Note cartonate

Note cartonate

Parlare di se stessi non è facile. A volte si ha paura di scoprirsi, altre, invece, è difficile aprirsi agli altri. Con la diffusione dei social, inoltre, le nostre personalità vengono idealizzate, ingigantite.

I personaggi da incarnare sono tanti e si rischia di perdersi in se stessi; non è semplice essere il giusto prototipo dell’altro, allo stesso modo indossare una maschera in ogni occasione. Capita spesso di conoscersi sui social e di percepire dall’altra parte una persona diversa da ciò che è, a volte le violenze di genere possono nascere appunto da questi incontri a scatola chiusa. In questi casi la rete funge da gabbia dorata, da specchio per le allodole dove vengono concessi tutti requisiti per essere ritenuti rispettabili socialmente. Ciò accade in quanto la nostra vita è spesso frenetica e ci accontentiamo della superficialità; andare in fondo alle questioni, del resto, non è permesso dai tempi della nostra società.

L’altra faccia della medaglia è conoscere persone in rete che non fanno fatica nel mostrarsi per ciò che sono. In questo caso la rete è fonte di arricchimento e un monito verso quelle persone che hanno paura di mostrare la propria magia e la propria peculiarità.

A tal proposito, oggi vi propongo un pezzo dei Litfiba, ovvero “Mascherina”.

“Parlarsi in faccia è l’ideale e preferisco sia così

Le mezze parole mi fanno male e la tua maschera mi butta giù.”

Il rocker toscano esorta al contatto interpersonale, al contatto fisico. In questo pezzo viene evidenziata l’importanza dell’apparire senza maschere o disfunzioni di sorta. La realtà è importate ed è necessario conoscersi in fondo e non avere paura di vivere come si vuole e renderlo pubblico. Un pezzo di fine anni novanta, magicamente attuale e precursore di ciò che il nuovo millennio ci avrebbe donato.

Gli spazi urbani: come modellano il nostro essere

Gli spazi urbani: come modellano il nostro essere

tu sei nato qui“La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.”

Questa frase è tratta dal libro “Città invisibili” di Italo Calvino e ci suggerisce che ogni centro abitato, sia esso un piccolo paesino di montagna o una metropoli, possiede una storia che modella lo stile di vita dei suoi abitanti ed allo stesso tempo si arricchisce dei nuovi modi con cui residenti e viaggiatori vivono lo spazio urbano. La personalità di ogni individuo è il frutto della costante interazione tra due istanze che, col progredire dello sviluppo, contengono sempre più elementi: si parte dalla dotazione genetica che interagisce con le cure primarie fornite al neonato e, secondo uno schema di assimilazione di nuovi apprendimenti e accomodamento degli stessi sulle cose apprese in precedenza, l’interazione tra ciò che c’è “dentro” e quel che si trova “fuori” diventa sempre più ampia e complessa e si sostanzia nella più ampia concezione dell’interazione uomo – ambiente. E finalmente arriviamo a noi: l’ambiente, nel nostro specifico quello urbano.

La città ci accoglie fin dalla nascita e condiziona il nostro sviluppo iniziale indirettamente, influenzando la modalità di educazione che ci viene fornita da chi si prende cura di noi da bambini. Crescendo iniziano le prime interazioni con gli spazi urbani, dapprima il cortile sotto casa ci aiuta a sviluppare la creatività grazie alla quale si creano scenari fantastici, e così gli spazi del cortile prima e del quartiere dopo diventano stadi in cui si giocano importanti partite o scenari di guerra o del selvaggio western dove ci si spara e ci si cerca e chi rimane per ultimo ha l’obbligo di liberare tutti. L’adolescenza, e la sua fase preparativa, ampliano l’esplorazione della città, arrivando all’esplorazione di nuovi luoghi, urbani e suburbani, centrali, limitrofi e delle città confinanti. Inizia la sperimentazione identitaria tipica dell’adolescenza e per ogni luogo della città vi è una specifica cultura giovanile, da quelle conservatrici – tradizionaliste – modaiole a quelle più anticonformiste – controculturali passando per le miriadi intermedie; ciascun periodo storico porta con sé diversi ruoli e figure sociali sperimentabili, ciò che rimane fisso nel tempo è l’accoppiamento luogo – identità sociale. Difatti, una specifica piazza o uno specifico viale contraddistingue l’aggregazione di giovani che condividono qualcosa, dapprima fatto estetico come vestire in un certo modo o ascoltare un certo genere musicale, in seguito scambio di idee e formazione delle prime forme identitarie esterne all’impronta fino a quel momento ricevuta dal contesto familiare individuale. Lo spazio urbano, a questo punto, fornisce gli spunti da cui tali scambi di idee hanno luogo e riceve l’esteriorizzazione di queste idee (si pensi ai graffiti o agli assembramenti di motorini e macchine 50cc, alle voci più o meno forti…).

L’ingresso nell’età adulta presuppone lo stabilizzarsi di una miscellanea identitaria ben integrata e la condizione di essere predisposti a procurarsi da sé ciò di cui si ha bisogno (parlare di indipendenza economica, di questi tempi, mi sembra una chimera che sposterebbe l’età adulta chissà quando); anche la concezione degli spazi urbani, ormai allargata a contesti nazionali e internazionali reali o fantasticati che siano, cambia: la creatività e la fantasia iniziano ad operare ad un livello inconsapevole o quasi cosciente mentre il lato più pragmatico e realistico legge la realtà urbana all’insegna delle opportunità di lavoro, dalla riduzione dei tempi vuoti, della manipolazione degli spazi a proprio vantaggio e, per i più fortunati o saggi che dir si voglia, degli spazi dove potersi concedere del tempo libero, evitando che lo stesso si ristagni tra le mura di casa perdendo, così, di efficacia. Fino a questo punto paesino o metropoli venivano a differenziarsi per questioni numeriche e di metratura, preferendo in linea di massima l’ambiente urbano il più naturalistico possibile; purtroppo il contesto rurale è un bel luogo dove crescere da bambini ma che concede poco spazio alle attività lavorative per cui, da grandi, la grande città è la metà di chiunque, al netto delle possibilità e dei principi realistici e fantastici: anche chi ha scelto una vita tranquilla nella provincia rurale ha, almeno una volta, fantasticato di essere un cittadino metropolitano. E la metropoli, dal canto suo, cerca di restituire qualche spazio che possa dare l’idea, o l’illusione, di poter vivere nella natura nonostante tutto.

L’età adulta è un lungo periodo fatto di crescita e consolidazione delle conoscenze, la senescenza, invece, dà la possibilità di tramandare ciò che si è appreso e, semmai la mia generazione potrà farlo, di godersi la “pensione”. Si ritorna a vivere la città secondo una concezione del tempo più dilatata, sebbene l’energia vitale infantile e adolescenziale abbia ceduto il posto alla saggezza data dall’esperienza; questo vuol dire che, se da un lato infanzia e senescenza si incontrano nel concepire lo spazio urbano come qualcosa che ci accoglie, esso è visto adesso con occhi più esperti e coscienti, lo spazio deve concedere riposo, l’anziano cittadino metropolitano sogna di poter vivere in campagna all’ombra di un albero in un parco mentre il suo alter ego provinciale si gode la quiete della ruralità nei luoghi che gli ricordano di appartenere ad uno stato moderno.