
La nuova era del politicamente corretto
Il politicamente corretto è uno degli argomenti maggiormente dibattuti degli ultimi anni. Cinque anni fa, per la precisione, si cominciò ad assistere ad un massiccio accrescimento delle discussioni contemporaneo ad un allargamento dei temi racchiusi da questo concetto.
Alcuni credono che il dibattito sul politicamente corretto, e la controcorrente che, come ovvio, si è venuta a creare, possa essere il segno di un cambiamento di paradigma storico, segno del passaggio ad un’altra era; più nello specifico, si ritiene che il pensiero umano sia stato contraddistinto dal paradigma dell’onore agli albori della civiltà e fino all’era moderna: le classi sociali più abbienti erano tenute a difendere il loro status salvaguardando la reputazione a costo della vita. Con le grandi rivoluzioni civili (americana e francese) si è dato maggiore risalto al riconoscimento dei diritti universali dell’essere umano: si è passati cioè al paradigma della dignità. Dalla dignità, il nuovo millennio ha visto iniziare il compimento di una sintesi dei due precedenti paradigmi nel politicamente corretto: se da un lato viene dato nuovo risalto all’onore, effettuando stavolta un rovesciamento dei ruoli visto che stavolta sono le classi sociali più deboli a lavare l’onta del disonore di chi denigra e svaluta in segno di affermazione di una certa supremazia, l’inversione stessa vuole restituire la dignità persa “not in my name” o mentre “i can’t breathe”.
È possibile dunque affermare che il politicamente corretto rappresenta il passaggio ad un’era della civiltà umana più evoluta della precedente? Non così di corsa!
D’altra parte, uno studio neuroscientifico condotto da ricercatori dell’università di Milano Bicocca (Berlingeri, Gallucci, Danelli, Forgiarini, Sberna e Paulesu, Guess who’s coming to dinner: Brain signatures of racially biased and politically correct behaviors, DOI: 10.1016/j.neuroscience.2016.06.048) ha messo in risalto come per agire in modo politicamente corretto c’è bisogno di un’elaborazione cerebrale ulteriore da parte di quella parte del cervello deputata al controllo cosciente e volontario della risposta, mentre la prima reazione cerebrale davanti ad un evento che coinvolge etnie diverse da quella di appartenenza porterebbe ad empatizzare prima (e meglio) verso gli appartenenti alla propria etnia. Questo dimostra, inoltre, come l’istinto primordiale umano, che bisogna sempre ricordarsi discendere dalla razza di homo più aggressiva, porti l’individuo a riunirsi in gruppo secondo caratteristiche salienti quanto più simili alle proprie; d’altra parte questa particolare specie di homo, è capace di compiere un passo (cerebrale) in più, superare l’istinto e provare il dolore delle persone che appaiono più distanti ma che in realtà sono tutte in tutto uguali a noi.
Tutto questo si potrebbe leggere come un elogio al politicamente corretto e come una condanna a chi vi si oppone. E invece no!
All’inizio ho affermato che, forse, siamo all’inizio di una nuova era: quella del politicamente corretto che evolve da quella della dignità. Ebbene, l’evoluzione è un continuo progredire incostante fatto di passi avanti e passi indietro (in fin dei conti, all’inizio dell’era della dignità esistevano la schiavitù, il delitto d’onore ed erano concetti socialmente accettati). Per questo motivo, ben vengano gli obiettori di coscienza, i Pio e Amedeo vari che fanno da contraltare agli ortodossi del politicamente corretto per cui diventare rosso dalla rabbia significa offendere le popolazioni indiane d’America: essere politicamente corretti non è un traguardo ma un punto di partenza che può evolversi in qualcosa di migliore rispetto a ciò che è stato solo parlandone, discutendo e contrapponendosi all’infinito tra tesi e antitesi di hegeliana memoria. E bisogna ricordarsi di appartenere a questa epoca di passaggio per cui, date le lungaggini dell’evoluzione della specie umana, non credo di riuscire a vivere abbastanza da vedere un concetto di politicamente corretto effettivamente funzionale, efficace e realmente saturo di significato.
Magari, fra qualche migliaio di anni, la corteccia prefrontale non avrà bisogno di modulare la risposta empatica verso l’altro da sé sociale perché questa sarà stata abbastanza discussa da venir processata dal tronco dell’encefalo. Praticamente riusciremo ad empatizzare con tutti gli esseri umani d’istinto, non solo con quelli apparentemente più simili a noi.
Commenti recenti