
La leggenda metropolitana del Natale al freddo
E c’era l’asfalto laddove prima vivevano miliardi di granelli di sabbia. A me comunque non dispiace. Non mi inzozzo i piedi e per di più non devo più temere la comparsa di animali mitologici. Insomma, non mi lamento. Certo, la scomparsa del mare non è un dettaglio da trascurare, ma del resto ci siamo abituati già. In fondo, uno dei pochi pregi dell’essere umano è l’adattamento alle cose che roviniamo a causa dell’ossessiva ricerca del business. Basti pensare alla musica che ascoltiamo oppure alle retribuzioni dei lavori moderni: ci adattiamo, ci abituiamo. Io comunque non sapevo nuotare, però non era malaccio vedere i bambini allegri giocare a palla mentre gli adulti si facevano i fatti loro. Almeno, però, ora ci sono cellulari giganti che rendono superflui gli ombrelloni e comunque distraggono i ragazzini.
Se devo essere onesto, di queste nuove stagioni non riesco a sopportare soltanto il Natale con 40 gradi. Cioè più di vent’anni fa ricordo che indossavo maglioncini con le renne disegnate ed era bello assai mangiare tanto senza sudare e stare a casa sorseggiando una cioccolata calda. Ed invece ora con questo caldo assurdo abbiamo dovuto prima di tutto rivoluzionare il menù del cenone (nonna, per fortuna ora non sei più qui). I maglioncini sono stati bruciati e hanno lasciato il posto a magliettine sottilissime. E non si festeggia più a casa bensì in una specie di locali superclimatizzati che prima erano bunker antiatomico inutilizzati perché le guerre sono passate di moda visto che le mezze stagioni non esistono più.
Ora che ci penso bene, mi rattrista non vedere più tanti animali che prima mi facevano sorridere. E mi immalinconisce anche aver dovuto rinunciare a scrivere una poesia nei Paesi nordici come i Kings of Convenience. Ma va bene così: alla fine piove soltanto due o tre volte l’anno e se sopravvivi è sempre estate.
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