
Spazi e città: una soluzione minoritaria
La tematica che abbiamo scelto questa settimana rappresenta una vera e propria sfida. Non certo semplice, ma tutte le sfide nascondono un grado di difficoltà con cui, in un certo qual modo, ci dobbiamo ritrovare a fare i conti.
Essere minoranza o essere in minoranza rappresenta una condizione non semplice da raccontare, soprattutto alla realtà esterna. Requisiti e visioni minoritarie o di minoranze possono essere comprese solo grazie ai protagonisti che attraverso la propria esperienza autobiografica riescono a far emergere realtà differenti da cui molto spesso risulta fondamentale ripartire per vivere in un mondo migliore.
Quella che ritroverete nel seguente articolo riguarderà, per l’appunto, una riflessione frutto di un’esperienza autobiografica che può far comprendere molteplici cose. Ma procediamo con ordine.
Nelle ultime settimane la provincia di Avellino è stata attraversata ed interessata da numerosi eventi di cronaca che hanno scosso l’opinione pubblica locale. Un ventaglio eterogeneo composto da eventi estremi e cruenti e drammi familiari. Atti violenti nei confronti di persone o luoghi hanno rappresentato un brusco risveglio primaverile, per una provincia troppo spesso addormentata anche oltre il tempo del letargo.
Ovviamente le reazioni sono state eterogenee, ma le soluzioni invocate o auspicate sono state quasi sempre unidimensionali. Differenti situazioni sono state classificate e semplificate in modo pericoloso, anche dagli organi di stampa locali, che hanno spesso invocato una maggiore azione di sorveglianza e di sanzione.
Una stessa reazione la si è vista in seguito ai recenti atti vandalici che hanno interessato il Cinema Eliseo.
Controllo, supervisione, telecamere e sanzioni, sono queste le parole chiave che molto spesso ritornano nel dibattito pubblico. Facili soluzioni a problemi complessi.
Ed ecco la condizione minoritaria frutto dell’esperienza autobiografica. Altre volte in questa rubrica ho avuto modo di raccontare l’esperienza della Piazzetta degli Artisti, analizzando i processi che l’hanno sostenuta e quelli che ne hanno sancito la fine. Nella sua incredibile complessità questa esperienza ha saputo donare una risposta interessante e tutt’altro che convenzionale ai quanti invocano, da sempre, forme di controllo e sanzione.
Difatti, nei mesi di riqualifica e rigenerazione quel piccolo lembo di centro storico, che per tanto tempo era stato occasionalmente devastato e deturpato, aveva riscoperto una condizione di pace. Per mesi, e poi, per qualche anno, non una panchina era stata distrutta, non una tegola era stata rotta. Eppure non una sola videocamera era stata installata e la presenza delle forze dell’ordine risultava sporadica.
Come è stato possibile tutto ciò? Come è stato possibile per un luogo tutt’altro che visibile vivere un lungo periodo di assenza di vandalismi?
La presenza e l’azione di un numero consistente di cittadini, soprattutto di giovani, ha portato con sé due vantaggi immediati: il primo ha fatto sì che una piazza, molto spesso, ritenuta nascosta potesse essere vissuta con maggiore frequenza, rendendola di fatto più esposta agli occhi di tutti, anche nelle ore più rare. Il secondo lo si ritrova nella vicinanza che un numero sempre maggiore di persone aveva con quel posto. I legami sociali e le reti hanno svolto un’azione deterrente.
Infatti, anche chi solitamente si impegna (credo che anche per questa azione sia necessario un impegno non indifferente) in atti vandalici si è ritrovato in qualche modo legato o vicino a qualcuno, tra i tanti, che era coinvolto nella riqualificazione e pertanto si è sentito automaticamente scoraggiato ad intraprendere qualsiasi azione che potesse arrecare danno a qualcuno di vicino e prossimo alla sua rete sociale.
Ed ecco finalmente le conclusioni: l’insegnamento di questa esperienza mi ha convinto, da qualche anno a questa parte, a mantenere sempre una posizione di minoranza nel dibattito pubblico. Sono ancora convinto che la sicurezza, la salvaguardia e il benessere di un luogo possa essere realmente tale solo se gli si permette di vivere e di progredire, attraverso delle azioni di partecipazione attiva e solo incoraggiando iniziative di tipo comunitario. Purtroppo non è una risposta semplice, richiede una buona dose di sacrifici e una certa maturità istituzionale, ma sono sicuro che il risultato sarà sicuramente migliore e più duraturo di chi immagina per le nostre città soluzioni coercitive.
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