In genere le mappe vengono utilizzate per orientarci, per trovare la strada giusta o semplicemente per non perderci. Eppure la sola mappa non ci aiuta, abbiamo comunque bisogno di altri strumenti o elementi per orientarci meglio ed evitare così di perdersi; sarebbe bello riceverne una all’inizio del nostro percorso, chiara e che ci indichi quale sia il nostro percorso migliore ma per fortuna o sfortuna siamo gli unici che possono disegnare la propria mappa. Un po’ come Zerocalcare in Strappare lungo i bordi, la serie animata uscita su Netflix qualche tempo fa, ci ritroviamo a percorrere un immaginario percorso tratteggiato e di cui ignoriamo la destinazione ma che scopriamo giorno dopo giorno, arricchendo la nostra mappa di dettagli ed esperienza; perché potremmo immaginare la nostra vita come una mappa su un foglio bianco, immacolato e che sporchiamo piano piano con piccoli disegni che ci porteremo sempre dietro e che guarderemo ogni volta che ci sentiremo persi in modo tale da ritrovare la nostra vita. Perché sì spesso ci capiterà di perderci, di sentirci smarriti e di non sentirsi valorizzati e per questo motivo saremo lì con la nostra mappa in mano a guardare ai nostri risultati, soddisfatti di essere arrivati dove siamo e di non esserci arresi completamente. Alla ricerca della rosa dei venti Dicono che porsi degli obiettivi, aiuti ad orientarsi nella vita e che impegnandosi siamo in grado di superare qualsiasi ostacolo e raggiungere la vetta. Eppure in 33 anni di vita ho avuto modo di constatare che di ostacoli ne incontriamo e spesso veniamo fermati, un po’ come quando si finisce sulla casella vai in prigione di Monopoly. In quei momenti non facciamo altro che arrestare il nostro percorso, domandandoci magari davanti ad uno specchio “Perché ho fallito?” e spesso la risposta a quella domanda non arriva nonostante tutto. Avere in questi momenti qualcosa che ci porti a non sprofondare è importante, una mappa non deve essere per forza un pezzo di carta con un percorso che magari ci porta al tesoro nascosto ma può essere un qualsiasi oggetto o ricordo che ci dia la forza per restare su quella via che abbiamo deciso di percorrere e che ci porterà ad uno dei tanti obiettivi che ci siamo posti. Viviamo di esperienze che ci portano ogni giorno a conoscere sia il mondo che ci circonda che noi stessi, portandoci alla consapevolezza che un giorno sentirsi fuori posto smetterà di essere un pensiero e finalmente potremo dire “ho trovato il tesoro che avevo sepolto anni fa..” e inizieremo a disegnare una nuova mappa con un nuovo obiettivo. Fermarsi e riprendersi
A volte fermarci per capire dove stiamo andando non è una brutta idea. Prenderci del tempo, raggruppare le idee e guardare alla nostra mappa ci aiuterà sicuramente a non perderci poiché basta poco e la nostra rotta sarà diversa. Anche mischiare il nostro percorso con un altro, incrociarci con altre esperienze e persone non è del tutto negativo se tutto porta a riprenderci e stare meglio. Però bisogna fare attenzione a non inoltrarci troppo sui percorsi altrui rischiando così di perdere completamente la via e smarrirci nel nostro cambiamento. Alla fine Cristoforo Colombo ha scoperto l’America seguendo un percorso totalmente diverso da ciò che indicavano le mappe dell’epoca e come lui dovremmo iniziare a guardare ai nostri obiettivi non seguendo necessariamente quella linea tratteggiata quasi imposta da una società che cade a pezzi ogni giorno che passa.
Cos’è esattamente la giovinezza? La definiamo come quel periodo della nostra vita che ci porta a vivere l’adolescenza prima di entrare nell’età adulta, una fase in cui iniziamo a fare le prime vere esperienze di vita. Pensando a quegli anni sembra passata un’eternità eppure durante quella fase ho iniziato ad appassionarmi a ciò che è definibile come cultura nerd; nonostante il Topolino sia stato il mio primo fumetto ad essere mai letto e che mi ha accompagnato per moltissimi anni,sono stati i manga e gli anime ad accentuare la passione per il medium fumetto. Leggere e vedere storie di “coetanei” mi dava l’opportunità di alienarmi dalla realtà, immaginare esperienze che in una giornata normale non avrei potuto sperimentare ma oggi, a distanza di anni, mi rendo conto che i protagonisti di tutte queste opere provenienti dal Giappone non erano realmente dei giovani come lo ero io. Anagraficamente giovane, mentalmente adulto Quando eravamo giovani penso che la maggior parte di noi pensava alle prime relazioni con l’altro sesso, la scoperta di emozioni che prima non comprendevamo, pensieri nuovi si profilavano nelle nostre acerbe menti, ma nonostante questo eravamo anni luce diversi dai protagonisti di Dragon Ball o Pokemon, per citare qualche titolo. Le storie della maggior parte di loro ricorda l’archetipo del viaggio dell’eroe, di cui vi ho parlato qualche tempo fa sempre qui su Scarpescioute, dove i protagonisti nelle loro storie intraprendevano un viaggio dove si mettevano in gioco e alla fine di esso realizzavano che la loro vita era cambiata; almeno la maggior parte dei protagonisti si ritrovano a vivere avventure soprannaturali con poteri speciali, persone dalle spiccate personalità e tutto ciò che la mente umana può produrre e mostrare ad un pubblico mediamente giovane. Però ci sta un personaggio che mi viene in mente che nonostante viva in una realtà distopica e abbia la possibilità di guidare enormi robot, resta un giovane ragazzo che affronta la vita con tutte le sue paure, gioie ed esperienze che lo porteranno a maturare: Shinji Ikari.
Neo Genesis Evangelion
Shinji è il protagonista di Neo Genesis Evangelion e la sua storia è ambientata a Neo-Tokyo 3 nel futuro. Il 13 Settembre 2000 un violento cataclisma si abbatte nell’Antartide, sciogliendo i ghiacciai e rimodellando l’asse terrestre e portando alla morte milioni di esseri umani; veniamo catapultati nel 2015 dove il giovane Shinji è alle prese con il suo trasferimento nella sua nuova casa a Neo – Tokyo 3 e l’inizio della sua nuova vita come futuro pilota di Eva. Gli Eva, o Evangelion, sono degli enormi umanoidi artificiali utilizzati dagli esseri umani per affrontare e difendersi da una minaccia dall’origine sconosciuta chiamata Angeli; Shinji è un ragazzo che si ritrova catapultato in un mondo dove essere giovane non lo aiuta ad affrontare al meglio la situazione in cui vive.
Oltre a dover combattere per la salvezza dell’umanità, Shinji si ritrova soprattutto ad affrontare i problemi che un adolescente si ritrova a vivere all’inizio della fase; i primi rapporti interpersonali con l’altro sesso che lo portano a non comprendere come vivere serenamente la convivenza con Asuka Langley, una ragazza che come lui guida gli Eva, o il rapporto con Rei Ayanami.
Ma anche il rapporto che instaura con i suoi compagni di scuola non è semplice, trova difficoltà a socializzare sia per il suo carattere introverso sia per la posizione che ricopre come pilota; ed è proprio negli anni dell’adolescenza che spesso le persone si formano nelle relazioni sociali, con i propri tempi e le proprie modalità ma nonostante questo chi è un po’ più riservato viene considerato come un individuo strano e da evitare assolutamente
Ecco Shinji è più simile a noi di qualsiasi altro protagonista di manga o anime, poiché non vive tutta la sua storia ad affrontare solo minacce provenienti dallo spazio ma si ritrova a confrontarsi con la quotidianità, con i problemi e le paure che un giovane che inizia un nuovo percorso nella sua vita; come Shinji molti giovani si sono ritrovati senza una guida, senza qualcuno che potesse indicargli quale strada fosse giusta per affrontare la vita Shinji Ikari alla fine è un normale ragazzo giapponese, che vive in una società dove i giovani e il loro futuro non sono presi in considerazione da chi dovrebbe guidarli. Quasi tutti i suoi rapporti sono definiti dal suo ruolo di pilota : dai compagni di classe al personale con cui si interfaccia fino alla difficile relazione con suo padre.
In fin dei conti siamo stati un po’ tutto come Shinji, con i nostri problemi, con le nostre paure, con l’incertezza che ci accompagnava verso il futuro e una quasi assoluta sfiducia in chi all’epoca ci doveva aiutare, per diventare dei decenti adulti.
“I still don’t know where to find happiness. But I’ll continue to think about whether it’s good to be here…whether it was good to have been born. But in the end, it’s just realizing the obvious over and over again. Because I am myself.”
In questi giorni, più o meno, il buon Andrea mi scriveva e chiedeva se mi sarebbe piaciuto collaborare con lui e scrivere qui su Scarpescioute. Oggi ad un anno di distanza dall’inizio di quest’avventura mi trovo a raccontare insieme a tutticome vediamo il mondo, ognuno con il proprio unico stile dato dalle singole esperienze. L’estate a pensarci bene per me è quasi sempre stata la stagione del cambiamento; l’anno scorso prendevo la decisione di trasferirmi a Milano per lavoro e iniziare una nuova esperienza. Ma non è stato né il primo né l’ultimo cambiamento, fin da bambino questa calda stagione mi ha portato nuove esperienze. AL DI LÀ DELLE NEBBIE
“Questo luogo, il Maniero Picotte, è una pensione. È la pensione della Valle della Nebbia, da generazioni a generazioni. Perciò, qui il pane te lo devi guadagnare. E’ quel che si definisce “costo della vita” La protagonista del romanzo di Sachiko Kashiwaba “La città incantata al di là delle nebbie” è Rina, una bambina delle elementari. La storia inizia con la piccola protagonista ferma ad una fermata, dopo aver accettato la proposta del padre di cambiare luogo delle vacanze estive; da quel momento la vita Rina si troverà ad affrontare nuove esperienze. Alla fine della scuola con l’arrivo dell’estate mi sono sempre ritrovato a fare nuove esperienze e la maggior parte di esse le ho sempre condivise con mio padre, dalle prime cadute dalla bicicletta a visitare posti nuovi! Oggi quando ripenso a quei momenti, sorrido perché in fin dei conti l’estate non significava solo la fine della scuola per tre mesi ma anche uscire da quegli spazi che ci davano una routine quasi obbligatoria e sentirci in qualche modo liberi; a distanza di anni crescendo le cose sono cambiate, il tempo è cambiato e anche il rapporto con l’estate. La piccola Rina nel libro si ritrova ad affrontare le nuove esperienze senza il supporto della sua famiglia e inizia a comprendere come si vive al di fuori del nucleo familiare, esperienze che variano da persona a persona al di fuori del romanzo. Anche se con una sostanziale differenza di età dalla giovane Rina, l’anno scorso ho avuto l’occasione di rivoluzionare la mia routine e di affrontare una nuova sfida lontano da casa; ad un anno di distanza, oltre ad aver iniziato a scrivere su queste pagine mi ritrovo a Milano con nuove sfide e nuove emozioni che mi cambiano piano piano e questo avviene sempre nella stagione più calda, l’estate.
CONCLUSIONI Hayao Miyazaki nel 2001 fece uscire nelle sale cinematografiche quel capolavoro tratto dal romanzo di Kashiwaba, “La città incantata” e che gli valse l’oscar come Miglior film d’animazione. Il film si discosta leggermente dal romanzo per alcune cose, per esempio la presenza dei genitori. Nonostante le piccole differenze presenti, il film lascia intatto il tema che Kashiwaba propone e la piccola Chihiro (il nome della protagonista del film) si ritrova ad affrontare gli stessi cambiamenti che Rina vive all’interno del romanzo e che le permetteranno di uscire dal nucleo familiare ed entrambe inizieranno un percorso che le porterà piano piano nel mondo degli adulti, dove l’estate diventerà un’esperienza diversa.
Dall’inizio del primo lockdown mi è capitato spesso di leggere sui social o aver ascoltato in fugaci conversazioni come questa pandemia sia stata in grado di privarci della libertà, della socialità, di qualcosa. Ma di una cosa sono sicuro non verremo privati mai: il tempo. E’ un concetto astratto ma che ci accompagna in ogni momento, studiamo la storia per conoscere i tempi che sono andati e che dovrebbero essere da monito per non ripetere determinati errori ma nonostante tutto qualcosa di negativo accade. Come si dice? Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Il tempo è una variabile maleabile come l’argilla, abbiamo a disposizione una quantità quasi illimitata ma che non sappiamo gestire in modo corretto a volte. Per mia esperienza durante il primo lockdown ho imparato a gestire meglio questa risorsa, riscoprendo il valore dietro al tempo e a ciò che potevo recuperare: serie tv, libri, film e passioni abbandonate da tempo. Ho imparato a dare valore a ciò che avevo, a ciò che facevo e dandomi piccoli obiettivi giornalieri; ammetto che spesso non sono riuscito a raggiungerli ma ero felice di ciò che facevo, ero una volta tanto organizzato.
E nel primo lockdown pensavo, realmente mi mancano tutte quelle cose che dicono sui social? Sinceramente non mi sembrava mi mancasse la libertà di esprimere un mio pensiero o di parlare impaurito da un eventuale censura, la socialità aveva solo cambiato i canali di comunicazione : da una modalità face to face, magari con un caffè, si era passati dietro ad uno schermo. Avevo semplicemente cambiato il modo di usufruire e consumare il mio tempo ma le persone con cui condividevo quei momenti, prima della pandemia, erano sempre le stesse.
Il tempo è una variabile maleabile. Arrivati a questo punto vi starete chiedendo perché io stia parlando del tempo, vero? Bè nella mia nuova organizzazione quotidiana ho avuto il piacere di guardare un film che tratta proprio del tempo e del suo utilizzo: In Time.
Il Tempo è tutto
Nel 2012 la pellicola di Andrew Niccol fu distribuita nelle sale cinematrografiche italiane;nel film ci sono vari volti noti del mondo dell’intrattenimento come Justin Timberlake, Cillian Murphy, Olivia Wilde e Matt Bomer. In Time è ambientato nel 2169 e le persone sono programmate geneticamente ad invecchiare fino ai 25 anni, da quel momento in poi sul loro braccio compare un timer che gli segnerà il tempo restante prima di morire. Con questa prospettiva il tempo è diventato una valuta con cui la gente paga e viene pagata per il proprio lavoro ed è il mezzo di pagamento per le necessità ed i lussi; il tutto avviene tramite una particolare tecnologia, dove è possibile immagazzinarlo in appositi apparecchi e trasferirlo di persona in persona. Pertanto ne risulta una società squilibrata, dove i ricchi possono vivere per sempre, mentre gli altri cercano di negoziare giorno per giorno la loro sopravvivenza. Il tempo è diventato tiranno, la vita gira intorno all’ultimo attimo e ogni istante diventa importante e in funzione della sopravvivenza dell’individuo singolo. La differenza di classe è mortale, chi è povero vive alla giornata mentre chi è ricco guarda all’immortalità; azzarderei a parlare di un’applicazione del capitalismo allo stato puro, dove anche il tempo è negato a chi lavora per sopravvivere. Il protagonista del film, Will Salas, vive insieme alla madre nella zona 12 conosciuta anche come “il ghetto“ e cerca di far sopravvivere lui e la sua famiglia lavorando in una fabbrica che si occupa della costruzione di apparecchi presta-tempo; la società è divisa in zone ed ognuna presenta regole e “prezzi” adeguati al tipo di tenore di vita presenet. La zona 12 è un luogo dove l’inflazione cresce, gli stipendi calano e il costo della vita aumenta e sempre più persone perdono la vita una volta scaduto il proprio tempo mentre la zona 4, conosciuta come New Greenwich, è il luogo dove vivono i più ricchi e si sentono come divinità al comando in un Eden strappato al tempo e allo spazio. Ma le regole del tempo vengono osservate e controllate da persone che si autodefinisconoTimekeeper (ocustodi del tempo), individui che si preoccupano che la distribuzione di questa valuta non si sperda nelle zone più abiette e che rimanga uno status quo.
I segreti di questa società vengono rivelati a Will una sera dal centenario Henry Hamilton, dopo che l’uomo è stato salvato da Will stesso dai Minutemen un gruppo criminale che spadroneggia nella zona 12 sottraendo il tempo ai più sfortunati. Henry rivela a Will che lui ha vissuto 105 anni e che non ha più piacere a vivere come un privilegiato, soprattuto quando ha scoperto che esistono persone che controllano tutto per fare in modo che la società rimanga divisa tra ricchi e poveri. Se tutti non morissero, infatti, si avrebbe prima la sovrappopolazione del pianeta e poi ci sarebbe una crisi, che andrebbe ad esaurire le risorse che non sono illimitate. Quindi la gestione di tasse, paghe e tariffe viene fatta in modo che pochi vivano secoli, millenni o per sempre, mentre i poveri continuino a morire, mantenendo un equilibrio. Il tempo è denaro e ogni attimo di vita diventa prezioso, più di prima. Will si rende conto di questa cosa dopo che ha ereditato da Henry il secolo che l’uomo aveva deciso di spendere quella sera. Deciso a cambiare la sua vita e approfittare della nuova situazione economica, si trasferisce a New Greenwich dove si ritrova ad essere un estraneo. La prima ad accorgersi di questa caratteristica è la giovane Sylvia Weis, figlia del miliardario Philippe Weis, che nota come il ragazzo faccia le cose di fretta e non con calma. Questa è la caratteristica che ha accompagnato fino a quel momento Will nel ghetto, dove perdere un singolo attimo poteva decretare la tua fine.
Oltre il tempo
Il tempo è tutto in questa società descritta da Andrew Nicoll e mi ha portato a ragionare come il tempo stesso sia la chiave fondamentale della nostra stessa esistenza. Siamo dipendenti e indipendenti allo stesso tempo, scandiamo ogni secondo della nostra vita senza preoccuparci realmente di come spenderemo questa preziosa risorsa. C’è chi magari preferisce spenderlo urlando che viviamo in una dittatura anche se siamo ben lontani da una forma di governo tale; c’è chi magari si reinventa e chi riscopre sè stesso. Fintanto che il tempo sarà libero oso affermare che saremo liberi, poichè saremo noi stessi i custodiche decideremo come spendere e guadagnare questa valuta.
Era una domenica del 2002. Non una domenica qualsiasi ma era l’ultimo giorno delle vacanze di Pasqua ed io ero seduto in macchina e tornavo a casa mia dopo aver trascorso quel periodo con mio padre, tra varie delizie pasquali e libri.
Mi ricordo in macchina, mentre tornavo da mia madre, come mi veniva consigliato di studiare una volta a casa e di non perder tempo, di non uscire quella domenica. Ah quanto ero ingenuo! Se avessi seguito quel consiglio paterno, avrei evitato gli eventi che si sarebbero andati a consumare da lì a poco.
Ma non ascoltai quei consigli e anzi una volta a casa, salutata mia madre, andai a bussare il mio amico e vicino con la voglia di uscire e andare dalle parti di Piazzetta Monteoliveto. Di sentirmi “libero” dopo aver trascorso tutte le vacanze pasquali sui libri scolastici.
Ero contento in fin dei conti, mi cambiai in un attimo ed uscii dalla porta per bussare a quella di fronte. “Ciao! Come stai? Ti va di andare a Monteoliveto a fare un giro? Son giorni che son chiuso a casa sui libri e domani riprende anche la scuola, voglio uscire!”.
Era il 2002 e io frequentavo il primo anno del liceo scientifico, non avevo una media altissima ma ero tra quelli che i prof dicevano “è intelligente ma non si applica”. Ed ero consapevole di non applicarmi, nessun merito, nessuna parola di incoraggiamento negli anni mi avevano portato a non impegnarmi più del dovuto.
Era una domenica del 2002, le vacanze pasquali volgevano al termine e due ragazzi erano per strada, allegri a raccontarsi come fossero stati quei giorni festivi. Si raccontarono di tutto, spensierati senza preoccuparsi di chi potevano incontrare per strada ma la loro conversazione fu interrotta a Via Foria da altri due ragazzi.
“Dateci tutto quello che avete” minacciò uno dei due. Non capimmo subito la situazione e cosa stesse succedendo quando mi arrivò un primo schiaffo che mi intontí e vidi nello stesso momento il mio amico che consegnava il portafoglio, impaurito dalla situazione. Forse fu lo schiaffo o l’adrenalina ma l’unica cosa che riuscì a dire fu “Non ho nulla…”
E un altro schiaffo!
“Forza dacci tutto quello che hai!” era ancora più minaccioso ma io non avevo nulla con me, se non paura. Nessuno si accorse della pugnalata alla gamba fu rapida e indolore, forse per via dell’adrenalina in circolo. Mi fu data per “ammorbidirmi” convinti che il mio fosse cieco coraggio ma non visibile paura.
“Allora ci vuoi dare i soldi?!” e un altro schiaffo mi colpì in volto. Ero impotente in quella situazione, non sapevo come reagire e non sapevo cosa dire. Continuavo a ripetere che non avevo nulla ma quell’affermazione dava fastidio,dava così fastidio che uno dei due ragazzi, spazientito, invitò l’altro a “dagli un’altra pugnalata e andiamocene”
Anche in quel momento non feci caso a quello che accadeva, incredulo e stordito ancora ricevetti la seconda e ultima pugnalata. Fuggirono e noi facemmo l’unica cosa sensata da fare, continuare a camminare e dirigerci verso la nostra meta. Neanche qualche metro che il mio amico notò qualcosa di strano, perdevo sangue dalla gamba.
Ci fermammo, cercando in qualche modo di bloccare l’emorragia. Per strada nessuno, nessuno che ci potesse aiutare fino a quando passarono prima due donne che ci guardarono con sdegno,fredde e distaccate continuarono la loro passeggiata e noi ancora li impauriti in cerca di aiuto in una domenica pomeriggio, aiuto che arrivò dopo qualche minuto. Si avvicinò un signore che disse che ci stava cercando poichè la moglie, da sopra un palazzo, aveva visto tutta la scena e aveva allertato il marito di ciò che stava avvenendo e l’uomo era corso in strada per cercarci. Nell’esperienza appena vissuta, la fiducia nel prossimo vacillava ma affidarsi a quella figura gentile era l’unica cosa da fare e così salimmo sulla vettura dell’uomo diretti all’ospedale.
L’ospedale
Arrivammo all’ospedale e subito mi caricarono su una sedia a rotelle, nell’ascensore un infermiere mi chiese se la ferita fosse una “pistolettata” e io risposi che non era quella ma una coltellata. L’ascensore si fermò, mi portarono dentro all’ambulatorio dove mi fecero stendere su un lettino, poco dopo entrò un medico che domandò cosa fosse successo. Risposi e il medico senza perder tempo prese prima una siringa, penso fosse antitetanica, poi prese ago e filo per chiudere la ferita. Fu tutto rapido anche quel momento, riuscì a pensare solamente “No la siringa, no” poichè ho sempre avuto il terrore per gli aghi e poi il buio ed un dolore mai provato prima. Sentivo l’ago entrare ed uscire e il filo che “stringeva”, sentivo quest’operazione senza nessuna anestesia, sentivo la carne “richiudersi”, sentivo l’impotenza per ciò che era avvenuto. Finirono di cucire la ferita e poco dopo entrarono i miei genitori, accompagnati da un carabiniere che chiese la testimonianza prima del mio amico e poi la mia. Passò un pò di tempo prima di rivedere l’agente, portatore di nefaste notizie
“Non so quanto vi convenga fare la denuncia. Sia perché potrebbero creare piu’ problemi a voi sia perché una volta presi, nel giro di qualche giorno sono fuori. Ma la decisione spetta a voi, io vi sconsiglio di farla.”
Un uomo di giustizia che consigliava una cosa del genere, la sensazione di impotenza che non accennava a diminuire e la tristezza che si sostituiva alla paura. Non fu fatta nessuna denuncia e mi riportarono a casa, una volta lì avvisai un amico e compagno di classe che non sarei potuto andare a scuola il giorno dopo, spiegando tutto.
Passai tuto il periodo della guarigione in casa da solo, con qualche visita del mio amico di sventura o di qualche familiare. Ma della classe con cui avrei passato gli anni del liceo, nessuna notizia.
Sono passati anni e qualche volta mi son domandato se i due ragazzi di quel pomeriggio siano mai stati presi o se hanno continuato con le loro attività indisturbati. L’unica cosa che so è che con quell’esperienza ho capito che l’empatia e il supporto sono valori abbastanza rari e che la giustizia a volte viene messa da parte, lasciando la violenza libera di spadroneggiare.
Commenti recenti