da Andrea Famiglietti | Set 23, 2021 | Cammini irpini
Molto spesso tendiamo a dimenticare quello che abbiamo vissuto, soprattutto i momenti più difficili e dolorosi. Non è certo un metodo che applichiamo con consapevolezza, ma è una forma di difesa che la nostra mente tende ad azionare più spesso di quanto potessimo immaginare. È per questo che Cammini Irpini, sin da subito, è diventato qualcosa di estremamente importante.
Anche se giornali e telegiornali continuano a ricordarci dell’esistenza del covid19, abbiamo sicuramente dimenticato quelle che sono state le privazioni, quelle che sono state le rinunce.
Giunti alla sesta tappa di questa magnifica esperienza, possiamo dirlo chiaramente che lo scopo di quanto si sta cercando di costruire è derivato dalle privazioni che in questi due anni la pandemia ci ha costretto ad operare. Rinchiusi per mesi nelle nostre case abbiamo compreso a pieno la bellezza del mondo esterno, di tutto ciò che ci circonda e di quanto fosse necessario per il nostro corpo una funzione tanto umana quanto culturale come il passeggio.
Cammini Irpini ha voluto riportare al centro due delle infinite mancanze di questi ultimi anni: la cura per il proprio benessere psico – fisico e l’attenzione per le nostre strade, le nostre piazze e le nostre città. Da sempre ci troviamo a vivere una sorta di blasé (mi perdonerà Simmel se prendo in prestito questa definizione e la rendo più estesa) che ci aveva reso indifferenti a qualsiasi cosa avesse a che fare con i luoghi da noi vissuti quotidianamente.
Abbiamo così riscoperto che non servono sempre grandi spostamenti per potersi stupire e meravigliare di tanta bellezza e tanta storia che molto frequentemente abbiamo sotto il nostro naso e di cui raramente ce ne rendiamo conto.
18.09.2021 – TAPPA 6 – ATRIPALDA E LA SUA STORIA ANTICA
Quello che più colpisce ed affascina di Atripalda è l’estrema presenza di epoche l’una vicino l’altra. Questo era l’assunto che avevamo definito nella precedente tappa di questo semplice diario dei ricordi che sto provando a creare.
Ripartire da questa definizione è importante per comprendere anche il breve viaggio di sabato. Un viaggio intenso, cominciato con un caldo atipico per una giornata di fine settembre, che per clima e sole non ha avuto nulla da far invidia ai tipici fine settimana di agosto.
Così, in un sabato silente e, al tempo stesso, carico di affanni ci siamo mossi alla volta di via Manfredi. Lungo la strada che si allontana dal centro cittadino ci siamo ritrovati qualche istante prima della partenza.
Abbiamo cercato refrigerio, proprio nei pressi delle mura dell’ex istituto scolastico De Amicis. Da quelle vetrate, più di venti anni fa, volgevo lo sguardo di timido ed annoiato studente dell’ultimo anno di elementari, cercando un insperato rifugio nel mondo esterno. Lì come la filastrocca di Prévert cercavo qualcuno che giocasse con me, che mi aiutasse a fuggire da quel tipo di istruzione meccanica a cui eravamo condannati.
Senza rendermene conto per un anno intero ho avuto modo di convivere con la storia della mia città. Senza rendermene conto, per un anno intero, ogni volta che volgevo lo sguardo all’esterno della finestra le cinta murarie erano lì a farmi compagnia.

Le stesse mura che dopo più di venti anni ci hanno accolto e dove ha avuto inizio un fantastico duetto, in cui si sono alternate nuove e vecchie voci, le volontarie della Pro Loco e Lello Barbarisi di Velecha.
Un susseguirsi di racconti e di spiegazioni hanno accompagnato i nostri passi. Lì tra i resti dell’antica domus siamo ritornati alunni in gita. Ci siamo rivisti nei nostri grembiuli blu passeggiare in fila per due mentre osservavamo incantati le mura, le decorazioni superstiti del tempo e abbiamo assaporato ogni angolo di una storia non sempre accessibile.
Ci siamo ritrovati di nuovo, in quello strano intreccio di ricordi di una comunità che ha provato e prova tutt’ora a rapportarsi con il suo passato più remoto.
Ma come per il sabato precedente il tempo delle riflessioni è stato breve. Riportati al centro di Atripalda, sopra la collina che sovrasta piazza Umberto I ci siamo ritrovati davanti al convento di San Giovanni Battista, da tutti conosciuto con il nome di San Pasquale, per via della venerazione di San Pasquale Baylon. Malgrado l’epoca più recente rispetto alla precedente domus, la tappa non ha certo fatto diminuire il fascino tra i presenti.
Sorto sul finire del 1500 e inizialmente destinato ai barbanti (come venivano chiamati i padri conventuali riformati), negli anni ha visto avvicendarsi diversi ordini, passando per i padri alacantarini scalzi fino ai frati minori. Ma non è stato solo un importante centro religioso cittadino. Negli anni è stato un luogo generazionale non di poco conto. Teatro per decenni di infinite partite di calcio circondato da terre e discese e dove vigeva il motto dialettale “chi tira sa va pesa’” (chi tira la va a prendere, demandando così la responsabilità del tiro e del gesto atletico). Incuria ed intemperie hanno lasciato solo il ricordo di quel campetto in terra ed erba. Negli anni delle nostre adolescenze era un punto di ritrovo visitato soprattutto nei giorni di neve, capace com’era di darci la seconda ottima visuale dell’intera cittadina imbiancata (la prima continuerà a restare la Grotta della Madonna di Lourdes, conosciuta da tutti come Preta ra Maronna).

Anche in questa tappa la conclusione è stata frutto di un crescendo e di una risalita anche geografica della città. Passeggiando lungo via Roma, siamo giunti al confine con Avellino, dove è stato di nuovo Lello Barbarisi a prendere la parola. Tra passione e ricordi di infanzia ci ha parlato della tomba a camera. Inaccessibile cimelio della storia Atripaldese di cui si è fatto strenuo difensore.
Tra le calde luci del tramonto abbiamo concluso la sesta tappa di questo incredibile percorso. Un percorso che ancora una volta ci ha voluto insegnare che dovremmo imparare, nuovamente, a stupirci dei nostri tanti luoghi, luoghi che solitamente diamo per scontati e che in realtà nascondo una storia inaspettata.
da Andrea Famiglietti | Set 16, 2021 | Cammini irpini
Giocare in casa regala sempre grandi emozioni, grandi preparazioni e anche una piccola dose di preoccupazione. Sono le prime cose che ci sono venute in mente quando ci siamo ritrovati a partecipare alla quinta tappa di Cammini Irpini. Insieme a noi un’ospite d’eccezione, la nostra grande amica Alessia Capasso di CperCultura.
11.09.2021 – TAPPA 5 – ATRIPALDA, CENTRO STORICO
Atripalda, circa 8 kmq, pochi se la si osserva su di una mappa, pochissimi se la si immagina in relazione alle sconfinate terre che rendono l’Irpinia una delle province più estese della Campania, riesce a raggruppare, suo malgrado, infinite vite, incalcolabili epoche, sorte una sopra l’altra, una di fianco l’altra.
Lo dimostra il fatto che basta una consonante per ritrovarsi in due luoghi completamente diversi e rapportarsi con due epoche altrettanto differenti.
Provare per credere: chiedete ad un atripaldese di accompagnarvi “nterra a’dogana” e poi ripetete la stessa richiesta, ma questa volta, sostituite la d iniziale con una semplice r e chiedete di portarvi “nterra a’rovana”.
Una consonante è bastata a dividere in due un’intera cittadina, un fiume è servito a dividerla in altrettante parti. Proprio da quest’ultimo siamo ripartiti per questa quinta tappa. Lungo un’unica sponda del Sabato abbiamo trarscorso un’intera mattinata.

Costeggiando gli scavi archeologici della Basilica Paleocristiana abbiamo risalito la strada per raggiungere la chiesa Madre e non c’è voluto molto per imbatterci nelle prime memorie. Lì a Vico la Torre, sotto lo sguardo attento della Madonna di Montevergine, sorgeva un arco, immaginifico per la mia generazione che l’ha visto, e continua a vederlo, sospeso tra le due palazzine, grazie ai ricordi e i racconti ereditati negli anni.
Ricordi di un centro storico scomparso e svanito, a causa di una ricostruzione post sismica non certo chiara e che attraverso una delle prime pratiche di gentrificazione sociale ha privato Atripalda della sua anima, quella popolare e subalterna che un tempo animava queste strade.
Oggi resiste Mamma Schiavona, nella sua edicola, come ultima custode di un mondo che sta svanendo e si pone come anello di congiunzione tra i differenti universi.
Per anni ha accolto, proprio tra la seconda e la terza settimana di settembre, i tanti pellegrini che dai paesi limitrofi si incamminavano di notte per arrivare a Montevergine. Per anni ha dato ospitalità e sollievo ai tanti impegnati in quella che viene universalmente riconosciuta come la juta.
Così la Madonna Nera al nostro passaggio mi ha riportato indietro negli anni, ai tanti settembre della mia infanzia a Rione Mazzini, fatta di odori di nocciole caramellate, di tiro a segno, di spighe bollite e del suono delle zampogne che proprio nei giorni precedenti al 12 settembre annunciavano che quello era tempo di juta.
Ma il tempo dei ricordi scorre veloce, lasciandosi susseguire da altre storie, altre epoche e lo sanno bene anche le Volontarie del Servizio Civile della Pro Loco che ci hanno accolto ai piedi della chiesa Madre e ci hanno accompagnato tra le bellezze artistiche sopravvissute al tempo e al sisma e i disastri architettonici della ricostruzione, prima, e nello Specus Martyrum poi.

Catapultati, freneticamente, tra epoche differenti il passato a noi più vicino è ritornato spesso a farci visita in questa passeggiata. Lo abbiamo visto anche quando Lello Labate, della Pro Loco, ci ha raccontato l’evoluzione abitativa di Atripalda. Trasformatasi sempre più velocemente in un centro densamente popolato, ha visto diminuire drasticamente le piccole case di un tempo, sacrificate a scapito di palazzi sempre più alti. Lo ha fatto anche lui, facendo ricorso alle sue memorie, indicandoci una piccola palazzina che resiste ancora. Lì nei pressi di quel ponte conosciuto come Ponte delle Carrozze accoglie ancora tutti coloro che si dirigono in piazza. Un ponte che ha acceso altre memorie, come i racconti degli tanti anziani che durante gli anni hanno ricordato i tragici momenti in cui una piena lo costrinse a soccombere, mandando nel caos un intero paese.
La tappa ha seguito un suo crescendo anche sotto l’aspetto dell’altitudine cittadina. Infatti spingendoci sempre più su abbiamo avuto la possibilità di visitare la chiesa delle Grazie ed infine di ritrovarci tra gli arbusti e le statue del giardino Caracciolo. Abbiamo avuto modo, anche in questi luoghi, di rivivere i racconti di vite passate, fatti anche di ginocchia sbucciate e di partite di pallone infinite, giocate all’ombra di quel palazzo che oggi ci consegna un presente cadente, ma non per questo fatto di rinuncia ed arrendevolezza.

Non è bastata una giornata a raccogliere almeno la metà delle infinite vite di Atripalda e per questo con le Acli di Avellino, con l’Associazione Terrafuoco di Massimo Vietri, con tanti nuovi ospiti e partecipanti ritorneremo a passeggiare anche questo sabato, tra le storie e le memorie di una città che spesso si dimentica di averne davvero tante da raccontare.
CONSIGLI DI LETTURA TAPPA 5 – CAMMINI IRPINI
«Dopo averlo lasciato per la prima volta a 31 anni e dopo più di 15 anni di assenza, il piacere malinconico, non privo di euforia né di collera e amarezza, che mi dava contemplarlo era uno stato specifico, una corrispondenza fra interno ed esterno che nessun altro luogo al mondo poteva darmi. Come ogni rapporto tempestoso era caratterizzato da un chiaroscuro ambivalente, dove si alternavano commedia e tragedia. Segno, modo o cicatrice me lo porto dietro ovunque vada e questo non cambierà mai».
Il fiume senza sponde – Trattato immaginario, Juan José Saer, La Nuova Frontiera, 2019
Il fiume senza sponde
da Andrea Famiglietti | Lug 8, 2021 | Cammini irpini
TAPPA 0 – COLLINA DELLA TERRA 03.07.2021
Quello che segue vuole essere un punto di inizio e di raccolta di pensieri ed umori collegati alle giornate di CamminIrpini.
La città di Avellino, per la sua conformazione morfologica e geografica, da sempre, si caratterizza per il suo clima umido. Un clima che ci consegna inverni rigidi, con il freddo che sbaraglia facilmente ogni resistenza, anche la più strenua e raggiunge le ossa ed estati caldissime, con i suoi pomeriggi al limite dell’affanno.
In una città come il capoluogo irpino sono rari i luoghi in cui si riesce a sfuggire alla calura estiva pomeridiana, ma senz’altro alcuni punti del centro storico rappresentano un buon rifugio.
Proprio da uno di questi rifugi ci siamo ritrovati. Componenti di un’insolita e numerosa comitiva abbiamo partecipato alla tappa 0 di CamminIrpini.

Un’iniziativa organizzata dalle Acli di Avellino, dall’US Acli provinciali e dall’Associazione Terrafuoco che mira a promuovere l’attività motoria e il passeggio come pratica utile al raggiungimento del benessere psicofisico.
Una proposta quanto mai necessaria dopo i lunghi periodi che ci hanno costretto ad una sedentarietà forzata e collettiva. Ma mentirei e mentiremmo se dicessimo che questa è stata l’unica ragione che ci ha spinto a sfidare il caldo pomeridiano e a partecipare e sono sicuro che lo stesso vale anche per gli altri.
CamminIrpini ha sin da subito presentato differenti chiavi di lettura. Di sicuro la prima è rappresentata dal bisogno, quanto mai vitale, di vivere nuovamente momenti di aggregazione e di collettività. Ma soprattutto è stata l’occasione (e lo sarà, ne siamo sicuri, anche nelle future tappe) per riscoprire la città che, come spesso accade, scopriamo di conoscere veramente poco.
Non una visita guidata, non lo è stata, ci hanno tenuto a ribadirlo sia Massimo Vietri che Alfredo Cucciniello, ma è stata l’occasione di percorrere strade, vicoli e piazze che altrimenti non percorreremo.
Le città si sviluppano seguendo l’economia del momento ed Avellino non è esente da questa logica; una logica che è diventata ancor più evidente dopo la diffusione del covid19. Ci siamo ritrovati spesso ad attraversare le nostre città al solo scopo di ricongiungere il punto A di partenza con un punto B di arrivo. Tagliamo in due le città senza pensarci su, interessati solo al percorso più breve per soddisfare qualche falso bisogno del momento.
Senza rendercene conto stiamo definendo la città, stiamo caratterizzando i luoghi e stiamo sacrificando la dimensione sociale.
Una dimensione che con CamminIrpini si sta tentando di ricostruire, ritornando nei luoghi, nei vicoli e tra i ruderi delle nostre realtà. Potrei raccontarvi dell’incredibile bellezza della Cripta, delle varie epoche che sovrapposte lungo il campanile del Duomo, della Torre dell’Orologio, della fontana di Bellerofonte, o della chiesa del Monserrato e di Maria de Cadorna, in cui ci siamo imbattuti passeggiando. Ma verrei meno alle premesse di Massimo e Alfredo, ma soprattutto verrei meno alla mia idea di quella che è stata questa prima tappa e di quelle che saranno le successive.

Già perché quella di sabato è stata molto di più di una passeggiata. È stata l’occasione per mettere in gioco le memorie individuali e collettive ed è stato bellissimo.
Dai racconti tramandati ed ereditati abbiamo potuto ricostruire un’altra Avellino. Quella della Collina della Terra, del vecchio ospedale cittadino, del secondo conflitto mondiale, dell’incapacità (storica, quella sì) delle istituzioni di comprendere l’inestimabile valore di un’antica porta cittadina fatta abbattere per evitare di pagare i lavori di messa in sicurezza e di restauro.
E ancora, la chiesa di San Nicola dei Greci, rinominata così perché edificata dai bizantini e frequentata poi dalla locale comunità greca.
Un viaggio nei ricordi altrui ereditati che, immancabilmente, si sono fusi con quelli ereditati dai miei genitori che da piccolo mi raccontavano di vicoli e vite del centro storico e hanno portato alla nascita di una nuova memoria.

Passeggiando per i vicoli abbiamo riscoperto le nostre memorie sopite, abbiamo rivissuto grazie a questo un racconto della mancanza. Un racconto che conosciamo molto bene e che per la nostra generazione si lega al Terremoto del 1980 (siamo tutti nati in seguito a quel 23 novembre 1980, n.d.a), mentre per la generazione precedente fa riferimento al secondo conflitto mondiale e agli anni della ricostruzione.
Questa rubrica che inauguro oggi vuole essere un diario di bordo di geografia sociale e della memoria in cui cercherò di raccogliere appunti, emozioni e riflessioni di CamminIrpini, perché in fondo abbiamo bisogno, più dei nostri luoghi, di una nuova memoria condivisa.
APPUNTI VELOCI PER CAMMINIRPINI
CONSIGLI UTILI PER LE PROSSIME TAPPE
- Acqua;
- Zaino in spalla;
- Calzature adeguate;
- Portare con sé un piccolo taccuino per gli appunti. I racconti e i ricordi che vengono fuori sono davvero interessanti.
CONSIGLI DI LETTURE
Formulario per un nuovo urbanesimo – Gilles Ivain
«Chtcheglov irruppe sulla scena a promuovere quell’insurrezione, a suggerire una nuova idea di felicità, e lo fece camminando ancor prima che scrivendo. Deambulando incessantemente per Parigi in quell’estate del 1953 fino a scoprire nel cuore del Quartiere latino un intero continente (il Continente Contrescarpe), le cui “passioni dominanti erano il gioco, l’ateismo e l’oblio”, egli “inventava” la deriva, un’attitudine all’esplorazione e allo spaesamento che, in un mondo che cadeva sempre più sotto la cappa soffocante della noia e della ripetizione, racchiudeva il senso della libertà nell’incoraggiare associazioni inedite, passioni proibite, incontri imprevisti e curiosità sopite. Contemporaneamente un “cabilo illetterato” incontrato nei bar suggerì ai lettristi la definizione di psicogeografia per quella nuova geografia soggettiva ed emotiva. La deriva e la psicogeografia annunciavano che la forma della città riflette gli ordini della società dominante determinando i comportamenti, e che il superamento dell’arte e la realizzazione delle sue promesse di felicità implicavano una reinvenzione passionale dell’esperienza quotidiana.»
Leonardo Lippolis, introduzione a Formulario per un nuovo urbanismo di Gilles Ivain
«Tutte le città sono geologiche e non si fanno quattro passi senza incrociare dei fantasmi, armati di tutto il prestigio delle loro leggende. Noi ci evolviamo in un paesaggio chiuso i cui punti di riferimento ci riportano continuamente al passato. Alcuni angoli mobili, alcune prospettive di fuga ci permettono d’intravedere concezioni originali dello spazio, ma questa visione rimane frammentaria. Bisogna cercarla nei luoghi magici dei racconti popolari e degli scritti surrealisti: castelli, mura interminabili, piccoli bar dimenticati, caverna del mammut, specchi dei casi[…]»
Gilles Ivain, Formulario per un nuovo urbanismo
SCARICA IL PDF – Formulario per un nuovo urbanismo (Maldoro Press, 2013, no copyright)
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