Gli stadi italiani nel mondo dei cartoni animati

Gli stadi italiani nel mondo dei cartoni animati

Non è un mistero, così come non è per nulla utile nascondersi dietro un dito. L’Italia convive da tempo con il problema delle sue strutture sportive, meri contorni alle attività agonistiche di 50 anni fa, ma oggi sempre più al centro del nuovo concetto di fruizione che sta trascinando l’evento sportivo sempre più verso il baratro della spettacolarizzazione.

Le gradinate fatiscenti, le curve dal gusto estetico dubbio che si affacciano in pieno centro città, con balconi, verande e terrazze di condomini in bella vista, il verde poco curato, le barriere protettive degne delle gabbie da circo, le onnipresenti quanto inutili piste di atletica buone solo ad aumentare la distanza tra la gente ed il gioco…il nostro Paese non certo brilla per la bellezza degli scenari offerti agli occhi di tutto il mondo.

Considerando che Paesi dal Pil teoricamente più basso e con una cultura calcistica meno spinta sono ormai dotati di impianti veramente all’avanguardia (penso a Paesi come Polonia e Russia, per non parlare dell’Estremo Oriente…), quello italiano è l’unico campionato europeo a presentare impianti molto vecchi, di proprietà per lo più comunale, strutture obsolete che, dal tornello di ingresso fino all’uscita, garantiscono una fruizione per nulla diversa da quella che si poteva godere negli anni ’80.

La mia esperienza personale si riduce ad aver assistito a diverse partite ad Avellino, a Bologna (nello storico e comunque bellissimo Dall’Ara), a Salerno, a Bari…tutte esperienze accomunate dai disagi inerenti allo stato di conservazione delle nostre arene. All’estero (nello specifico Praga, Belgrado e San Pietroburgo) mi è andata decisamente meglio, rendendo inutile qualsiasi paragone.

Fascino nostalgico? Resistenza al moderno mostro capitalistico mangia-valori? Stadio italiano baluardo della domenica passata a bestemmia/caffè borghetti/gradinata popolare? Purtroppo, a mio avviso, nulla di tutto ciò, a meno che non ci si voglia nascondere dietro il dito famoso: se l’ossessione mercantilistica della Premier League può risultare stucchevole, con i suoi stadi magnificenti, ipertecnologici, poli comprensivi di ristoranti, hotel, musei, attività ludiche e commerciali di vario genere, la povertà dell’esperienza italiana sta pericolosamente allontanando investitori e soprattutto…tifosi.

Una considerazione importante: la carenza delle strutture, ahimè, non fa per niente rima con prezzi popolari. Pagare una gradinata semplice 25 euro per assistere ad uno spettacolo in condizioni poco decorose, alla lunga, facendo rivalutare le pay tv che offrono, allo stesso prezzo, un pacchetto mensile di partite. I controlli lunghi ed asfissianti ai tornelli, i prezzi alti, lo scarso appeal del nostro campionato, iniziative a dir poco discutibili come quella del green pass stanno decimando il bacino di utenza che soffia sul sacro fuoco della passione calcistica. Lo stadio italiano, dunque, non sta attirando né meri spettatori, né appassionati tifosi, nè consumatori. Sia l’avido capitalista che l’innamorato della sobria tradizione stanno perdendo. Lose-lose, direbbero gli “strategist del business”.

All’estero sembra essere tutt’altra musica: modello inglese, modello tedesco, le calde arene spagnole, gli stadi infuocati dell’Europa dell’Est…la Süd Tribune di Dortmund, l’infuocato scontro polacco tra Wisła e Legia, l’eleganza stilistica dei due stadi di Siviglia, moderni eppure così ben armonizzati nel tessuto urbanistico di tradizione andalusa, per non parlare del fascino degli stadi inglesi sia di nuova che di vecchia costruzione. Pura utopia per il nostro Paese.

Ristrettezze economiche, investimenti singoli e slegati da un filo conduttore comune, una pesantezza burocratica senza pari nel mondo, legislatura corposa, inconcludente e poco chiara: chiunque sarebbe spaventato nell’investire soldi in un Paese del genere. Per ora…solo Juventus, Frosinone, Udinese, Sassuolo ed Atalanta hanno intrapreso una via virtuosa. Le difficoltà di Inter e Milan (sic!) nella battaglia con il comune di Milano rivelano quanto siamo lontani dal capire che il calcio come fenomeno deve assolutamente essere gestito in maniera differente.

Per ora gli italiani sono campioni di “cartoni animati”, così come adoro definirli: magnificenti rendering computerizzati, che trasportano il tifoso in uno stadio utopistico, un Pinocchio nel Paese dei Balocchi, ingannato in una realtà caleidoscopica che non esiste o che, al momento, nessuno ha ancora mai visto: parliamo dei mitologici nuovi stadi della Roma, della Lazio, per non parlare di quelli della Ternana, del Cagliari e dell’Avellino… strutture mai viste da nessuno a memoria d’uomo eppure nominate tutti i giorni, presenti da un bel po’ in quel mondo fantastico che può essere nostro solo indossando un occhiale VR.

Il nuovo Bernabeu sarà un nuovo mostro di capitalismo, così come il White Hart Lane di Londra. Modello da imitare in toto? Mi auguro di no e per diverse ragioni, in primis architettoniche. Eppure, non ritenere il nostro prototipo di stadio alquanto rivedibile è un errore che non ci si può permettere di commettere. A meno di non voler vivere eternamente dentro un “cartone animato”…

Appunto importante: devi fare ciò che ti fa stare bene

Appunto importante: devi fare ciò che ti fa stare bene

È accaduto che ad un certo punto ho dimenticato chi fossi e dove stessi andando. Dal nulla svanisce la magia, quella scintilla che quotidianamente illumina il tuo vero obiettivo. A soffiarci sopra diversi nemici: dall’ansia del futuro ad un Paese come l’Italia che ti stritola fino ad ucciderti dentro all’alba dei trent’anni. Del resto Gianni Morandi era stato un ottimo profeta: (soltanto) uno su mille ce la fa. E gli altri 999?

Gli altri 999 smarriscono completamente la bussola a furia di reinventarsi. Il lavoretto per avere una cosa di soldi in tasca, l’ossessione per il posto fisso perché arrivato ad una certa devi tirare le somme, i pasticcini da mangiare la domenica, l’immancabile viaggio a Londra per fare il cameriere e ritrovare se stessi. Insomma, veniamo risucchiati da un gioco infernale ed una volta conquistato l’ultimo livello – nella maggior parte dei casi somigliante ad una vita tipo “50 volte il primo bacio” – ti accorgi che hai dimenticato chi sei e cosa pretendevi dalla tua vita, magari quando nel cuore sentivi quella meraviglia di irrequietezza adolescenziale.

Si può interrompere questo gioco? Si, è possibile, mica è Squid Game. Ma vi anticipo che è una faccenda assai complessa. Più avanzi e più ti convincono di quanto fosse sbagliato avere quelle specifiche aspirazioni: non si può campare di parole, per fare l’architetto ne devi mangiare di pane, per la start up devi chiedere un prestito che la banca non ti concederà mai. Sono diversi, dunque, i trucchi che utilizzano gli agenti dalle tute arancioni per farti desistere.

Anch’io stavo vincendo alla grande in questo gioco al massacro, però poi in auto mi è capitata una canzone che avevo completamente scordato che fa così:

“Voglio essere superato,
come una Bianchina dalla super auto
come la cantina dal tuo superattico,
come la mia rima quando fugge l’attimo.
Sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo
Superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene,
con le mani sporche fai le macchie nere
vola sulle scope come fan le streghe,
devi fare ciò che ti fa stare
devi fare ciò che ti fa stare bene”. (Caparezza- “Ti fa stare bene”)

Sembra scontato, ma un bug del gioco è proprio questo: fare ciò che ti fa stare bene, prendendoti i tuoi tempi e fregandotene degli altri. Non fermatevi alla banalità di questo concetto: ricordiamoci che le cose preziose spesso vengono nascoste in piena vista.