Roppo ferragusto appontiti o busto: Dopo ferragosto copriti bene! Cominciamo con un detto avellinese questo breve editoriale che, come sempre, vi introdurrà in questo nuovo mese. Mentre scriviamo assistiamo spaesati a questa insolita campagna elettorale. Uno spettacolo a cui non eravamo abituati, almeno in apparenza, ma che ci ha fatto ripiombare nella solita dualità tutta italiana in cui si contrappongono stabilità e instabilità.
Sono, infatti, ritornati i mercati, l’Unione Europea, gli organismi di classificazione, la tripla A, il segno meno, le statistiche ISTAT, le devianze, la sicurezza e via dicendo.
Abbiamo, per questo, deciso di cogliere questa occasione per parlare di ciò che le nostre esistenze vivono del rapporto tra stabilità e instabilità, di come ci prepariamo ogni giorno ad affrontare il tutto. In questi giorni ci esercitiamo a mantenere un certo equilibrio e lo faremo come sempre attraversando i diversi campi di interesse.
Non ci resta che augurarvi buona lettura e di slacciare, come sempre, le scarpe.
«Lo senti, lo senti l’odore? Napalm figliolo, non c’è nient’altro al mondo che odora così! Mi piace l’odore del Napalm come aperitivo»
Tenente colonnello Kilgore – Apocalypse Now
Un vento freddo ha continuato a tirare in questi giorni in tutte le strade della città. Soffiando senza sosta e senza tregua, sulle bandiere tricolore, già sbiadite, rimaste esposte su qualche balcone dalla scorsa estate, tra le cime degli alberi ancora spogli, tra le strade strette e silenziose del centro storico, tra le vetrate malandate dei tanti palazzi cittadini. Continua a soffiare anche nelle infinite ed infinitesime piazze cittadine o nei grandi spazi aperti, anonimi come pochi, un tempo chiassosi e annoiati ritrovi di una gioventù che non c’è più e diventati sempre più un rifugio silenzioso di auto.
Un vento acre e pungente che si dirama nelle strade e nelle piazze di Atripalda, media cittadina, di una media provincia del Sud e ci prende tutti. Ci prende alla testa quando, rapidamente, risale le narici e quasi in contemporanea scende per la gola e ci lascia con un peso sul petto: respiriamo a fatica e ci costringe al silenzio o all’urlo disperato e ansimato. Due reazioni opposte, ma due reazioni di una stessa condizione.
Il vento di questi mesi, non è frutto di una questione atmosferica, non solo questo. In questi mesi il vento ha assunto un odore chiaro e definito e così Atripalda ha un suo nuovo odore, quello di una comunità frammentata, incattivita e priva di una qualsivoglia speranza.
Niente di originale per una cittadina, che ancora oggi, si nasconde dietro al suo passato perché incapace di lottare per un presente migliore e di costruire un futuro adeguato. E così ritornano aggettivi vecchi e che a tratti risuonano fastidiosi per chi vive tra mille difficoltà:
Atripalda, città del commercio, in mezzo alla recessione e alla crisi!
Atripalda, città della solidarietà, in mezzo alla calunnia e alla violenza verbale e sociale (di alcuni, divenuti tanti)!
Atripalda, città della cultura, dove la cultura deve essere un hobby che qualche giovane annoiato e frastornato dai fumi dell’alcool deve praticare negli anni scolastici a tempo perso, non certo un motivo di emancipazione lavorativa e vita!
Atripalda, città dei giovani, in mezzo a un fiume silenzioso che scorre in senso inverso al nostro fiume Sabato, (che a proposito, non se la passa tanto bene) e che ci consegna un’emigrazione spaventosa!
Mentre l’odore continua a spargersi nelle strade cittadine sempre più vuote, un luogo si riempie a dismisura nei giorni festivi della settimana: la piazza centrale. Vetrina di tanti fino a qualche anno fa sconosciuti ai radar geografici cittadini e che oggi si mettono in mostra, ricordandosi di far parte di una comunità che loro stessi hanno provveduto a frammentare e incattivire, ricordandosi di far parte di una città e dei suoi luoghi, fino a qualche mese fa sconosciuti. Incendiari in un conflitto, tutt’altro che a bassa intensità, dove si è tutti contro tutti.
E nel bel mezzo di questo vortice d’aria sempre più pungente, ci ritroviamo, in tanti, a fare i conti con un’esistenza sempre più difficoltosa. Cresciamo in spazi, fisici e simbolici, chiusi. Non esistono luoghi liberi dove incoraggiare l’aggregazione, non abbiamo la possibilità di creare occasioni di aggregazione senza percepire nell’aria (sempre lei) l’odore di qualche mefitico malessere, condito da quel tanto di malafede che vede nella voglia di far uscire in strada le persone un protagonismo che non ci interessa (e non ci compete). Sacrifichiamo le nostre esistenze individuali (è vero, nessuno ce lo chiede, ma lo facciamo per amore della nostra terra e di coloro che decidono di viverla) per restare e fare qualcosa. Non vogliamo andare via!
Ma quest’aria è troppo più forte di noi e si è già impossessata di tanti e ci troviamo sempre più fuori rotta.
Di questi tempi dovremmo lottare, tutti insieme, solidali gli uni con gli altri, contro una crisi economica (quasi ventennale) che ci ha reso tutti più poveri e disperati. Dovremmo lottare per portare avanti i valori e le ricchezze delle nostre diverse esistenze ed esperienze utili a battere nuove strade di rinascita culturale, sociale ed economica. Dovremmo lottare per ritornare in strada, tutti, e impegnarci direttamente per difendere i nostri spazi comuni dall’incuria e dall’abbandono, dimostrando che tutto questo lavoro può essere più efficace di qualsiasi telecamera. Dovremmo lottare per non lasciare più nessuno indietro, per far sentire tutte e tutti parte della Comunità, esaltando le differenze.
Dovremmo lottare per tanto, ma l’unica cosa che percepisco è sempre e solo quest’aria che continua a soffiare, anche dalle bocche di qualcuno.
Così mi ritrovo (costretto) a raccontare di Atripalda, una media cittadina, di una media provincia del Sud Italia di cui nessuno vuole sentir parlare.
Parlare di politica oggi è difficile, visto che si tratta di un argomento di cui tutti si riempono la bocca ma non sanno definirla. In questi giorni, in tutta Italia non si parla altro che del referendum che taglierà un cospicuo numero di politici in Parlamento e che in teoria dovrebbe portare ad un risparmio economico. Chi porta le proprie idee sul NO e chi sul SI’, chi vota per Pinco e chi per Pallino ma negli ultimi anni la politica in Italia è diventata una questione di tifoseria; c’è chi parla di destra e chi di sinistra ma ad essere sincero per me, non esistono più. Cosa esiste quindi in Italia nella sfera politica : i soldi.
Mi consenta!
Se non sai chi ha detto quest’affermazione, mi sa che sei troppo piccol* oppure non ti interessa della politica italiana. Silvio Berlusconi, il viso (rifatto) della destra italiana fino a qualche tempo fa (ritornato sulla bocca del popolo, per il ricovero da COVID-19), “scende” in campo nel lontano 1994 proponendosi come una novità nel panorama politico italiano. Promette la luna e le stelle, si presenta come qualcosa di diverso e lontano dalla vecchia politica infetta dalla corruzione (stiamo vivendo il caso “mani pulite“) e il popolo lo accoglie come il messia. Spesso nei discorsi politici del Cavaliere, è possibile sentire e leggere tra le sue promesse la diminuizione delle tasse, posti di lavoro e di come lui è e sarà l’ultimo baluardo del paese nei confronti della minaccia comunista! Per quest’ultima affermazione, mi ricordo di una conversazione su Facebook con un ragazzo che affermò di essere felice che Berlusconi non sarebbe andato a processo per il semplice fatto che avrebbe dato una lezione ai comunisti.
Berlusconi è una costante della politica del Bel Paese, pensi di liberartene ed eccolo lì di nuovo. Il Cavaliere si è sempre presentato come il diverso, l’anti-politica del paese e ha sempre proposto un taglio sulle tasse, una proposta che il popolo ha sempre accolto a braccia aperte senza comprendere la questione. Si perché abbassare le tasse ci sta ma nel momento in cui il Paese presenta un’elevata evasione fiscale, queste proposte sono più un danno che un fattore positivo. Mi consenta!
E il PD che fa?!?!
Questa domanda è più recente, tutti hanno sentito il tormentone del Movimento 5 Stelle nei confronti del Partito Democratico (che tanto democratico non è più…). Ma del M5S parleremo a breve, ora la nostra attenzione politica è per l’ex partito di Matteo Renzi, una storia d’amore che è finita in tragedia. Ma dopo Berlusconi, un’altra figura mitologica del panorama politico italiano è proprio Matteo Renzi. Ex sindaco di Firenze, divenne il primo ministro come il suo antagonista/alleato (un po’ come il cavaliere oscuro e joker, paragone azzardato) e già ad inizio mandato era stato sommerso di critiche ed attacchi dall’opposizione; il governo guidato da Renzi è mosso da sfiducia, l’opposizione è unita e il ministro quando vede che tutto il sogno si sta sgretolando fa l’unica cosa che gli viene in mente : promesse. Promesse di ogni tipo, dall’aumento dei posti di lavoro fino alla modifica dell’articolo18; nonostante vada a metterlo in un posto dove non batte al sole al popolo italiano, riesce a salvarsi proponendo ciò che tutti cercano in un buon politico ma che il popolo finge di non cercare : i soldi. Promettere 80€ è in pratica vincere a mani basse qualsiasi tipo di elezione, perché è così che la politica è stata strutturata negli ultimi anni; non ha importanza che vengono fatti tagli alla cultura e all’istruzione, non ha importanza se l’evasione fiscale aumenta, non ha importanza se la disoccupazione tra i giovani tocca le stelle, nulla ha importanza se “abbassano” le tasse o ti promettono dei soldi.
A riveder le Stelle
Per chi mi conosce sa che non provo una grande simpatia per il Movimento 5 Stelle, un lupo travestito da pecora. Quando timidamente si presentarono per la prima volta, decisi di leggere il loro programma politico ed era interessante fino a quando il mio occhio cadde su una proposta: abolizione dell’ordine dei giornalisti. Ora comprendo e capisco perfettamente che il giornalismo in Italia sia fallace per ovvi motivi ma arrivare a proporre l’abolizione senza un’alternativa, lo trovo un pelino esagerato. Passa il tempo e la simpatia per questo partito (loro si definiscono movimento) non aumenta anzi continuano con scenate tragicomiche in reti televisive, diffusione di fake news e improbabili alleati di una destra che in parlamento non dovrebbe esistere. Si presentano pecore, diversi dai lupi che hanno vissuto fino a quel momento in parlamento (una tattica familiare, basta leggere all’inizio) e iniziano a parlare di tagli, promesse che non manterranno e di come il PD sia il cattivo di turno (anni prima il PD vedeva Berlusconi come il nemico, quest’ultimo il comunismo e che mio padre al mercato comprò). Il popolo in loro vede l’alternativa che aspettavano da anni, i nuovi messia in uno scenario politico colmo di corruzione ed il sogno italiano si realizza quando i pentastellati fanno la proposta che li farà arrivare in cima alla catena alimentare : il reddito di cittadinanza. Il popolo si desta a questa proposta, incuriosito subito decretano questa proposta la miglior soluzione possibile per noi. La migliore negli ultimi 5 anni forse. Ed ecco qui che i pentastellati si ritrovano al governo, a dividere il potere con Salvini (è bene ricordare che fino a qualche tempo fa parlavano di non voler scendere a patti con nessuno, poi le idee cambiano si sa) e a guidare un paese intero, ignari di come si faccia. Effettivamente mantengono la promessa del reddito di cittadinanza, viene erogato ma i problemi che affligono l’Italia da anni restano. La cultura e l’istruzione lasciate in disparte, la disoccupazione che aumenta e l’evasione fiscale che non sembra diminuire ma lo slogan “non siamo come gli altri” continua in tutta la nazione. E anche loro come i governi precedenti, si ritrovano al potere non perché hanno presentato delle soluzioni concrete ma perché hanno promesso soldi.
Referendum : Si o No? E l’Italia si ritrova a votare al referendum per il taglio dei parlamentari, il popolo è indeciso tra il si e il no. Ognuno porta una tesi a riguardo, tutti sanno perfettamente cosa dovrebbero votare gli altri e se non lo fanno sono ignoranti. E parlo vedendo entrambi gli schieramenti. Ma la cosa che mi preoccupa e continuerà a preoccupare è che quando si parla di soldi, il concetto di politica viene completamente dimenticato. Perché la politica è altro, non è solo chi ci governa. La politica è anche comunicare con il popolo, ricordarsi di noi. Noi giovani che ci ritroviamo a dover pagare le conseguenze di chi c’è stato prima, incurante del nostro futuro. Un futuro che a loro non è mai interessato, un futuro buio e la cui speranza oramai è prossima a morire. Ora, miei cari lettori, non mi preme di invitarvi a votare si o no ma vi invito a riflettere su cosa voterete. Che sia una persona, un partito o un referendum non ha importanza ma è importante votare con coscienza e dopo esserci informati. Perché ricordate, votare il male minore non è sempre la scelta giusta. Anche astenersi o annullare un voto, sono opzioni. Votate con intelligenza e non con i sentimenti.
E poi vorrei chiederti se oggi andrai a votare. Oppure domani, quando c’é meno gente e potrai non fare caso a cosa indossi. E domani, inoltre, non dovrebbe esserci neanche il tizio che elemosina l’ultimo voto. E poi, magari davanti ad un buon caffè, ti chiederei se da lassù facciamo meno schifo, se anche lì si scannano per un posto di potere, se l’affissione abusiva di manifesti é tollerata oppure Zeus con i suoi fulmini condanna senza pietà.
Ma questi sono solo pensieri deliranti. Quello che non cambia é che i sondaggi li vedo sorridendo da solo. Anche Mentana lo seguirò da solo. Ed é inevitabile, quindi, imprecare. Ad alta voce. Alla fine cosa chiedo di straordinario? Vorrei soltanto ascoltare ancora il rumore dei tuoi discorsi sull’importanza di votare in piena libertà e soprattutto con consapevolezza. Poi tu avresti aggiunto sicuramente un miliardo di spiegazioni sul funzionamento del Parlamento, che in caso di vittoria del si “si andrà incontro a questo scenario” mentre se dovesse prevalere il no “sarebbe una questione di…”. Insomma, queste elezioni senza di te mi immalinconiscono più del solito. Almeno con te accanto erano una schifezza mangiabile.
Per il resto cosa mi racconti di bello? Qui solite storie. Probabilmente da martedì non cambierà nulla. E noi saremo lo stesso felici perché così potremo incazzarci davanti ad un bar. In fin dei conti ci manca sempre quel pizzico di coraggio per ribaltare le sorti di questa terra stuprata ogni giorno. E quindi, sempre in fin dei conti, sono quasi contento di coltivare la speranza che a te vada meglio.
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