L’epidemia è nel titolo

L’epidemia è nel titolo

Cara Fabiana,

le persone credono che in questo momento ci sia un’unica epidemia in corso, quella da Covid 19. Certo, l’unica potenzialmente mortale, eppure io riesco a vederne tante altre, che non mettono a rischio la nostra salute fisica, ma su quella mentale avrei qualche dubbio.

E tra tutte queste piccole grandi epidemie, forse per deformazione professionale – vorrei non lo dimenticassi, ma prima di essere una postina, sono (anzi siamo) pubbliciste, appassionate di scrittura – quella che mi balza di continuo agli occhi, provocandomi una poco simpatica reazione orticaria, è l’epidemia giornalistica.

Ora mi spiego. Ricordi quando nella tua stanza di Napoli hai passato mesi a scrivere la tesi di laurea in Lettere Moderne? Si incentrava su come i titoli giornalistici, nel passaggio dal cartaceo al digitale, avessero perso la loro funzione principale –  dare informazioni –  per rispondere alla necessità di sintesi imposta dal nuovo mezzo.

Così non era raro – e non lo è ancora oggi – imbattersi in titoli come “Yara, riesumato padre assassino”, dove c’era da capire se il padre e l’assassino fossero identificabili con la stessa persona, o come “Corteo Agenti sotto ufficio madre” dove più che a un titolo di giornale sembrava di trovarsi davanti a un telegramma da decifrare.

Alla necessità di sintesi, poi, in breve tempo, si è scoperto che per portare avanti i giornali on line fosse necessario ottenere visibilità, likes. Cosa sacrificare ancora una volta? L’informazione, ovvio!

Mi spiace dirlo, ma il giornalismo durante il Covid -19 ha sprecato l’ennesima occasione per riconquistare il proprio predominio come diffusore di informazione, quella sana e oggettiva.

Basta scorrere la bacheca di Facebook per notare che i nostri amati e odiati titoli non fanno altro che occuparsi di discesa e salita dei contagi come se potesse esistere un valore assoluto.

“Più di mille contagi” o “3.000 positivi” sono frasi inserite qua e là con l’unico scopo di generare click, dare visibilità al proprio sito web. Titoli che non tengono conto che il numero giornaliero dei contagi è una cifra che va rapportata al numero dei test eseguiti. Stendo un velo pietoso, invece, su quei titoli che narrano di questo o quel personaggio famoso che purtroppo è risultato positivo al tampone, ma di cui è rigorosamente vietato rivelare il nome: clicca sull’articolo e lo conoscerai.

Ora, capisco benissimo che il cambio di supporto abbia inevitabilmente comportato una modifica nella natura della notizia e, quindi, una trasformazione nella scrittura giornalistica, ma in questi anni a me sembra di aver assistito alla graduale perdita dello scopo principale di un titolo giornalistico.

È vero che tra le proprietà di base di un titolo c’è l’economicità, ma è altrettanto vero che quest’ultima dovrebbe sempre essere accompagnata dall’effetto comunicativo. Attraverso il titolo di un articolo bisogna offrire al lettore il maggior numero di informazioni possibile usando la quantità minima di parole. E possibilmente occorre che tali informazioni siano corrette, verificate, precise, altrimenti non si parla più di giornalismo.

Ogni giorno, invece, apro internet e quello che vedo è un’offerta informativa molto povera, scorro la sezione notizie è più che al trionfo della comunicazione mi sembra di assistere a una gara, dove vince il titolo che dice meno e ottiene più visibilità. Non so voi, ma per me questa è tra le peggiori delle epidemie.