
E poi torniamo a casa, anche se i sentimenti fanno male

Dormono beatamente sul lavello le cialde del caffè. Qualcuna di esse avrà agitato con l’alcol ieri sera e ha vomitato un po’. Pazienza, dopo laverò. Con solo un piede scalzo mi dirigo verso il divano del soggiorno. Qui, se ricordo bene, per la prima volta sono entrato in una donna. Anzi, considerando la sua chiamiamola determinazione, è lei che entrò in me (spero di non disgustarvi).
In quell’angolo, dove ora c’è una lampada Ikea da 4.99 euro, invece piansi quando un giorno la vita mi apparve come una pianura insormontabile (alle montagne non ci penso neanche). Il cielo era serenamente autunnale, si vedeva bene da queste finestre, e nella mia anima un pianista jazz suonava musica triste, una di quelle canzoni con cui incamminarsi verso una strada buia e desolata senza il briciolo di emozione per quello che sarà.
In cucina, giusto per terminare il tour del piano terra, morì una parte di me. Avevo appena smesso di abbuffarmi di ogni cosa commestibile – credo che ingerì anche l’orecchio del mio cane – quando guardai riflesso nel forno l’abisso di indifferenza verso il mondo in cui mi stavo rifugiando. E la consapevolezza di invertire la rotta – almeno per sopravvivere finché Fognini terminerà un match senza spaccare una racchetta – cambiò per sempre qualche meccanismo dentro di me.
Sulle scale nulla di interessante, a parte qualche caduta da sbronzo.
Nella mia camera, se ti va, entra con delicatezza perché nell’universo altrui si entra esclusivamente in punta di piedi. Nei libri che vedi puoi annusare la solitudine scelta; nei dischi impolverati quello che ero e che ogni tanto torno a trovare.
«Come va? Hai risolto quel guaio?»
«Sì, ma non mi va di parlarne»
«Non cambierai mai. Chissà se è un bonus o un malus».
Potrai inciampare nelle magliette che spero per magia arriveranno nella lavatrice e che tracciano il mio profilo esatto: un pigro di merda che attende quotidianamente il colpo di fortuna. Però figo e romantico. E non vedrai foto, perché mi mettono tristezza. Un po’ come quando decisi di rivedere qualche puntata di Dawson’s Creek e per una settimana rimpiansi tutte le scelte prese in adolescenza. Cioè, avete capito a quale tristezza mi riferisco? Quella che, ma sì dai, ci piace anche, ma comunque fa male.
Il bagno, infine, nulla di speciale, anche se è la stanza che preferisco. Lì dentro i rompicoglioni non esistono.
Ora hai capito, almeno in minima parte, perché il ritorno a casa per me è IL sentimento?
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