
L’Italia è una Repubblica democratica basata sul colore (delle sue zone)
Ormai rappresenta uno sport nazionale, interessante: ci tiene incollati alla tv, ci costringe ad urlare davanti all’ultima diretta in cui ci convinciamo di aver subito qualche torto.
Il giorno dopo leggiamo con la solita poca attenzione i commenti e le analisi, li riproduciamo a modo nostro nei rari momenti di timida collettività, in coda alle poste, al tabacchino o all’edicola, ne scriviamo sui social, insomma ci ha trasformato in milioni di CT-S[1].

Di cosa stiamo parlando?
Non certo della Nazionale, era chiaro. Stiamo parlando dei molteplici colori che la nostra cartina ha acquisito negli ultimi mesi. Per anni siamo cresciuti incapaci di immaginare un colore diverso da quello del verde, immenso, della pianura Padana o del colore marrone, intenso della catena montuosa delle Alpi, o al massimo con in testa la composizione arlecchinesca, di quelle tante cartine amministrative che affollavano le pareti delle nostre classi e che ora affollano i nostri ricordi. Ma al giorno d’oggi, a causa di tutto quello che stiamo vivendo, abbiamo dovuto ridefinire il colore dei confini geografici e amministrativi, regionali e non e così ci siamo ritrovati ad osservare lo stivale con non più di quattro colori.

Abbiamo imparato a dare un nuovo significato a quei colori, abbiamo dovuto ridefinire i nostri spazi, i nostri modi di viverli attraverso una nuova linea del colore. Con trepidazione controlliamo le informazioni relative alle “nostre zone”, invidiamo chi ha un colore meno allarmante del nostro e desideriamo libertà altrui.

Ci siamo subito convinti di vivere una condizione del tutto nuova e particolare, ci districhiamo all’interno di questo “nuovo” sistema, muovendoci con una consapevolezza differente, anche e soprattutto nelle nostre stesse città.
In queste due settimane vorremmo riflettere proprio sul nostro modo di intendere e vivere gli spazi e del cambiamento provocato dalle zone di colore, da sempre esistite e di recente definizione per mano di un DPCM.
Antonio Lepore
Andrea Famiglietti
[1] Commissari Tecnici Scientifici.
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