
Fifari, pessari e scudettari di tutto il mondo, unitevi! Omaggio ad un mondo videoludico che non c’è più
Vi era tutto un mondo videoludico straordinario ad accompagnare la nostra infanzia ed adolescenza, irrimediabilmente malate di pallone fino a divenirne letteralmente ossessionati.
La scelta era bella ampia, le piattaforme non mancavano, la corsa frenetica all’acquisto della PlayStation 1 in quel Natale di fine secolo è ancora impressa nella mia memoria.
È ancora impressa poiché dovetti imparare a mie spese il significato di un verbo fondamentale, del verbo “rosicare”. Vi è sempre un momento in cui sarai costretto a guardare i tuoi amici giocare e tu ne sarai consapevole: volente o nolente ne sei tagliato fuori, i tuoi non te la comprano, al limite si può sperare in un pomeriggio a casa di qualcuno, a fare merenda con i joysticks in mano, con Fifa 98 o Pro Evolution Soccer perennemente in funzione.

Ecco, il primo sballo aveva pochi pixel, magliette abbozzate e telecronache rudimentali, lo sfizio era giocare per la prima volta con il Trinidad & Tobago o l’Uzbekistan (e con la scusa del calcio…noi maschietti imparavamo pure la geografia!). I primi videogiochi Konami, già fattisi notare nei cabinati delle stupende sale giochi cittadine, facevano capolino stupendo per qualità grafica e giocabilità. A Tokio sapevano il fatto loro.

Meglio Fifa o Pes? L’atavico arcano risulta tutt’ora irrisolto, il mondo è schierato in due partiti, due filosofie completamente agli antipodi, a tratti si rischia di sfiorare crisi diplomatiche degne dell’era Reagan – Brežnev . La guerra fredda tra i due blocchi è stata brevemente inframezzata da qualche meteora nata e morta lì (ricordo per un periodo un certo Actua Soccer, con una copertina che poteva fregiarsi della presenza della mitica ala rossonera Ibrahim Ba, giusto per dare idea del potenziale nostalgico del prodotto).
Menzione a parte meriterebbero i giochi a 32 bit per GameBoy, ma soprattutto i manageriali: da PC calcio al monumentale “Scudetto”, le ore passate davanti ai computer non si contano, per la gioia dei nostri genitori riluttanti. La mia generazione di videogiocatori è ancora ossessionata da una sola domanda: cosa starà facendo ora Maksim Cygalko? Magari fa il muratore o l’agente immobiliare a Minsk, magari questo sconosciuto ex attaccante bielorusso non saprà mai che la mia generazione lo venera come un Dio.

Se per i più giovani questo cognome non dice nulla, i più anzianotti come me avranno già capito a cosa mi sto riferendo.
I manageriali ancora oggi resistono ai tempi, aggregando comunità di videogiocatori davvero enormi, le quali hanno sempre più spesso modo di interagire con il calcio reale (la rete di osservatori di Football manager è spesso sfruttata anche da diversi club calcistici).
Ritrovarsi nelle case, stare tutti insieme (alla faccia del distanziamento sociale..) organizzare tornei diventò la norma di parecchi pomeriggi. Le modalità di gioco favorivano la “carriera” o “master League” per gli amici pessari, un’avventura gestionale in cui prendeva vita un rudimentale progetto tecnico in cui era possibile portare il Cambridge o il Torquay (League two inglese, la nostra vecchia C2) a vincere la Coppa dei campioni.
Oppure come dimenticare Winning Eleven, versione nipponica di Pes, ed il cammino da intraprendere con la nazionale giapponese verso i mondiali di Germania 2006? Lo scopo era sempre lo stesso. Partire da zero per arrivare in cima. Con un mio amico un’estate partimmo dall’affrontare Palestina e Birmania nei primi turni, fino alla finale di Berlino contro il Brasile. La telecronaca giapponese entusiasta del trionfo ancora ci ronza nelle orecchie.
Cosa rimane oggi di tutto ciò? Fifa è cresciuto fino ad inglobare quasi tutto il mercato, Pes rivendica con fierezza ma non senza difficoltà una filosofia meno artefatta e più legata al passato. Le nuove modalità di gioco prevedono l’uso dell’online, di carte da gioco virtuali ed altri costosi e per me poco comprensibili escamotage per inchiodare le nuove generazioni alla consolle e, soprattutto, farla spendere di più.
Recentemente Zlatan Ibrahimović e Gareth Bale hanno ufficialmente protestato per l’utilizzo dei propri volti nella serie targata EA sports, a loro dire abusivo. Molti atleti seguono con attenzione spasmodica i propri “rating” sul videogioco più venduto al mondo. Il mondo videoludico sta cambiando prepotentemente. Le dirette Twitch e la creazione di leghe virtuali con vere e proprie squadre di E-sports stanno innaffiando di soldi questo nuovo indotto.
Ultimamente si dice che le nuove generazioni a dispetto di cotanta offerta siano meno interessate allo sport, al mondo del calcio in particolare. Credo sia giustificabile in quanto stia venendo meno una certa magia. Il business è talmente invasivo da risucchiare tutto, le immagini dei gesti tecnici vengono lordate da sponsorizzazioni a iosa, i social non lasciano un minuto di tregua, la bravura tecnica scarseggia, i ritmi di gioco rendono la disciplina forsennata, le personalità dei calciatori sembrano essere preimpostate, meccanicizzate, prima animali social, poi sportivi: macchinoni, profili Instagram, tatuaggi, magari carriere parallele da djs, rappers o influencers nel campo della moda (come Memphis Depay o Hector Bellerin, due personalità di tendenza).
Il videogioco ne risente, esplodendo di forma, ma peccando sempre più di sostanza. Stadi, volti in HD, divise licenziate e multicolori, calcio di strada funambolico, storie accattivanti, abbigliamento street, calcio femminile. Credo che il fondo lo si sia toccato qualche giorno fa, con un annuncio shock della casa di produzione canadese più famosa al mondo: su Fifa si potrà giocare a calcio impersonificando niente poco di meno che…la popstar Dua Lipa.
In fondo…pecunia non olet. Arriva però un momento in cui non ci si capisce più niente, tutto sembra così strano e insensato. Come la prima volta che ascoltai un pezzo trap. Vuoi vedere che sto davvero invecchiando?
Sarà… però io pure stanotte non prendo sonno continuando a chiedermi: ma di preciso, che fine avrà fatto…Maksim Cygalko?!

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