
Abbecedario di provincia: lettera T
Domenica sera, dopo aver digerito Sanremo e tutte le canzoni (podio e premi giusti, tranne quello per “miglior testo”), insieme alla mia compagna abbiamo seguito l’intervista al Papa da parte del dinamico Fazio. Fino a questo punto non ve ne frega un cazzo e lo so bene, però c’è un punto che credo possa interessare tutti noi. Mi riferisco a quando il Papa ha detto più o meno “Bisogna toccarla la sofferenza, il tatto è il senso più pieno”.
Lì mi sono bloccato un attimo e non era la parmigiana che mi aspettava nel piatto. Erano quelle parole, quello sguardo che sì, era rivolto anche a me, ormai indifferente a toccare con mano la vita degli altri, sempre pronto a fermarmi un passo prima di varcare la soglia del cuore altrui, annusare prima l’aria che tira e poi, eventualmente, accomodarmi dentro. Sì, lo so che il Papa si riferiva a “toccare” soprattutto la sofferenza degli ultimi, però se ci pensate bene abbiamo disimparato a “toccare” anche i dolori di chi ci sta accanto tutti i giorni.
Troppo presi dalla frenesia della vita, dai TikTok e soprattutto dall’egoismo del dolore. L’ho notato soprattutto negli ultimi tempi l’egocentrismo di tutti noi nel mettere al primo posto sempre le nostre sofferenze e liquidare, al massimo con un consiglio svogliato, quelle altrui. Oppure, come accade sempre più spesso, preferiamo proprio non accarezzare le pieghe del dolore, chiudere gli occhi e giudicare senza sapere.
In un mondo dominato dalla virtualità, dall’ansia di essere i “primi” in qualsiasi cosa, dalla pretesa di avere la verità in testa, dalla smania di fare i soldi, abbiamo ucciso il tatto, il toccarsi. E non fate finta di nulla, anche voi, così come me, avete le mani sporche di sangue.
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