempo libero.

 

Proprio questo cambio di pensiero ha portato alla nascita del Tricare, dal dialetto attardarsi, perdere tempo, fare tardi, la cui logica è stata proprio quella di ricercare non più luoghi soliti del consumo e di spendibilità del tempo, ma di rituffarsi in uno spazio come tanti a farlo rivivere condannandosi consapevolmente a quella immobilità tanto temuta.

Per due giorni alla settimana un’intera comunità ha provato a passare le giornate all’insegna della calma, dei ritmi lenti e della ridefinizione dei nostri momenti liberi.

Un insegnamento molto importante che, come nel precedente articolo, ha come centro noi, gli abitanti delle nostre città e la necessità ad un esercizio quanto meno interessante che ci permetta di vedere le nostre piazze e le nostre strade senza lasciarci condizionare dai significati sovrastrutturali pre-esistenti che alcuni luoghi hanno assunto nel corso degli anni.

Sarebbe bello misurare il tempo di un caffè non più in base al suo consumo, ma in base al percorso che siamo capaci di inventarci per arrivare al nostro bar di fiducia. Ricercando così, non la strada più veloce per massimizzare il nostro tempo libero, ma quella più interessante per perderlo.

Si ringraziano Sabino Battista ed Ilaria Piccirillo per le foto.

Coffee break a Milano

Coffee break a Milano


E il caffè a Milano? Qui al Nord è una distrazione, un break dal lavoro, una fuga dalla realtà ed un sogno per chi come me proviene dal sud. Si perché a Milano il caffè è freddo, nonostante ti possa bruciare la lingua, il caffè non fa socializzare, non ti perdi in chiacchiere con i baristi. È freddo. È un messaggio in cui leggi che devi tornare a lavoro, che non puoi perdere tempo.
A questo punto, miei cari lettori, vi starete domandando: ma se il caffè è un catalizzatore sociale per Napoli, cosa fa socializzare a Milano?

È il 13 agosto e sono le 01:29 di notte, mi trovo a Milano e a lavoro mentre butto giù queste parole. Ma come ci sono arrivato qui? Torniamo indietro di almeno 2 mesi, precisamente a luglio e in una città diversa.

E’ sera, circa le 22 di qualche giorno di fine luglio. Ero come sempre impegnato a rilassarmi con qualche videogioco e intanto scambiavo due chiacchiere con gli amici. Ed è in quel momento che tutto inizia a cambiare: vengo a conoscenza di alcuni colloqui nello stesso periodo e mi dico “perché no? Dammi una email che mando il mio cv!”. Ed è così che senza pensarci due volte ho caricato il mio curriculum ed inviato via email le mie esperienze lavorative. Trascorre qualche giorno e vengo contattato dall’azienda a cui ho mandato il CV: al telefono mi vengono fatte alcune domande e, infine, fissiamo un giorno per un colloquio tramite Skype.

Nella mia stanza, il vestito giusto per l’occasione e ascolto con attenzione in cosa consisterà il lavoro e soprattutto la domanda “Sei disposto a trasferirti da Napoli a Milano?”. “Nessun problema”– rispondo- “per il lavoro questo e altro”. Il colloquio termina con il solito finale “le faremo sapere al più presto”. Essendo un pessimista dalla nascita, credo che non verrò scelto e quindi continuerò a cercare lavoro.

Ed invece dopo pochi giorni l’azienda mi richiama e fissiamo un secondo colloquio.

In compagnia del mio pessimismo, passeggio per i vicoli di Napoli, imprimendo nella mia memoria tutti quei luoghi e volti a me familiari: i bar, in cui oltre al caffè vivono le parole scambiate con i dipendenti o perfetti estranei; le piazze, dove ho collezionato interminabili minuti; le librerie, dove mi son perso tra gli scaffali pieni di libri alla ricerca di un titolo che stimolasse la mia curiosità. Ho fatto in modo che ogni centimetro della città si imprimesse nella mia memoria

Arriva il giorno del secondo colloquio e confermano che mi vogliono prendere, anche se solo per tre mesi. Accetto e inizio a cercare una sistemazione a Milano. Trovo un appartamento, mi fido e pago la caparra. Nello stesso periodo inizio a “smarrire” la mia routine.

Giunto nella stazione di Milano, in un primo momento sono confuso. Cerco qualcosa che mi aiuti ad orientarmi in questa terra straniera. Una stazione piena di segnali di divieto, soprattutto per il COVID, persone di ogni genere che vaga alla ricerca di volti familiari. Questa è la stazione che mi si presenta.


Napoli e Milano sono entrambe città molto popolate ma nonostante ciò sono agli opposti: Napoli ti accoglie con le voci, con i colori, con la tradizione che la contraddistingue; Milano, invece, ti accoglie con il silenzio, con il grigiore di quei palazzi, sedi di aziende nazionali ed internazionali e la tradizione, quindi, viene messa in un angolo a boccheggiare.


Il caffè e lo spritz


Baudrillard afferma che il luogo del consumo è la vita quotidiana. Ma quali sono i luoghi di consumo di due metropoli come Napoli e Milano? Il bar e la piazza. Il bar, o il caffè, per una città come Napoli rappresenta anche un punto d’incontro dove storie ed esperienze diverse si incrociano.


Non a caso in alcuni bar napoletani si pratica il caffè sospeso, una tradizione che a Milano è ai più sconosciuta. Il caffè a Napoli è un incontro amichevole, una proposta d’appuntamento, un messaggio ad amici e conoscenti ma è anche altro. Il caffè “dalle nostre parti” fa socializzare, fa parlare perfetti sconosciuti che si apprestano a consumare la propria bevanda e nel frattempo parlano di tutto e di più, creando comunità.


Lo spritz.

Lo spritz a Milano lo consumi nelle piazze, sotto l’ombra del Duomo o ai Navigli. Lo consumi in un gruppo di conoscenti, di amici e per entrare nel “circolo milanese” devi vivere da tempo altrimenti sei lo straniero. Quello straniero che magari cerca un sogno, che il Sud non può darti.


Il caffè che sembra una bevanda così intima, che puoi preparare anche a casa, è un mezzo di aggregazione potente; mentre lo spritz è l’esatto opposto, lo consumi in luoghi aperti come le piazze eppure non ti porta a socializzare verso l’esterno.


A Napoli un bar vale quanto una piazza a Milano.