Un anno nuovo è già iniziato e siamo già stanchi!

Un anno nuovo è già iniziato e siamo già stanchi!

Durante i primi giorni dell’anno ci capita spesso di rivivere una particolare sensazione di fiducia e speranza che ci spinge a dimenticare fatiche e difficoltà di un intero anno appena trascorso e ci costringe ad immaginare un domani migliore.

In questi giorni lasciamo che anima e corpo vengano pervasi da una calda sensazione di ottimismo. In alcuni casi ci convinciamo di essere investiti da una strana sensazione di onnipotenza, capace di renderci invincibili e di poter affrontare e risolvere anche le sfide più difficili.

Ma come è possibile tutto ciò? Com’è possibile passare dalla sfiducia all’ottimismo in pochissimi giorni?

La spiegazione più immediata e semplice ci vede avvezzi all’utilizzo di un semplice e pratico meccanismo mentale che spinge verso l’oblio tutto quello che riguarda il passato (soprattutto i momenti brutti) e che ci porta ad affrontare l’incertezza dei giorni futuri affidandosi all’ottimismo dei giorni migliori.

Per questo, in questi due settimane, noi di Scarpesciuote non vogliamo andare oltre e bloccare anche solo per un momento questo strano meccanismo di autoconservazione. Così abbiamo deciso di riprendere dall’oblio tutto ciò che non ci è piaciuto di quest’ultimo anno appena concluso e abbiamo deciso di parlarne.

Perché? Semplice, perché è dalla stanchezza che deriva da queste situazioni di difficoltà che vogliamo fare tesoro e vogliamo ripartire, traendo realmente insegnamento da tutte le cose che ci hanno stancato potremmo finalmente ripartire per costruire un futuro decisamente più accettabile, se non addirittura migliore.

A chi ha accumulato, nella vita, molte forme di stanchezza, a chi si è svegliato in questo inizio anno già stanco senza capire il perché o semplicemente a chi non ne può dedichiamo questo numero. Augurandovi un buon anno e speriamo che anche voi siate già stanchi delle solite dinamiche, perché, parafrasando Stephane Héssel è dalla stanchezza e dall’impegno che ne deriva che bisogna ripartire.

Antonio Lepore

Andrea Famiglietti

Bilancio di fine anno di un scarpa sciuota

Bilancio di fine anno di un scarpa sciuota

Un dicembre così piovoso e così rigido non lo ricordavo da tempo e, onestamente, faccio ancora fatica a crederlo tale. Le basse temperature che in questi giorni sono piombate così violentemente sulla Valle del Sabato hanno avuto l’ingrato compito di ricordarci che il mese di dicembre, in fondo, è l’anticamera dell’inverno. Potrebbe sembrare poca cosa, ma per un avellinese dicembre rappresenta un allarme importante: significa, infatti, che bisogna prepararsi a tre mesi di freddo intenso, vento impetuoso, abbondanti piogge e qualche sporadica nevicata. Ma significa soprattutto dimenticare i luoghi cittadini.

Anche se considero fortemente interessante affrontare il rapporto che intercorre tra avellinesi e il mese di dicembre, ritengo più calzante riflettere su quanto l’ultimo mese dell’anno spinga ad una fetta più ampia di popolazione globale ad attraversare alcuni momenti emozionali particolari.

Volendo mantenere la riflessione sul piano culturale e confessionale potremmo dire che a dicembre si celebra la nascita di Cristo, ma se ci abbandoniamo a riflessioni più materialistiche quello che di più suscita emozioni è la considerazione che un altro anno volge al termine.

Ci ritroviamo, volontariamente o meno, a ripensare a quello che è stato il nostro anno appena trascorso. Insomma dicembre è tempo di bilanci. In queste ultime settimane anche noi provvederemo a fare lo stesso e di conseguenza anche il sottoscritto proverà a redigere un bilancio personale sociale.

BILANCIO PERSONAL – SOCIALE DI ANDREA FAMIGLIETTI

«Dal diario di Andrea Famiglietti…»

L’anno che ormai volge al termine è stato un anno estremamente intenso. Pienamente consapevole della centralità che il lavoro assume nelle nostre esistenze, non posso far a meno di partire da quella che è stata la mia prima vera novità: dopo 5 anni di lavoro precario ho deciso di non “lavorare più”. Il mese di marzo è stato l’ultimo mese in cui ho ufficialmente svolto un lavoro dipendente. Un salto nel vuoto che si è dimostrato emozionante all’inizio, noioso in seguito e spaventoso all’ultimo. Un salto e una scelta che non ho compiuto da solo, stando ai numerosi articoli pubblicati, visto che la percentuale di giovani che in questi due anni di pandemia ha deciso di licenziarsi o di interrompere ogni rapporto di lavoro precedente è paurosamente elevata.

Una solitudine rumorosa, mi verrebbe da pensare. Ma resta comunque una scelta che è servita a prendere in mano la mia vita, non senza una certa difficoltà. Ho vissuto mesi di mancanze, tra tutte la più assurda è stata rappresentata dalla routine e dall’abitudinarietà delle azioni che si compiono durante i giorni lavorativi. Pratiche in cui ci rifugiamo per sentirci più al sicuro, protetti dall’incessante scandire del tempo e dall’imprevedibilità dei giorni che man mano si fa sempre più paurosa.

L’impossibilità ad avere il diritto a un presente e un futuro dignitoso ed indipendente e dover far ricorso, ancora e soprattutto, all’unico sistema di welfare funzionante in Italia, la famiglia.

La consapevolezza di essere costretti a vivere in una realtà in cui il tempo libero deve essere consumato e subordinato ad un prezzo si è fatta più evidente e più pesante. Così il grado di indipendenza economica minima, precedentemente posseduta, è pressoché scomparsa e mi sono ritrovato a vivere rarissimi momenti di socialità.

Ma tutte le mancanze sono state bilanciate dai numerosi impegni e dagli obiettivi che ho dovuto rincorrere. Lo studio per l’insegnamento, le collaborazioni con nuovi enti per continuare a progettare e soprattutto la registrazione dell’associazione per continuare ad operare e, finalmente, lavorare sul territorio. Sono questi i contrappesi ad una situazione estremamente difficile che ancora oggi mi fa paura.

Non sono stati mai momenti dolci quelli trascorsi, quasi tutti sono stati accompagnati da fatica e nervosismo, ma voglio sperare che in un futuro non molto lontano ogni nostra azione, ogni nostro sacrificio, possa ritornare anche solo come insegnamento.

Adesso dovrei concludere questo bilancio con un giudizio, ma so per certo che c’è una scappatoia, una via d’uscita che ognuno di noi prende in analisi per non doversi abbandonare ad un giudizio drastico e definitivo dell’anno appena trascorso…

LA LISTA DEI BUONI PROPOSITI DELL’ANNO PROSSIMO

– Abbattersi di meno alle difficoltà che affronto;
– Non rinunciare mai ad una passeggiata all’aria aperta;
– Continuare a non volgere lo sguardo altrove quando le cose mi sembrano ingiuste;
– Riuscire ad andare allo stadio almeno una volta (sperando che i biglietti non costino troppo);
– Vedere l’Avellino in serie B(è più una speranza irrealizzabile che un buon proposito);
– Imparare a suonare alcuni pezzi di Leonard Cohen sull’Ukulele;
– Rallentare il passo in strada;
– Prendere più spesso la bicicletta;
– Non accettare più lavori a 600 euro al mese per 40 ore settimanali;
– Non sottomettersi ad altri bullshits jobs (che Graeber mi perdoni);
– Andare almeno una volta al mare;
– Bere una birra in meno di quelle che vorrei bere;
– Superare almeno una volta un concorso pubblico statale per vedere cosa si prova;
– Non accumulare più di 20 libri non letti;
– Lamentarsi ogni tanto anziché ascoltare solo gli altri che si lamentano;
– Sentirmi meno precario;
– Andare in montagna;
– Fare ricerca sul campo;
– Dare una speranza a chi ne ha bisogno;
– Aiutare di più gli amici;
– Accettare di farsi aiutare dagli amici quando sono in difficoltà;
– Essere meno permaloso;
– Non prendere in giro chi indossa la canottiera anche d’estate;

continua…

Con i pugni chiusi

Con i pugni chiusi

Sarebbe bello se ognuno di noi, alla nascita, venisse al mondo con una mappa stretta nella manina. La mappa della propria vita, un elenco dettagliato di ogni passo da fare per raggiungere tutti i traguardi e avere successo.

Mi piace pensare che nei piani di progettazione del prototipo “uomo” questo supplemento fosse previsto. Ecco perché tutti i bambini nascono con i pugni rigorosamente chiusi, serrati. Poi, per motivi a noi sconosciuti, o semplicemente per colpa di Eva (è sempre colpa di Eva), questo plus ci è stato brutalmente tolto.

Le manine continuano ad essere serrate, ma al loro interno c’è il nulla, che poi diventerà il dito di un adulto a cui tenersi stretto e, infine, sconfitte nella convinzione di poter riavere la propria mappa, finiranno per aprirsi.

Lì dove siamo stati privati di qualcosa, noi stessi interveniamo per rimediare. Così l’uomo le mappe ha provato a crearsele da solo. E ovviamente non ci troviamo di fronte ad un risultato divino.

La mappa per eccellenza è quella che ci viene offerta dalla società. In linea generale uguale per tutti e personalizzabile in base alle proprie attitudini e preferenze. Sempre nei limiti del possibile.

In pratica, non ti viene detto che da grande dovrai fare per forza il medico, ma per risultare un integrato dovrai sicuramente studiare, lavorare, sposarti, possibilmente avere figli e seguire tutta una serie di punti che ci vengono inchiodati nella mente sin da quando gattoniamo.

Zerocalcare, noto fumettista, in una serie recentissima ha fatto riferimento all’immagine dello “strappare lungo i bordi”, centrando a pieno la questione.

Passiamo la vita a cercare di seguire la linea che qualcun altro ha tracciato per noi, a inserire il triangolo nel buco triangolare, a colorare dentro i bordi, a scrivere nelle righe perché è così che ci viene detto di fare. E, se per caso, un po’ di azzurro sbava lungo le linee ci facciamo prendere pure dai sensi di colpa perché abbiamo disatteso le aspettative degli altri.

Ho una notizia. Seguire la mappa della società per filo e per segno è praticamente impossibile. Di conseguenza, gli uomini sono destinati a sentirsi sempre in difetto su qualche fronte, chi più chi meno. Insomma, non c’è nessun tesoro da raggiungere. Tanto vale continuare a tenere le mani serrate, magari per dare un pugno in faccia a chi crede che basti una mappa per dire chi siamo.

Futuro, significato e direzionalità

Futuro, significato e direzionalità

Il futuro è una dimensione ignota e indefinita per il significato stesso della parola. Anche le persone più convinte dei propri mezzi non possono sapere con certezza quello che il futuro gli prospetta e per quanto ci si possa sforzare a programmare e anticipare le proprie azioni, c’è sempre qualcosa di imprevisto che complica o facilita il tutto, nel migliore dei casi.

Avere l’idea di cos’è il futuro, tuttavia, non è cosa da tutti: ad esempio, i bambini e i ragazzi fino a 10-11 anni non hanno ancora la possibilità di prospettarselo. Il motivo è semplice, non hanno ancora raggiunto la maturità psicologica e cerebrale di formarsi un concetto di futuro plausibile, la loro idea di futuro è sempre impregnata di elementi fantastici che si mischiano con quelli reali e rendono il futuro un luogo mentale ancora “acerbo” per essere definibile come ignoto o indefinito.

Se vogliamo approfondire la faccenda è necessario fare riferimento al funzionamento mentale generale. Nella concezione che sono solito usare, il funzionamento della mente è suddivisibile in 12 competenze che vengono acquisite con lo sviluppo psichico e fisico individuale. Si parte dalla nascita ad imparare a focalizzare l’attenzione, a regolarla e a imparare le cose che il mondo ci fornisce. Si procede imparando a comprendere cosa significa “Affetto” e come lo si comunica, poi si impara a riconoscere nelle altre persone le stesse capacità mentali nostre e si comincia a rendersi conto di essere una persona singola e unica, differenziata dagli altri. In seguito si impara a intrattenere e mantenere delle relazioni e a regolare la propria autostima. Questo elenco di funzioni mentali culmina nella capacità di costruirsi e ricorrere a standard e ideali ispirati ad una propria idea di ciò che è giusto e ciò he è sbagliato e si arriva, finalmente, al titolo di questo articolo: concepire un significato della propria esistenza e, sulla sua base, porre una direzione alla propria vita.

Dare significato e direzionalità alla propria vita vuol dire concepire l’insieme degli eventi vissuti come connessi tra di loro secondo un senso coerente, non per forza logico, di sé stessi. Ciò è la base da cui partire per dare un senso alle scelte personali e implica la consapevolezza di appartenere al genere umano in quanto individui unici e con attenzione alle generazioni che verranno. Tutto questo fa capire il motivo per cui questa capacità mentale è considerata l’ultima della gerarchia.

Concepire il futuro, in definitiva, non è roba per principianti. Per avere un’idea buona di cos’è il futuro bisogna prima di tutto aver superato gli 11 anni in termini di funzionamento mentale, occorre raggiungere la maturità psicologica per tutte le funzioni della mente e tenere in considerazione sé stessi, il mondo e chi lo abiterà dopo di noi.

Ah, quasi dimenticavo. Come ogni cosa che compete la mente umana, non esistono due persone con lo stesso significato e la stessa direzionalità impostata alla propria vita e poche persone riescono a raggiungere una maturità psicologica adeguata. Per capirlo basta vedere di cosa siamo stati capaci rispetto al cambiamento climatico, all’aspettativa di vita del genere umano sulla Terra ed alla considerazione che la maggior parte di noi ha delle generazioni future. Ecco, diciamo che il futuro è la generazione a noi ventura e per valutarne la nostra capacità di prospettarsi il futuro basta riflettere sulla propria concezione delle generazioni a noi posteriori.

Once & future (never)

Once & future (never)

A volte mi capita di guardare indietro, agli anni andati e poco dopo rivolgo lo sguardo al futuro sento salire nel mio animo un senso di incertezza e inquietudine.
Quel senso di incertezza dovuto a domande di cui, sono consapevole, non riceverò mai risposte

I predatori dell’arca perduta

La prima volta che vidi il film di Spielberg “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta” pensai cosa da grande avrei voluto fare. Avevo la risposta alla tipica domanda che da bambini ci fanno “cosa vuoi fare da grande?” ed ero felice di poter dire l’archeologo, perché guardando il Dott. Jones alle prese con scoperte storiche e avventure fantastiche non pensavo ad altro che quello era ciò che avrei voluto fare una volta adulto. Eppure ero un bambino che aveva messo il suo primo sogno nel cassetto, senza sapere cosa significasse essere grandi e tutte le responsabilità e preoccupazioni che arrivavano. Ma sognavo di scoperte sensazionali, di viaggi in terre lontane e di pericoli che avrei affrontato senza paura ma tutto questo nasceva e moriva nella mente di un bambino.
Da qualche parte ho lasciato quel cassetto, con un sogno che sta lì ad aspettarmi ma che non vivrò mai più. E forse è meglio così.

Innuendo

Cantava il buon Freddie Mercury che possiamo essere qualunque cosa vogliamo. Ed è vero, siamo potenzialmente capaci di essere qualunque cosa o diventare chiunque noi vogliamo, ma solo crescendo in un ambiente che ci permette di credere in un futuro e poter realizzare quei piccoli sogni che abbiamo messo nel cassetto. Eppure viviamo in una società pronta a cannibalizzare le nostre aspettative, crearci disagi che ci porteremo sulle nostre spalle come dei cloni di Atlante e alla fine ci costringerà ad essere un individuo diverso da ciò che immaginavamo.

You can be anything you want to be
Just turn yourself into anything you think that you could ever be
Be free with your tempo be free be free
Surrender your ego be free be free to yourself

Nonostante questo mio pessimismo mi vien da dire che è importante circondarsi di persone che vi spronano, che cercano in ogni modo di tirare fuori le vostre qualità. In pratica dovremmo avere tutti una persona che ci invita a dare il massimo ogni giorno
Ma sono soddisfatto di come sono oggi? No, non proprio al 100%
Forse l’unica domanda a cui so dare una risposta decisa, da bravo ignavo quale sono.