E tu che sagra scegli?

E tu che sagra scegli?

È una prerogativa molto interessante quella che ci costringe ad affidare le nostre speranze e i nostri desideri ad un segno, un simbolo. La primavera viene annunciata dal ritorno delle rondini (almeno se non vogliamo dare credito ai proverbi) e da una rigogliosa rifioritura che conquista lentamente spazio e città.

Anche l’estate non tradisce questa prerogativa. Ad esempio in Irpinia, l’arrivo dell’estate, viene solitamente sancito dalla comparsa dei manifesti 70×100 lungo le strade cittadine che annunciano una qualche sagra.

Molto spesso la stagione estiva viene anche definita la stagione delle sagre.

Come detto poc’anzi l’Irpinia, in questo senso, rappresenta un caso emblematico. Con i suoi 118 comuni riesce, ogni estate, a mettere in scena decine e decine di eventi.

Le conseguenze di questa situazione sono senz’altro due: la prima è che ci si trova in un girone da inferno dantesco, fatto di indigestioni dovute al troppo mangiare e dal troppo bere e la seconda è che molto spesso ci si ritrova a vivere un calendario pieno, mal al tempo stesso, molto omogeneo. Non di rado capita che paesi limitrofi si ritrovano a mettere in scena gli stessi eventi e con le stesse modalità, solo in tempi diversi.

ESTATE PERCHÉ TU ESTATE

Le ragioni per cui ci troviamo, solitamente, a vivere estati così intense e al tempo stesso così simili sono alcune e tutte strettamente connesse alle condizioni sociali ed economiche della realtà.

Sicuramente il fatto che la provincia di Avellino sia consapevole protagonista di una emigrazione di massa perpetua rappresenta una parte interessante della spiegazione da cui partire.

Il rientro dei lavoratori emigrati e dei tantissimi fuorisede comporta la necessità del territorio di dare vita ad eventi socializzanti utili a trattenere persone ed economie.

Per rispondere a queste necessità le soluzioni prevedono, da almeno trent’anni, l’organizzazione di sagre o eventi con artisti di strada. Un’estate piena di “sagra del …” e di “nome del paese – arte” dimostrano che tale processo non si è mai evoluto.

CONCLUSIONI

Chi scrive non è contrario a queste iniziative e all’incredibile attivismo che anima chi ogni anno si impegna, ma ritiene fondamentale intraprendere un nuovo percorso.

Andrebbe compreso che non si dovrebbe rispondere alla necessità di una vita di un territorio a stagioni alterne. Costruire eventi sociali e socializzanti attraverso l’elaborazione e la programmazione costante, ascoltando il territorio e non trasformandolo in un piccolo presepe fatto di naccare, tammorre e vestiti tradizionali.

Inoltre, si dovrebbe lavorare alla costruzione di una rete provinciali di comuni e attori territoriali capaci di creare un macro percorso fatto di piccoli percorsi territoriali.

Ci apprestiamo a vivere un secondo anno di stop dovuto alla pandemia e alle direttive anti – contagio, capaci di scoraggiare anche il più ottimista degli organizzatori, potrebbero essere utili per definire e costruire un diverso modo di intendere le realtà e con esso la creazione di eventi sociali e socializzanti di più ampio respiro e durata.

Il terreno di battaglia per me che non sono un guerriero

Il terreno di battaglia per me che non sono un guerriero

Avverto un po’ di ansia ma a qualcuno dovrò pur confidare questa verità che sento esplodere di realtà dentro di me: il progetto di “Scarpesciuote” è l’ultima possibilità che concedo a me stesso per indossare l’elmetto e combattere una vita che non mi soddisfa per nulla. Insomma, grazie a questa “banda” ho deciso il terreno di battaglia per cui vale la pena rischiare tempo, idee e quasi tutte le mie emozioni: ovvero dare vita ad un movimento fatto di articoli, iniziative, scambi di opinioni (e perché no, fateci sognare, una piccola casa editrice o qualcosa del genere).

La pandemia che ci ha travolto, poi, ha soltanto rafforzato questa volontà di invertire l’ordine naturale delle cose, almeno in Italia: non abbiamo né soldi né santi in paradiso, però che bello che ognuno di noi scriva di cose che ha a cuore e di vederci, per ora soltanto virtualmente, tutti quanti assieme e sognare che, un giorno, tutti noi staremo “al posto giusto”.

Sarà una speranza piuttosto banale, però negli ultimi decenni ci hanno privato innanzitutto della dignità. In ogni posto di lavoro – se così si può definire un’attività quotidiana mal retribuita e troppo spesso distante anni luce dagli studi affrontati e dagli occhi brillanti con cui ognuno di noi dovrebbe vivere l’ennesima giornata lavorativa – ci hanno “disumanizzato” fino al punto da desiderare soltanto una piccola tranquillità economica e basta.

Ed invece io, povero fesso e coglione, con “Scarpesciuote” vorrei riuscire a riappropriarmi di progetti emozionanti che, ascoltate bene, non sono soltanto destinati al fallimento o a quegli sguardi del cazzo di quel tipo che ha il posto fisso e che la domenica porta i pasticcini a casa (quest’ultima affermazione è causata dalla mia dieta e quindi dall’invidia che provo per chi può abbuffarsi in santa pace). Quindi, questo è il mio campo di battaglia: costruire un ambiente lavorativo dove ognuno può scrivere ed organizzare eventi che sognava da bambino o davanti al bar quando ad un amico diceva “in città manca proprio questo”.

Io, come si può ben notare, non sono il tipico esempio di guerriero, però desidero con tutto me stesso che queste parole, un giorno, diventassero realtà, soprattutto in contesti urbani come quello in cui viviamo, povero di slanci umani e culturali.