Sotto il segno di Michel Platini, una nuova Arancia meccanica

Sotto il segno di Michel Platini, una nuova Arancia meccanica

Il Dio del calcio ha promulgato gli ultimi verdetti stagionali. Proprio ieri, Il Chelsea ha vinto la Coppa dei Campioni, pochi giorni prima il Piccolo Villareal ha trionfato in Europa League battendo il più quotato Manchester United, rendendo superflua ogni ulteriore considerazione riguardo la super League annunciata e per fortuna abortita qualche settimana fa.

L’Europeo si avvicina e proprio ieri mi chiedevo quale altro giocatore sia mai stato così tanto determinante e decisivo da decidere le sorti di una intera manifestazione. Se il pensiero va immediatamente a Maradona e al mondiale di Messico 86, non si può non menzionare il meraviglioso europeo del 1984 giocato da Michel Platini. Una data orwelliana in cui il calcio comincia a cambiare, il campionato italiano diventa punto di riferimento per i giocatori più forti del mondo, le grandi manifestazioni internazionali cominciano ad attirare sponsor e spettatori, l’organizzazione degli eventi calcistici diventa una ghiotta occasione per i paesi ospitanti. L’Italia campione del mondo in carica, ma in Francia non ci sarà a giocarsi l’europeo, confermando la tradizione che vuole i colori azzurri sempre imprevedibili.

La Francia trascinata dai gol di Platini supera agevolmente la sorprendente Danimarca, travolge il Belgio, affonda la Jugoslavia ed elimina Il Portogallo in semifinale. Nell’altro i portoghesi e la Spagna si qualificano a scapito di Romania e Germania Ovest, grande delusione del torneo. La Spagna sembra finalmente voler concretizzare le proprie ambizioni, presentando una squadra talentuosa che in semifinale avrà la meglio sugli ostici danesi, ma la finale del 27 giugno giocata al Parco dei Principi non può che incoronare “Roi Michel” ed i suoi 9 gol in totale che regalano alla nazionale transalpina il primo trofeo internazionale: Le furie rosse vengono regolate con il punteggio di due a zero.


Il tempo corre rapido e già nel 1988 il mondo sembra prepararsi a cambiamenti sconvolgenti. La guerra fredda volge al termine, il blocco sovietico scricchiola, la nuova edizione degli europei ospitata dalla Germania Sembra aprire una nuova era, il calcio volge verso gli anni ’90, le maglie diventano veri capi commerciali. A proposito di maglie, indimenticabile saranno quelle della nazionale olandese disegnate da Adidas, lo stile di una nuova nazionale che sembra rinverdire i fasti di Johan Cruyff e compagni. Questa volta però L’Olanda non si farà sfuggire la prima vittoria in un trofeo internazionale presentando una nazionale solida e spettacolare il cui migliore interprete si rivelerà essere Marco Van Basten, ancora spaesato nella sua prima stagione a Milano ma pronto a Iscrivere il suo nome nella gotha del calcio mondiale.


Eppure l’esordio olandese è Deludente: l’Unione Sovietica un gol di Rats sembra ridimensionare le ambizioni dei tulipani. Van Basten però decise di entrare in scena nella partita decisiva contro l’Inghilterra: con una tripletta affonda la nazionale di sua maestà e qualifica l’Olanda alla semifinale. Anche l’Italia finalmente presente supera il girone impressionando con una formazione che due anni più tardi vivrà delle notti magiche. Superato il girone contro Danimarca, Spagna ed i padroni di casa della Germania ovest, L’Italia viene battuta in semifinale dai soliti sovietici, a noi ostici come non mai.

La finale di Monaco farà da spettatrice ad uno dei gol più belli della storia del calcio. Segnato da chi? Ovviamente da Van Basten che con una pennellata impossibile sfida le leggi della fisica e batte il forte portiere sovietico Dasaev. La traiettoria presa dal pallone stupisce il mondo intero e consegna al Milan un centravanti dalle capacità devastanti che non tarderà a lasciare il suo marchio nella serie A italiana. La nazionale rossa scesa in campo con una iconica maglia bianca, eterna incompiuta, è battuta due a zero e la Coppa prende la strada di Amsterdam. Sarà l’ultima partecipazione per l’unione sovietica in una competizione internazionale: la storia prenderà il sopravvento sul calcio decretando la fine di un mondo. La perestroika incalza e con lei l’inizio di una nuova era. Negli anni ’90 infatti gli europei cambieranno formato ed allargheranno la partecipazione ad un numero sempre maggiore di squadre, diventando la manifestazione imponente che oggi conosciamo.

Storia degli Europei: Urss e Spagna pioniere

Storia degli Europei: Urss e Spagna pioniere

Lo scoramento per la realtà surreale vissuta nell’ultimo anno ha, almeno per quanto concerne il sottoscritto, spento l’interesse per la stagione calcistica in corso. Stadi vuoti, scenari surreali, un gioco sempre più opinabile sotto diversi aspetti. L’orizzonte, però, scalda il cuore, nonostante tutto: cum magno gaudeo attendiamo i campionati europei, primo vero banco di prova per la entusiasmante nazionale di Mancini.

Con la mente e con il cuore ho provato a rispolverare i ricordi, passando in rassegna vecchi almanacchi commentando le edizioni più belle di una manifestazione affascinante, un altro luogo di incontro tra storia, sport e politica, evento nato nel miraggio di un continente desideroso di unirsi sotto la bandiera della concordia, a dispetto del terribile ricordo della Guerra. Rinfreschiamoci un po’ la memoria, rammentando le prime due edizioni:

Nel 1960 la UEFA decide di organizzare il torneo da tenersi proprio in Francia, sede dell’organizzazione. Il Presidente Henri Delaunay si fa promotore dell’evento alla cui fase finale, dopo un blando turno eliminatorio, accedono soltanto quattro squadre dislocate nelle sedi di Parigi e Marsiglia. È un torneo dai caratteri sperimentali, ancora embrionale, in cui le squadre dei Paesi dell’oltre-cortina di ferro  fanno da padrone.

Trionferà l’Unione Sovietica, una squadra simbolo con una maglia storica, rossa rivoluzionaria, marchiata dall’iconico acronimo CCCP. Dopo aver vinto a tavolino contro la Spagna franchista (rifiutatasi di partire per Mosca per motivi strettamente ideologici) e contro la “satellite” Cecoslovacchia, in finale viene sconfitta la “sorella” Jugoslavia per 2-1 in un incontro/scontro che avrebbe pienamente soddisfatto le manie di rivalsa del compagno Stalin nei confronti del rivale Tito. Lev Jaščin ed Igor Netto sollevano la bellissima coppa dal colore argento al cielo di Parigi mostrando al mondo il valore competitivo di un Paese in crescita, nel pieno di un’epoca foriera di grandi cambiamenti sociali al suo interno: i voli plastici del “ragno nero”, unico portiere a detenere il pallone d’oro, saranno seguiti dal volo più famoso della storia, quello del cosmonauta Jurij Gagarin che circumnaviga il pianeta aprendo scenari tecnologici inimmaginabili. L’Urss è in piena ascesa, lancia la sua sfida al mondo intero, politico e non

Grandi attese, a volte, tradite: il bis venne fallito nell’edizione successiva del 1964, vinta dai padroni di casa della Spagna. Il torneo, la cui fase finale si disputò nelle sedi di Barcellona e Madrid, seguì la stessa identica formula della prima edizione. L’Urss campione in carica dei vari Jaščin, Ponedel’nik ed Ivanov, dopo aver eliminato l’Italia nelle fasi eliminatorie (esordio per gli azzurri nella competizione, 2-0 a Mosca, 1-1 a Roma), cede in finale alla Spagna di Marcelino, Pereda, Luisito Suarez e Ferran Olivella che trionfa nella finale di Madrid battendo i nemici politici di fronte a Franco e al Re, sulle tribune del Bernabeu. Per vincere ancora le Furie Rosse dovranno attendere i vari Xavi, Iniesta, Casillas e Puyol per ben 44 anni…

Il campionato europeo di calcio è ancora lontano dalla messa a punto di una formula complessa come quella odierna, ma nelle sue due prime edizioni ha già regalato partite spettacolari, suscitando largo interesse e una speranza per il futuro. La prossima edizione la si giocherà a Roma, la nazionale italiana non si farà trovare impreparata.

Ma questo ed altro…nella prossima puntata!

 

 

Un viaggio tra generazioni mai conosciute

Un viaggio tra generazioni mai conosciute

«Iniziava sempre con quell’insolito rituale, prima di mettersi in viaggio mio padre era solito togliersi il cappotto, ripiegarlo e posizionarlo sul bagagliaio dell’auto»

C’è sempre stata una certa sacralità in quello che per molti anni ha rappresentato uno dei viaggi di famiglia più frequenti e più intensi. Negli anni ha assunto diversi significati.

Da bambino ritornare in quei luoghi, così vicini e così lontani, rappresentava un viaggio, un’avventura il cui copione era sempre lo stesso e veniva rispettato in maniera incredibile. Le nostre “costanti” erano sempre lì ad attenderci: l’incredibile buio quando arrivavamo a Villamaina e quell’enorme muro di luci e lumini pronti ad accoglierci, le statue in pietra e quei lunghi vialetti grigi che ben si sposavano con l’autunno. E dopo, di nuovo in auto, in direzione Sant’Angelo dei Lombardi, le chiacchierate vicino la stufa e la visita al laboratorio di un artigiano speciale, come sapeva essere nostro prozio e poi, se eravamo fortunati, una bella partita a palle di neve che ci “costringeva” tutti ad un tutti contro tutti impagabile.

Crescendo, con gli anni, molti di quei luoghi e di quei protagonisti sono cambiati, il viaggio ha assunto sempre più un significato diverso. Negli anni storie passate e presenti si sono mischiate e, con nuove tappe, hanno portato alla luce nuovi protagonisti. Tra tutte, sicuramente, quella più interessante è stata Torella dei Lombardi.

Conosciuta da molti come il paese di origine di Sergio Leone e dei vari De Laurentiis, Torella ha assunto un significato familiare rilevante in quanto paese originario della mia famiglia paterna, o meglio è qui che i miei bisnonni Raffaele e Lucia hanno deciso di mettere su famiglia.

Purtroppo il destino e la grande storia non sono stati benevoli con entrambi e la loro vita è stata scandita da sacrifici immensi, tanto lavoro e una serie notevole di tragedie. La loro vita matrimoniale brevissima, spezzata dalla prematura scomparsa di Raffaele che per gran parte degli anni resterà poco più che un quadretto in divisa militare appeso nelle nostre case e poco più.

Disperso in seguito ai tragici eventi che caratterizzarono il secondo conflitto mondiale i racconti che si sono susseguiti sono sempre stati rari e frammentati, in cui l’unica certezza è stata la sua partenza da un punto A, meglio identificato come Italia, e la sua scomparsa in imprecisato punto B della penisola balcanica tra l’Albania e la Grecia. Nulla più, per decenni. Un’intera vita racchiusa in una serie poco precisa di chilometri e in un continente. Il destino di Raffaele, come tanti altri dispersi ha dovuto fare i conti con la frammentarietà delle informazioni possedute.

Così per anni abbiamo saputo veramente poco della sua vita. Se non fosse per la grande storia che per una seconda volta si sarebbe intromessa nella nostra famiglia. Infatti negli anni 2000 l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi decise di onorare la memoria dei soldati italiani in Grecia ritenendo il loro sacrificio il primo atto di Resistenza italiana contro il nazifascismo.

Sotto questo impulso la comparsa di un foglio matricolare di Raffaele la sua storia comincia ad assumere una forma più definita. Una serie di tappe e città e nazioni comincia ad affiorare nella vita di Raffaele. Prima Torino, poi la Francia, dopo casa e poi di nuovo Brindisi, Valona con l’Albania e infine Corfù e Cefalonia con la Grecia dove molto probabilmente troverà la morte.

Ma a rendere completo il quadro ci penserà Lucia, con un pacco di lettere di corrispondenza conservate a trasformare Raffaele non più in una merce in spostamento dai diversi punti, ma in una persona in balia del destino. Nelle lettere si sente la mancanza per la casa, gli affetti e la terra. L’essere sempre in viaggio e la fiducia in un rapido ritorno che però non arriverà mai.

Il viaggio a Torella dei Lombardi verso una lapide dedicata a tutti i dispersi ha rappresentato questo e continua a rappresentare questo, la connessione con due vite che malgrado il destino le ha strappate alla terra continuano a legarci ai loro luoghi e alle loro storie.