A tutti noi sarà capitato almeno una volta nella vita di sentirci stanchi senza apparente motivo. Capita, infatti, che una giornata inizi all’insegna della stanchezza e che questa sensazione non vada via. Ma perché, se oggi alla fine non ho fatto niente di così faticoso?
Questa sensazione è diversa dalla tipica stanchezza che si prova al termine della giornata lavorativa. Quando facciamo qualcosa che ci stanca sentiamo il bisogno di riposarci e sappiamo benissimo quello che ci ha stancato. La stanchezza di cui voglio parlare, invece, ci coglie di sorpresa visto che ci sentiamo in dovere di riposarci ma al tempo stesso non sappiamo cosa ci ha stancato e per questo pare che non abbiamo il diritto di rilassarci, e questo ci fa sprofondare ancor di più in quella bolla all’interno della quale tutto sembra stancante e niente può rilassarci di più di come stiamo.
La reazione a questo tipo di sensazione è, come sempre, variegata e unica per ogni individuo; d’altra parte, c’è qualcosa che accomuna tutti. Di solito questo tipo di stanchezza, infatti, irrita: chi lo prova tende a infastidirsi per cose che normalmente passerebbero inosservate. Inoltre, ciò che di solito ci tira su il morale o per cui siamo sempre pronti a metterci in gioco sembra perdere di interesse. L’interesse è perso sia nelle attività che nelle relazioni: la stanchezza di questo genere rende tutto e tutti distanti. Se si prova a fare qualcosa, non ci si riesce a concertare. Insomma, l’unica soluzione rimane sdraiarsi sul divano e guardare la televisione; non un programma in particolare, proprio lo schermo della tv. L’attività di elezione è lo zapping, nessun programma sembra interessarci e quasi pare di andare alla ricerca delle pubblicità che almeno quelle non necessitano di tanta attenzione.
Questa cosa che fin qui ho descritto come stanchezza cronica o insolita ha un nome specifico: anedonia. Il suo significato primario è “l’incapacità di provare piacere per tutti i tipi di attività”, una frase che ben riassume la miriade di micro eventi prima accennati. Questa sensazione può essere scatenata da tanti fattori, non c’è qualcosa di specifico che ci induce a sperimentare l’anedonia. Sta di fatto che questo stato della mente può essere riconosciuto o meno dalla persona che lo sperimenta: c’è chi si accorge di non riuscire a trarre soddisfazione da ciò che normalmente gli piace fare e chi non si rende conto di immergersi in questa “bolla”. Ai primi, il compito di venirne a capo e, anche se fatica, iniziare qualcosa di costruttivo che possa far riemergere dall’anedonia può risultare un compito agevole; per i secondi il passo più complicato è quello di riconoscere l’anedonia. Questo, infatti, vorrebbe significare che la ricerca del relax non ha senso proprio perché è la ricerca stessa a produrre la sensazione di stanchezza; per questo, bisogna fare qualcosa per sentirsi meno stanchi, paradossalmente.
In questi giorni, più o meno, il buon Andrea mi scriveva e chiedeva se mi sarebbe piaciuto collaborare con lui e scrivere qui su Scarpescioute. Oggi ad un anno di distanza dall’inizio di quest’avventura mi trovo a raccontare insieme a tutticome vediamo il mondo, ognuno con il proprio unico stile dato dalle singole esperienze. L’estate a pensarci bene per me è quasi sempre stata la stagione del cambiamento; l’anno scorso prendevo la decisione di trasferirmi a Milano per lavoro e iniziare una nuova esperienza. Ma non è stato né il primo né l’ultimo cambiamento, fin da bambino questa calda stagione mi ha portato nuove esperienze. AL DI LÀ DELLE NEBBIE
“Questo luogo, il Maniero Picotte, è una pensione. È la pensione della Valle della Nebbia, da generazioni a generazioni. Perciò, qui il pane te lo devi guadagnare. E’ quel che si definisce “costo della vita” La protagonista del romanzo di Sachiko Kashiwaba “La città incantata al di là delle nebbie” è Rina, una bambina delle elementari. La storia inizia con la piccola protagonista ferma ad una fermata, dopo aver accettato la proposta del padre di cambiare luogo delle vacanze estive; da quel momento la vita Rina si troverà ad affrontare nuove esperienze. Alla fine della scuola con l’arrivo dell’estate mi sono sempre ritrovato a fare nuove esperienze e la maggior parte di esse le ho sempre condivise con mio padre, dalle prime cadute dalla bicicletta a visitare posti nuovi! Oggi quando ripenso a quei momenti, sorrido perché in fin dei conti l’estate non significava solo la fine della scuola per tre mesi ma anche uscire da quegli spazi che ci davano una routine quasi obbligatoria e sentirci in qualche modo liberi; a distanza di anni crescendo le cose sono cambiate, il tempo è cambiato e anche il rapporto con l’estate. La piccola Rina nel libro si ritrova ad affrontare le nuove esperienze senza il supporto della sua famiglia e inizia a comprendere come si vive al di fuori del nucleo familiare, esperienze che variano da persona a persona al di fuori del romanzo. Anche se con una sostanziale differenza di età dalla giovane Rina, l’anno scorso ho avuto l’occasione di rivoluzionare la mia routine e di affrontare una nuova sfida lontano da casa; ad un anno di distanza, oltre ad aver iniziato a scrivere su queste pagine mi ritrovo a Milano con nuove sfide e nuove emozioni che mi cambiano piano piano e questo avviene sempre nella stagione più calda, l’estate.
CONCLUSIONI Hayao Miyazaki nel 2001 fece uscire nelle sale cinematografiche quel capolavoro tratto dal romanzo di Kashiwaba, “La città incantata” e che gli valse l’oscar come Miglior film d’animazione. Il film si discosta leggermente dal romanzo per alcune cose, per esempio la presenza dei genitori. Nonostante le piccole differenze presenti, il film lascia intatto il tema che Kashiwaba propone e la piccola Chihiro (il nome della protagonista del film) si ritrova ad affrontare gli stessi cambiamenti che Rina vive all’interno del romanzo e che le permetteranno di uscire dal nucleo familiare ed entrambe inizieranno un percorso che le porterà piano piano nel mondo degli adulti, dove l’estate diventerà un’esperienza diversa.
Parlare del tempo e di come ciascuno di noi se l’organizza potrebbe essere l’occasione di riprendere un argomento trattato qualche mese fa in questa rubrica all’interno dell’articolo “Il tempo fruibile in tempi friabili”. In quella sede si arrivò alla conclusione per cui la percezione individuale del tempo è data dal contesto entro cui ogni persona vive e che la friabilità del tempo stesso potrebbe essere una conseguenza del tentativo di vivere il tempo a velocità inadatte sulla base delle opportunità fornite dallo spazio in cui si vive nella realtà concreta.
L’organizzazione del tempo, quindi, deriva direttamente dal modo in cui il tempo stesso si percepisce e, partendo dal presupposto creato in precedenza, bisogna tenere conto dello spazio e della velocità necessaria a precorrere lo spazio che ci circonda per arrivare ad una organizzazione efficace del nostro tempo. La pandemia globale e le restrizioni delle libertà individuali che, da ormai un anno a questa, accompagnano lo scandire delle ore ha modificato per forza di cose l’organizzazione del tempo di ciascuno. Secondo i presupposti creati nell’articolo precedente, quindi, si potrebbe concludere che chi ha saputo cogliere la giusta velocità di crociera ed ha avuto prontezza nell’individuare lo spazio individuale utilizzabile, è riuscito ad organizzarsi il tempo in un modo che ha sollevato l’individuo da un peso piuttosto che aggravare la condizione di parte oggettivamente limitante; probabilmente, la differenza tra chi afferma che “con la pandemia ed il lockdown ho avuto l’opportunità di scoprire nuove passioni e rispolverarne di sopite” e chi dice che “la pandemia e il lockdown ha creato nient’altro che svantaggi, ho dovuto riorganizzare totalmente la mia vita” non si limita alla sola contrapposizione tra una visione ottimistica e un’altra pessimistica della realtà attuale. La differenza consiste, dal punto di vista della fruibilità del tempo, nella percezione friabile, la prima, e friabilissima, la seconda, della realtà. Il frutto della prontezza ad individuare lo spazio da riorganizzare ed a scegliere di abbassare le aspettative (la velocità di crociera) relative al tempo presente in luogo di una caparbia scelta di provare a fruire del proprio tempo “come nulla fosse accaduto”, provando a normalizzare un evento unico nella storia recente dell’umanità.
La modalità di riorganizzare il proprio tempo ha sicuramente avuto ripercussioni sul modo di concepire il futuro e, perché no, di vedere il passato, l’ambiente e la propria vita in generale. L’organizzazione del tempo, d’altra parte, è un pallino fisso della teoria psicologica; basti pensare che anche la filosofia se ne occupa da ormai migliaia di anni e che la psicologia è una sua discendente diretta. Uno dei maestri del grande capostipite della psicoanalisi è stato Pierre Janet; uno dei concetti che ha lasciato alla comunità scientifica e che, nel tempo, ha ricevuto innumerevoli rivisitazioni alla luce delle scoperte ma che ha mantenuto un nucleo originario intatto è quello di presentificazione. Secondo Janet, gli individui costruiscono la realtà intorno a sé stessi formando nella propria mente una rappresentazione del momento presente attraverso due operazioni: agire volontariamente sugli oggetti intorno a sé e focalizzare, di conseguenza, l’attenzione tanto sulla realtà esterna quanto sui propri pensieri. La mente individuale tende naturalmente a vagare tra la dimensione di ciò è accaduto in passato, e ciò che accadrà in futuro, per cui è necessario sforzarsi per focalizzare la propria attenzione su ciò che attualmente ci circonda e poterci agire su.
Dando questi ultimi concetti come assodati, quindi, ci si rende conto che è mentalmente più semplice e veloce pensare a quando tutto sarà passato o quando tutto era come prima; magari, però, in questo modo si rischia di vivere la pandemia ad una velocità eccessiva (tipo quelli che non rinunciano nemmeno a un millesimo della loro socialità e continuano ad assembrarsi, secondo la nuova terminologia pandemica) o eccessivamente lenta (come chi si bunkera in casa e non esce manco per fare la spesa) e si riorganizza il tempo a disposizione in un modo che genera ansia, depressione e altri mostri nella mente. Chi si sforza di presentificare a sé stesso la friabilità oggettiva del presente e modera adeguatamente la velocità con cui vive lo spazio ristretto dal lockdown pandemico, forse, organizza il proprio tempo in modo più fruibile e sano, riuscendo a trovare opportunità di crescita anche in momenti drammaticamente complicati come quello attuale.
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