Parlare di democrazia, ma non troppo

Parlare di democrazia, ma non troppo

La tematica con cui ritorniamo dopo questa piccola pausa estiva non è certo semplice e rivela più sfumature di quanto potessimo immaginarci.

Parlare di democrazia o rifletterci è una pratica che tendiamo a mettere in atto quando percepiamo uno stravolgimento drammatico, non importa quanto esso sia vicino o lontano. È quello che stiamo vivendo in questi giorni.

Ci siamo, infatti, ritrovati a riflettere su una miriade di aspetti. Tra questi anche su quello di democrazia. Negli ultimi giorni è ritornato spesso affiancato da altri termini quali modello occidentale, o democrazia liberale, da far emergere e contrapporre ad altri modelli di tipo illiberale o dittatoriali.

Si sono susseguite riflessioni, analisi e conclusioni. Purtroppo o per fortuna vostra non sono un esperto di politica estera e non sono qui a regalarvi l’ennesimo articolo d’opinione su una condizione geopolitica complessa e articolata.

Vorrei invece partire da questo aspetto per riflettere sul senso e significato che noi abbiamo della democrazia. Molto spesso tendiamo a relegare alla democrazia l’aspetto più rappresentativo, quello che per intenderci avviene nel processo elettivo.

Questo aspetto è spesso soggetto a semplificazioni e estremizzazioni che ci portano a definire la democrazia come un qualcosa di fallace e di profondamente incompleto. Limitiamo le nostre osservazioni a quest’unica pratica democratica, ma spesso ci dimentichiamo che con il termine democrazia si può e deve intendere un ampio ventaglio di pratiche.

Ma esiste un aspetto della democrazia che dovrebbe riportarci sempre in pista. Parte dalla tendenza all’indignazione che spesso il processo di democrazia rappresentativa porta con sé e dallo stimolo a partecipare attivamente, attraverso pratiche di democrazia diretta. Questo è il lavoro che portano avanti singoli cittadini, associazioni e gruppi informali di persone.

Potrei parlare a lungo di questa o quella formula di partecipazione diretta alla vita democratica. Potrei parlare di ciò che ha funzionato e di ciò che invece non ha funzionato, ma siamo appena ritornati da questa pausa estiva e non ho voglia di tediarvi. In fondo sono buono e vi consiglio una lettura.

INDIGNATEVI! – STEPHANE HESSEL

Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire “io non posso niente, me ne infischio”. Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza.

Stéphane Hessel – Indignatevi!

Abbecedario di provincia: lettera L

Abbecedario di provincia: lettera L

Mentre accarezzo tutti i miei libri, mi scopro a sorridere nel ricordare gli aneddoti legati a queste migliaia di pagine, milioni di parole che si intrecciano fino a partorire una storia che verrà vissuta in contemporanea da un viaggiatore in Australia e da uno studente americano in attesa di un caffè rigorosamente lungo. Se non è magia questa.

In ordine sparso sulle mensole, nonostante la pazienza della mia fidanzata durante il trasloco, ma non nella mia anima, dove occupano un posto preciso. Mi riferisco, ad esempio, a “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Brizzi, divorato quando ero un adolescente alla ricerca di chissà cosa. Ed ogni passo era spinto da rabbia immotivata e dalla poetica volontà di cambiare il mondo, almeno il mio. Ma la zattera con cui si attraversa quel mare di amore e merda, che poi è l’adolescenza, sarà inesorabilmente distrutta fino ad approdare su quella terra così lontana e misteriosa popolata dagli adulti, essere mitologici e forse più coglioni di un sedicenne sbronzo nel pieno del pomeriggio.

Sbarcato lì, ero tipo Capitan America quando fu scongelato dopo oltre 70 anni. L’unica cosa che avevo salvato dal nubifragio era la necessaria leggerezza di Stefano Benni. Probabilmente è il mio migliore amico, e lui neanche lo sa. Se non è magia questa (forse in questo caso si tratta anche di qualche disturbo psicologico).

Lì, tra affaristi, ipocriti e bambini alti 1.90 metri – però anche tante brave persone – mi hanno tenuto per mano la potente fragilità di Hemingway e l’essenziale profondità di De Crescenzo. Il primo mi ha trasmesso il senso del “dovere”, l’agire necessario per quello che noi riteniamo “giusto”. A costo della propria vita. Il secondo, invece, mi ha insegnato ad arrivare al succo delle questioni, a “semplificare” il concetto più complesso affinché tutte le persone possano trovare conforto e coraggio in Socrate o Platone. Fossero tutti così gli insegnanti o gli intellettuali probabilmente vivremmo in un mondo almeno più umano.

Sorrido ancora più forte, infine, mentre intravedo i titoli di Fabio Volo e Massimo Gramellini. Senza saperlo, Volo mi ha spiegato con pazienza e delicatezza che le persone non vanno giudicate secondo il pensiero altrui. Gramellini, invece, già sa. Era il nostro scrittore.