Gioventù cartacea

Gioventù cartacea

Cos’è esattamente la giovinezza? La definiamo come quel periodo della nostra vita che ci porta a vivere l’adolescenza prima di entrare nell’età adulta, una fase in cui iniziamo a fare le prime vere esperienze di vita. Pensando a quegli anni sembra passata un’eternità eppure durante quella fase ho iniziato ad appassionarmi a ciò che è definibile come cultura nerd; nonostante il Topolino sia stato il mio primo fumetto ad essere mai letto e che mi ha accompagnato per moltissimi anni,sono stati i manga e gli anime ad accentuare la passione per il medium fumetto.
Leggere e vedere storie di “coetanei” mi dava l’opportunità di alienarmi dalla realtà, immaginare esperienze che in una giornata normale non avrei potuto sperimentare ma oggi, a distanza di anni, mi rendo conto che i protagonisti di tutte queste opere provenienti dal Giappone non erano realmente dei giovani come lo ero io.

Anagraficamente giovane, mentalmente adulto

Quando eravamo giovani penso che la maggior parte di noi pensava alle prime relazioni con l’altro sesso, la scoperta di emozioni che prima non comprendevamo, pensieri nuovi si profilavano nelle nostre acerbe menti, ma nonostante questo eravamo anni luce diversi dai protagonisti di Dragon Ball o Pokemon, per citare qualche titolo.
Le storie della maggior parte di loro ricorda l’archetipo del viaggio dell’eroe, di cui vi ho parlato qualche tempo fa sempre qui su Scarpescioute, dove i protagonisti nelle loro storie intraprendevano un viaggio dove si mettevano in gioco e alla fine di esso realizzavano che la loro vita era cambiata; almeno la maggior parte dei protagonisti si ritrovano a vivere avventure soprannaturali con poteri speciali, persone dalle spiccate personalità e tutto ciò che la mente umana può produrre e mostrare ad un pubblico mediamente giovane. Però ci sta un personaggio che mi viene in mente che nonostante viva in una realtà distopica e abbia la possibilità di guidare enormi robot, resta un giovane ragazzo che affronta la vita con tutte le sue paure, gioie ed esperienze che lo porteranno a maturare: Shinji Ikari.

Neo Genesis Evangelion

Shinji è il protagonista di Neo Genesis Evangelion e la sua storia è ambientata a Neo-Tokyo 3 nel futuro. Il 13 Settembre 2000 un violento cataclisma si abbatte nell’Antartide, sciogliendo i ghiacciai e rimodellando l’asse terrestre e portando alla morte milioni di esseri umani; veniamo catapultati nel 2015 dove il giovane Shinji è alle prese con il suo trasferimento nella sua nuova casa a Neo – Tokyo 3 e l’inizio della sua nuova vita come futuro pilota di Eva.
Gli Eva, o Evangelion, sono degli enormi umanoidi artificiali utilizzati dagli esseri umani per affrontare e difendersi da una minaccia dall’origine sconosciuta chiamata Angeli; Shinji è un ragazzo che si ritrova catapultato in un mondo dove essere giovane non lo aiuta ad affrontare al meglio la situazione in cui vive.
Oltre a dover combattere per la salvezza dell’umanità, Shinji si ritrova soprattutto ad affrontare i problemi che un adolescente si ritrova a vivere all’inizio della fase; i primi rapporti interpersonali con l’altro sesso che lo portano a non comprendere come vivere serenamente la convivenza con Asuka Langley, una ragazza che come lui guida gli Eva, o il rapporto con Rei Ayanami.
Ma anche il rapporto che instaura con i suoi compagni di scuola non è semplice, trova difficoltà a socializzare sia per il suo carattere introverso sia per la posizione che ricopre come pilota; ed è proprio negli anni dell’adolescenza che spesso le persone si formano nelle relazioni sociali, con i propri tempi e le proprie modalità ma nonostante questo chi è un po’ più riservato viene considerato come un individuo strano e da evitare assolutamente
Ecco Shinji è più simile a noi di qualsiasi altro protagonista di manga o anime, poiché non vive tutta la sua storia ad affrontare solo minacce provenienti dallo spazio ma si ritrova a confrontarsi con la quotidianità, con i problemi e le paure che un giovane che inizia un nuovo percorso nella sua vita; come Shinji molti giovani si sono ritrovati senza una guida, senza qualcuno che potesse indicargli quale strada fosse giusta per affrontare la vita
Shinji Ikari alla fine è un normale ragazzo giapponese, che vive in una società dove i giovani e il loro futuro non sono presi in considerazione da chi dovrebbe guidarli. Quasi tutti i suoi rapporti sono definiti dal suo ruolo di pilota : dai compagni di classe al personale con cui si interfaccia fino alla difficile relazione con suo padre.
In fin dei conti siamo stati un po’ tutto come Shinji, con i nostri problemi, con le nostre paure, con l’incertezza che ci accompagnava verso il futuro e una quasi assoluta sfiducia in chi all’epoca ci doveva aiutare, per diventare dei decenti adulti.

“I still don’t know where to find happiness. But I’ll continue to think about whether it’s good to be here…whether it was good to have been born. But in the end, it’s just realizing the obvious over and over again. Because I am myself.”

-Shinji Ikari

Il quaderno a righe

Il quaderno a righe

Cara Fabiana,

questa mattina ho inaugurato un quaderno nuovo e, nello sfogliarlo, mi è balzato all’occhio il cambiamento subito dalla prima pagina, quella dedicata ai contatti.

Un tempo ci si scriveva nome, cognome, materia, indirizzo, scuola, al massimo numero di telefono o email; il mio nuovo quaderno, invece, ti chiede di inserire tutti i contatti social, da Facebook a Pinterest, da Twitter a Instagram, fino ad arrivare a Youtube e Skype.

Mi è poco chiaro a cosa servano tutte queste informazioni all’interno di un quaderno a righe, ma, ad ogni modo, questo “evento” mi ha fatto ripensare alla gioventù. Dico ripensare perché questo è un argomento affrontato di recente, domenica scorsa di preciso, durante un pranzo con dei nostri parenti.

Non ti nego che quando si parla della gioventù attuale un po’ mi si storce il naso. Non so spiegarti bene perché, ma credo si tratti di un fastidio legato a quello che vedo e che sento sui giovani di oggi. È disappunto, ecco, perché proprio non mi piace. Tranquilla, non starò qui a fare polemica sui ragazzetti che mi girano intorno.

Al contrario, proprio questa chiacchierata domenicale, mi ha fatto un po’ vedere le cose da un altro punto di vista o quantomeno riflettere. Si sosteneva, infatti, che i giovani di oggi sono semplicemente diversi e che, soprattutto, non potranno mai essere i giovani che eravamo noi o addirittura i giovani che erano i nostri genitori.

Devo ammettere che è vero. Ogni gioventù ha la sua era ed è a quella che ci si deve adeguare. Non è una scelta consapevole. Più che altro, credo si tratti di un fiume in piena che ti trascina via e a te sta bene così perché è quella l’unica realtà messa a disposizione.

Stando a quanto detto, quindi, il mio fastidio potrebbe essere più precisamente letto come un dispiacere inconscio rispetto al fatto che la realtà che caratterizzava la mia gioventù non esiste più, è mutata. Una malinconia, ecco, che ti fa rimpiangere i bei tempi passati. Credo ci sia anche un pizzico di rabbia dovuta al fatto che non solo non si ha più accesso alla propria gioventù, ma tutte quelle cose che la caratterizzavano non sono più in circolazione o il loro uso è molto molto ridotto.

Forse, se i giovani di oggi vestissero come vestivo io, vedessero quello che vedevo io alla loro età e avessero i valori e sogni che avevo io, questa gioventù attuale mi andrebbe più a genio. Purtroppo non è così e, a quanto pare, il problema è solo mio.

Chi ero, chi sono

Chi ero, chi sono

Cara Fabiana,

i muscoli indolenziti delle gambe, mi ricordano che le cose cambiano. Ieri, dopo più di un anno di stop, ho provato a fare un po’ di sport e, come natura vuole, oggi faccio fatica a muovermi. Questo mi riporta inevitabilmente con la mente al passato, quando uno status simile era di fatto impossibile, dato che in palestra ci passavo quasi tutti i giorni della settimana.

La mia testa mi riporta a un passato prossimo, vicino, l’ultimo periodo a Napoli. Mi domando perché proprio quel periodo e mi rispondo che forse è stato quello più bello, più vivo. Insomma non l’infanzia di cui si ricorda poco e niente, né l’adolescenza in cui si deve ancora capire bene chi si è, ma un arco temporale segnato dagli ultimi anni di studio e dall’ingresso nel mondo del lavoro.

In realtà il passaggio non è stato così netto. Il tratto distintivo che mi caratterizzava in quel tempo era l’arte di fare più cose contemporaneamente. Ricordo che c’è stato un momento in cui ricoprivo il turno notturno a lavoro e poi a ora di pranzo mi recavo all’università per seguire il Master, e poi andavo in palestra, e poi scrivevo, e poi ballavo salsa, e poi il tango. Ricordo che, quando descrivevo la mia giornata tipo, le persone restavano abbastanza sorprese dall’intensità del mio programma quotidiano. Ricordo che mi sentivo molto fiera.

Non che ora non lo sia, ma ci sono alcune cose che ho dovuto lasciare scivolare via dalle mie mani durante l’ultimo tratto di strada della mia vita. Per mancanza di tempo, questa è la scusa più comune da raccontare agli altri e a se stessi, per pigrizia, l’antipatica verità.

Sì, sono stanca e alla sera mi addormento sul divano mentre guardo la tv. Sono stanca e faccio decisamente meno cose rispetto al passato oppure è giusto dire che le cose che faccio ora sono sempre tante, ma non tutte corrispondono a cose di piacere.

La verità è che in quel passato prossimo di cui ti parlavo ero ancora una ragazza, mentre oggi, nel presente, sono ormai una donna. Prima ballavo, studiavo, lavoravo, scrivevo, ma poi tornavo a casa e non dovevo pensare più a nulla perché i doveri e le difficoltà, quelli veri, erano un problema di quei santi dei miei genitori.

Il trasferimento a Parma ha sancito il vero cambiamento, l’abbandono del nido per spiccare il volo. È stato bellissimo e lo è tutt’ora, perché ho partecipato alla mia trasformazione e, anche ora che ti scrivo, ho ben chiaro chi ero e chi sono. E sono fiera come qualche anno fa, anche se nessuno è più sorpreso dal mio programma quotidiano. E va bene così, perché, seppure i mille doveri a cui assolvo non sono degni di nota, io mi sento una donna forte. Stanca, ma forte.

Voglio dirti un’ultima cosa. Le scelte che ho fatto hanno comportato delle rinunce e, come ti ho già detto, lungo il tragitto ho dovuto lasciar andare alcune cose a cui tenevo. Altre le ho trattenute, come la scrittura. Non è detto, però, che le cose perse non possano essere recuperate in un secondo momento. Se ci si accorge di avere delle mancanze, delle malinconie, nei limiti del possibile bisogna rimediare. Io lo farò. Lo premetto a te che sei il mio passato e hai reso possibile il mio presente.

Io sono il punto di incontro tra nord e sud

Io sono il punto di incontro tra nord e sud

Cara Fabiana,

quando ero lì con te a Napoli, abitavo in periferia, tu ci abiti tuttora insieme a mamma e papà. Abbiamo sempre vissuto in periferia, prima Frullone, poi Chiaiano. Devo dire, che non mi è mai pesato, forse merito della metropolitana, forse merito dei nonni materni e paterni con casa rispettivamente nella Sanità e a via Marina. Insomma il centro di Napoli l’ho sempre vissuto molto. A parte le scuole primarie e secondarie, liceo e università le ho frequentate al centro, tutti i giorni della mia adolescenza/prima giovinezza li ho trascorsi tra vicoli affollati, opere d’arte a cielo aperto e profumo di pizza e sfogliatelle calde. Se proprio vogliamo dirla tutta per me il centro ha sempre rappresentato casa, la periferia un letto caldo dove dormire.

Poi è arrivato il trasferimento a Parma e i termini di paragone si sono ingigantiti. Non più centro e periferia, ma nord e sud. Su questi due termini la letteratura è molto ampia, i significati molteplici. C’è chi non vede alcuna differenza tra i binomi centro-periferia e nord-sud, chi li ritiene due facce della stessa medaglia, chi due opposti destinati a non avere un punto d’incontro.

Io! Mentre scrivo queste ultime tre parole, mi rendo conto che ora sono io il punto d’incontro tra nord e sud. Una napoletana che ha preso la sua valigia colma di vita partenopea e l’ha portata con sé al nord, ci ha riempito una nuova casa, una seconda vita.

Sì, perché diciamoci la verità, quando ti trasferisci in una nuova città, vicina o lontana che sia, non cambi la vita che avevi, ma ne dai inizio a un’altra. Quella precedente, soprattutto se ci sono ancora dei legami affettivi, è lì che ti guarda, che interagisce con te. Ogni tanto le si volta le spalle per essere più forti, altre volte la si abbraccia per cercare conforto.

La mia seconda vita è interessante. Sento la differenza tra nord e sud? Sì, la sento, è impossibile negarlo. Non sono, però, completamente convinta che tutta questa diversità sia dettata dal passaggio dal meridione al settentrione, o almeno credo che in parte non lo sia.

Certo, ci sono due cose che mi fanno percepire molto la differenza tra il vivere su e il vivere giù, entrambe non dipendenti dalla volontà umana. Sono il clima e il mare. Non ho mai avuto così freddo come qui a Parma e, mi dispiace dirlo, chi è nato tra le braccia del mare non si abituerà mai a questa immensa assenza.

Per il resto Parma è una bella cittadina, imparagonabile a Napoli per dimensioni e densità abitativa. Che i servizi funzionino meglio, che ci sia meno frastuono, insomma che la qualità della vita sia migliore è cosa ovvia quando c’è meno da gestire.

Il mio modo di vivere è decisamente cambiato, le mie abitudini lo sono. Il trasferimento in un’altra città ha coinciso con il passaggio alla vita adulta, all’abbandono del nido materno, e, di conseguenza, sono passata da una città frenetica a una vita frenetica. Ho dovuto imparare a gestire meglio il tempo, diviso tra casa, lavoro, relazioni e passioni.

Tanti cambiamenti, insomma, molti dei quali, però, non legati al fatto che io sia al nord. Tutto ciò lo avrei dovuto affrontare anche in una città siciliana, a Roma o, a dire il vero, anche a dieci minuti dalla casa natale.

Piuttosto, forse più che essere al nord pesa l’essere molto lontano da Napoli. È vero, con quattro ore di treno sono di nuovo da mamma e papà, ma il lavoro e, in questi tempi, il Covid spesso non lo permettono. Sì, qui ho più o meno creato nuove relazioni, ci sono i miei colleghi di lavoro la cui metà proviene tutta dal sud, ma stare lontani per molti mesi dalle persone a cui tieni, dagli affetti con cui sei cresciuta e che ti hanno vista crescere pesa. La differenza tra nord e sud e tutta lì.