da Andrea Famiglietti | Feb 24, 2022 | Caro diario
Ho fissato per giorni la pagina bianca del mio computer, per settimane non sono riuscito a scrivere niente che avesse senso. Eppure sono sicuro che se dovessi parlare di sicurezza non la smetterei più, ma nonostante ciò non sono riuscito a scrivere nulla. Antonio, qualche giorno fa mi ha detto che il blocco dello scrittore (anche se non mi reputo tale) è un qualcosa che tende a verificarsi quando non ci si sente propriamente bene, quando i livelli di stress accumulati non ci consentono di essere lucidi al punto giusto per poter fare ordine ai mille pensieri che si rincorrono su e giù per la nostra testa.
Ha ragione Antonio!
Così ho deciso di affidarmi alla Treccani, un po’ come il Matto cantato da De André nel suo splendido riadattamento all’opera poetica di Edgar Lee Masters e ho cominciato a leggere e rileggere la definizione di sicurezza:
sicurezza: La condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili.
La condizione che ci fa sentire lontani dai pericoli o la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi i danni, le difficoltà o le evenienze spiacevoli. L’ho letta talmente tante volte questa frase che alla fine le parole hanno cominciato ad assumere un significato diverso ogni volta e, non solo, hanno cominciato a risuonare così lontane.
Mi sono, dunque, chiesto: Ma chi sono io per parlare di sicurezza? Io sono lontano da condizioni di pericolo.
Ma poi ho focalizzato l’attenzione sulla seconda parte “rendere meno gravi i danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili”.
Le difficoltà sono tutte intorno e non bisogna arrivare in qualche zona diroccata per rendercene conto. Ogni giorno lo sento nelle voci e lo vedo nei pugni chiusi degli amici e dei coetanei con cui parliamo delle tante impossibilità: di non riuscire a trovare un lavoro dignitoso, di doversi accontentare di contratti e collaborazioni che tutt’al più ci possono portare 600 euro mensili che ci costringono ad essere eternamente giovani, di doversi reinventare quotidianamente, di doversi piegare ad una realtà sociale e culturale che ci vuole consumatori di esercizi commerciali e niente più.
Così mentre camminiamo in una strada secondaria della città, i miei occhi si perdono tra i raggi della ruota della vecchia bicicletta di un’amica e ripenso alle recenti difficoltà che ha dovuto affrontare per poter organizzare la sua prima mostra. Eccoci al punto, non più Esercito Industriale di Riserva, ma Esercito Socio – Culturale di Riserva, quelli di cui si scrivono grandi e belli articoli sui giornali quando da emigrati diventano famosi e affermati, ma che vengono criticati e sbeffeggiati se qui provano a dimostrare che la propria competenza in ambito culturale e sociale è anch’essa un lavoro e che pertanto merita e richiede rispetto. E dunque mentre ancora vago con lo sguardo perso tra i raggi della sua bici ripenso ai proclami dell’imbecille di turno che mi dice che forse per il paese è meglio una telecamera in più, che forse per una scritta su un muro è meglio la pubblica gogna e la legge del taglione, che questo significa sicurezza.
Per me sicurezza significa altro, significa dare a tutti la possibilità di vivere e poter costruire il proprio mondo nel pieno rispetto della propria e dell’altrui esistenza.
Mentre fisso per un’ultima volta questa pagina leggermente piena, ripenso a quel famoso diritto alla felicità che per molto abbiamo provato ad inseguire e a quanto sia ancora lontano dai nostri radar vista la nostra incapacità di parlare e pensare alla sicurezza degli individui in altre modalità.
da Fabiana Carcatella | Feb 11, 2022 | La raccomandata
L’unica sicurezza nella vita è che nulla è sicuro. Sembra una frase fatta, forse lo è, ma, ad ogni modo, resta una delle poche verità che un essere umano può avere nella vita. E questo non l’ho letto sui libri di scuola, ma me lo hanno insegnato le esperienze.
Qualsiasi sia la nostra condizione attuale, dalla più stabile possibile a quella più precaria, non c’è nulla, e dico nulla, che ci possa assicurare la continuità di questo stato.
La sicurezza della permanenza non esiste. Non è possibile conoscere la data di scadenza di tutto ciò che in questo momento compone il nostro presente. Compresi noi stessi. Potrebbe esserci, come no.
La sicurezza è un po’ come la speranza di cui vi parlavo qualche articolo fa. Delle gran belle parole, inventate per cercare di rendere meno percepibile la precarietà dell’esistenza umana. Qualche zolletta di zucchero in un caffè amaro.
La domanda è: perché? Forse il tutto è riconducibile ad una natura umana protettiva o forse autodistruttiva. Voi come lo chiamereste un uomo che dall’alba dei tempi ad oggi ha impiegato gran parte delle sue energie a cercare di trasmettere, a ribadire, il concetto che il mondo è nelle sue mani? Un’idea di invincibilità che, se tiriamo le somme, ci ha di gran lungo fottuto.
La sicurezza di una predisposizione innata a governare la natura e le cose che ci circondano ci ha condotto senza dubbio a sbagliare, più e più volte. Le conseguenze? A livello macro, per dirne una, il mondo si sta sgretolando tra le nostre mani. A livello micro, individuale, l’incoscienza che ci accompagna ci impedisce di assaporare il presente. Nonostante qualche zolletta di zucchero.
Eppure le esperienze ci parlano. Tutti, almeno una volta nella vita, aprendo una porta, non abbiamo trovato quello che ci aspettavamo. Tutti abbiamo subito un lutto, una sconfitta inaspettata, un dolore. L’imprevedibilità è all’ordine del giorno, non la sicurezza. Continuiamo, però, a comportarci come se valesse il contrario e questo è il paradosso più grande che io conosca.
da Fabiana Carcatella | Dic 3, 2021 | La raccomandata
Sarebbe bello se ognuno di noi, alla nascita, venisse al mondo con una mappa stretta nella manina. La mappa della propria vita, un elenco dettagliato di ogni passo da fare per raggiungere tutti i traguardi e avere successo.
Mi piace pensare che nei piani di progettazione del prototipo “uomo” questo supplemento fosse previsto. Ecco perché tutti i bambini nascono con i pugni rigorosamente chiusi, serrati. Poi, per motivi a noi sconosciuti, o semplicemente per colpa di Eva (è sempre colpa di Eva), questo plus ci è stato brutalmente tolto.
Le manine continuano ad essere serrate, ma al loro interno c’è il nulla, che poi diventerà il dito di un adulto a cui tenersi stretto e, infine, sconfitte nella convinzione di poter riavere la propria mappa, finiranno per aprirsi.
Lì dove siamo stati privati di qualcosa, noi stessi interveniamo per rimediare. Così l’uomo le mappe ha provato a crearsele da solo. E ovviamente non ci troviamo di fronte ad un risultato divino.
La mappa per eccellenza è quella che ci viene offerta dalla società. In linea generale uguale per tutti e personalizzabile in base alle proprie attitudini e preferenze. Sempre nei limiti del possibile.
In pratica, non ti viene detto che da grande dovrai fare per forza il medico, ma per risultare un integrato dovrai sicuramente studiare, lavorare, sposarti, possibilmente avere figli e seguire tutta una serie di punti che ci vengono inchiodati nella mente sin da quando gattoniamo.
Zerocalcare, noto fumettista, in una serie recentissima ha fatto riferimento all’immagine dello “strappare lungo i bordi”, centrando a pieno la questione.
Passiamo la vita a cercare di seguire la linea che qualcun altro ha tracciato per noi, a inserire il triangolo nel buco triangolare, a colorare dentro i bordi, a scrivere nelle righe perché è così che ci viene detto di fare. E, se per caso, un po’ di azzurro sbava lungo le linee ci facciamo prendere pure dai sensi di colpa perché abbiamo disatteso le aspettative degli altri.
Ho una notizia. Seguire la mappa della società per filo e per segno è praticamente impossibile. Di conseguenza, gli uomini sono destinati a sentirsi sempre in difetto su qualche fronte, chi più chi meno. Insomma, non c’è nessun tesoro da raggiungere. Tanto vale continuare a tenere le mani serrate, magari per dare un pugno in faccia a chi crede che basti una mappa per dire chi siamo.
da Andrea Famiglietti | Ott 20, 2021 | Riflessioni
Mentre fisso la schermata del mio PC, in un insolito momento di silenzio assoluto, ho cominciato a prestare attenzione a tutti i segnali che il mondo esterno continua ad offrirmi. L’autunno alla fine è giunto, inesorabile, come sempre.
I segni ci sono tutti, annunciano il cambiamento dell’ambiente e tutti se ne rendono conto: l’aria, improvvisamente più fresca spinge i pochi passanti mattutini a cercare un posto al sole, lo stesso sole che fino a qualche settimana fa evitavano con cura. Il suono delle rondini è scomparso e l’aria in cielo sembra essere più sgombra del solito. Ma c’è una cosa che non è mai scomparsa ed è destinato a non cambiare mai: il suono del fiume.
Sono ormai trent’anni che vivo con questo, non mi abbandona mai, né di estate né di inverno. Quasi sempre lo stesso anche nei giorni di pioggia. E pensare che per anni ho cercato in tutti i modi di attenuarlo, ammansirlo ed in certo qual modo ci sono riuscito.
Nessun tentativo di cementificazione, sia ben chiaro, ma un semplice processo di abitudine che ha avuto per protagonisti il mio orecchio e il mio cervello. Ma ecco, capita che qualche giorno in cui il silenzio si fa predominante che i sensi ritornano sensibili a quel suono, lo rendono percepibile, addirittura lo amplificano.
Un susseguirsi di riflessioni accompagnano questo strano risveglio. L’ultimo mi ha fatto pensare ai piccoli ciottoli che portati dalla corrente si continuano ad avvicendare lungo il percorso e vengono trasportati dalla sorgente fino alla foce, passando per un’infinità di città, paesi, agglomerati urbani e abitazioni. Lungo tutto il percorso vengono a contatto con un numero immenso di vite ed esperienze e influenzano un numero, altrettanto immenso, di esistenze.
Un ciottolo in balia delle onde può essere uno strano pensiero, se non lo si legge sotto un’altra ottica. Infatti lo si potrebbe rapportare a quella che è la nostra condizione.
Capita più spesso di quanto si creda di chiedersi di noi, come quel piccolo sasso, dove siamo diretti, da dove siamo partiti e quale sarà la nostra destinazione.
SOLO UN GRANDE SASSO – DOVE STIAMO ANDANDO?
C’è un minimo comun denominatore che accomuna la nostra infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza: la scuola. Passiamo gran parte della nostra giovane vita in balia di istituti in cui cercare di immagazzinare un numero spropositato di nozioni, senza comprenderne il senso.
Impariamo formule, composti, capitali, date, coniugazioni, declinazioni e via dicendo. Impariamo tutto senza battere ciglio. Impariamo, appunto, non comprendiamo. Immagazzinare il tutto per poi superare le verifiche e raggiungere, per merito di una somma aritmetica, la tanto agognata sufficienza e se va bene qualcosa in più.
Ci hanno detto che in questo modo stiamo acquisendo il metodo (quale metodo chissà) per poter affrontare dignitosamente la vita di tutti i giorni. E così per alcuni comincia la lunga trafila nel mondo del lavoro, per altri la giovinezza si allunga ulteriormente con l’università. Il desiderio, nemmeno tanto esplicito, quello di acquisire maggiori competenze e altro metodo (sempre in agguato, ma mai dichiarato).
Ci ritroviamo così, finalmente pronti per il mondo del lavoro, peccato che quest’ultimo non è pronto per tutti noi. E allora via con infiniti corsi di formazione, via di formazione permanente perché bisogna aggiornarsi e differenziarsi, bisogna essere sempre più unici per un sistema che ti getterà senza troppi complimenti in un contesto dove le parole d’ordine sono sempre le stesse, flessibilità e sottopaga.
Impossibilitati ad avere una giusta dimensione arriviamo a fare i conti con quella che è la nostra esistenza precaria e ci ritroviamo come quel piccolo sasso, portato a spasso dalla corrente, a chiederci “dove stiamo andando?”.
Intanto la corrente continua a limarci, smussando tutti gli spigoli, rendendoci sempre più piatti, trasportati non del tutto consapevoli della prossima destinazione, possiamo solo sperare che il prossimo luogo dove ci porterà sarà l’ultimo e sarà il più bello, il posto ideale dove vivere in pace la nostra esistenza.
da Andrea Famiglietti | Ott 19, 2021 | Editoriale
Dove stiamo andando? È una domanda che a un certo punto capita di porsi.
Non più un quesito che con gli amici si faceva largo durante qualche sabato sera in cui ci si trova impreparati al solito spettacolo offerto e nemmeno quella che ci poniamo con le nostre compagne o compagni durante qualche serata estiva, in cui cerchiamo di fuggire dalla calura estiva e dalla noia cittadina.
Dove stiamo andando è l’ago di questa nuova bussola con cui abbiamo cominciato a fare i conti in questa fase delle nostre vite.
Le nostre esistenze ci rendono naufraghi in un mare magnetico in tempesta che ci sbatte a destra e a manca e ci priva di quel senso di sicurezza che in un certo qual modo ha contraddistinto le generazioni che ci hanno preceduto.
Così abbiamo deciso che in queste due settimane fare un qualcosa di estremamente pericoloso per la nostra società.
Queste due settimane abbiamo deciso di fermarci per un momento, chiudere gli occhi, prendere fiato e ripensare a noi stessi, a quello che abbiamo costruito durante gli anni, a quanto abbiamo seminato e a quanto abbiamo raccolto.
In questi quattordici giorni vorremo chiederci di nuovo, tutti insieme, dove stiamo andando. Metteremo al centro di tutto le nostre vite in relazione al tempo in cui ci troviamo a vivere. Esistenze che sono il risultato di numerose variabili: delle istituzioni che ci hanno cresciuto e formato, del mondo del lavoro, delle sue regole e norme, prodotto delle nostre realtà urbane, provinciali che vedono vivere.
Il mondo cambia, tutto è in trasformazione, questa non è una scoperta. Quello che ci piacerebbe raccontare è come reagiamo a questi cambiamenti, come ci adattiamo alle trasformazioni che ci interessano. Siamo capaci di comprendere le direzioni che stiamo intraprendendo o ci ritroviamo in balia delle onde?
Scopritelo in queste prossime settimane, come sempre seguendoci su Scarpesciuote.
Antonio Lepore
Andrea Famiglietti
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