Io di speranza non morirò

Io di speranza non morirò

Allora c’era una ragazza con gli occhi blu mentre io avevo occhiali grandissimi. Io mi affannavo a raccontarle storie per piacerle ed inventavo eroi mai esistiti che conquistavano donne altrettanto mai esistite e orchi brutti e sporchi che vincevano contro l’eroe prima del colpo di scena. Lei, ad un certo punto perché in ogni storia c’è sempre un certo punto, mi sorrise bellissima ed io, aiutato da te perché ho sempre creduto in te, la baciai. Poi mi tiró uno schiaffo in faccia e si ruppero gli occhiali. Ma come amo dire, questa é un’altra storia.


E vorrei che anche quest’anno mi aiutassi, ma stavolta a riconquistare la mia vita, la nostra vita. Lo so che di te si muore, speranza, però è dura rinunciare anche a te. I treni non partono più, neanche i fischi dei vecchi si udiscono più. E certi pomeriggi meravigliosi sono uno spreco viverli soltanto alla finestra. E guarda quel pallone che rotola malinconicamente da solo, nonostante l’ernia gli darei un paio di calci per poi esultare come l’aereoplanino Montella. Chissà, forse i voli immaginari sono ancora consentiti.


Se ancora resisto su questo balcone malconcio, é perché mi tieni la mano e mi sussurri nell’orecchio che presto le bombe cesseranno di brillare e che ritorneremo a maledire il cielo azzurro in piena libertà.
E allora, io quasi quasi prendo il treno e vengo da te, stonando a più non posso, consapevole che mi, ci, salverai anche stavolta. Soprattutto ora che andrà tutto bene un cazzo, soprattutto ora che in televisione i virologi sono affamati di fama, soprattutto ora che il Natale ha smarrito un po’ di magia quasi come se fosse Giucas Casella, ma tu tienimi la mano. Non voglio smarrirti. Se in fondo sorrido quasi ogni giorno é perché spero. E perché qualche erba me la fumo ancora, ma soprattutto perché spero.

A Torella dei Lombardi la notte tra il primo e il due novembre

A Torella dei Lombardi la notte tra il primo e il due novembre

In questi giorni pieni di confusione, il nostro tentativo è quello di ripercorrere attraverso i nostri brevi interventi tutto ciò che riguarda il ritorno a casa. Lo facciamo per chi in questo periodo sarebbe dovuto ritornare a casa, per chi non può ritornare nella propria terra, ai propri affetti.

Il calendario segna giorni importanti, in cui negli anni precedenti ci siamo abbandonati ai nostri itinerari e alla nostra ritualità. La visita ai nostri cari estinti è uno di quei ritorni, un ritorno alle radici, un ritorno a quello che eravamo.

Anche dal punto di vista autobiografico l’uno e il due novembre hanno, da sempre, assunto un significato particolare per la mia famiglia che in quei giorni si ricongiunge non solo ai propri cari, ma anche con la propria terra d’origine. Sin dalla mia infanzia ricordo i viaggi per raggiungere Torella dei Lombardi e Villamaina come un qualcosa di fantastico in cui era possibile ascoltare le numerose storie degli adulti e degli anziani. Proprio in uno di questi viaggi ho ascoltato una storia legata alle origini contadine della mia famiglia, ma anche al folklore e magismo irpino. Con questa nuova rubrica dal nome zepponta il mio intento sarà quello di lanciare brevissimi racconti (che prendono spunto da episodi autobiografici) relativi all’Irpinia e alle sue storie passate. La zepponta nel linguaggio comune viene utilizzata per indicare il nome del nonno o della nonna che viene dato al nipote o alla nipote e/o rappresenta un pezzo di legno o carta che viene messo sotto un tavolo traballante. In entrambi i casi rappresenta una forma di congiunzione tra il nuovo e il vecchio, tra il presente e il passato. Non mi resta che augurarvi una buona lettura di questo brevissimo racconto.

«Io non l’ho mai fatto, però Angiulella una notte ci provò…»

Aveva così rotto l’insolito silenzio di quel due di novembre, mentre in macchina ci stavamo dirigendo come nostro solito a Torella dei Lombardi. L’aria fredda di quel mattino era rimasta a lungo e non aveva accennato a dissiparsi nonostante il sole fosse ormai alto in cielo; in quella macchina eravamo gli stessi che ogni anno intraprendevano quel viaggio ed era proprio la zia di nostro padre a tenere banco con aneddoti divertenti che relativi alla sua infanzia.

Quel giorno però, aveva uno sguardo insolitamente riflessivo e in un attimo di silenzio con quella breve frase era riuscita a catturare l’attenzione di tutti i presenti.

«… si dice che ogni anno la notte tra o’ primo e o’ due novembre tutti i morti tornano indietro, sulla terra, e riprendono quella che era a vita loro. Ogni anno in quei giorni loro stanno vicino a nui. Io non l’ho mai provato, ma Angiulella, l’amica mia na notte ci provò, li voleva vedere. Si diceva che per vederli si doveva mettere ‘na bacinella chiena chiena[1] i acqua e una candela accesa, poggiarla ncoppa o davanzale e guardarci dentro. Io non l’ho mai fatto, però Angiulella una notte ci provò. Dopo che ebbe preparato il tutto e che ebbe acceso la candela posò lo sguardo nella tiana e improvvisamente si materializzarono tutti, erano i muorti…erano lì che camminavano in processione. Pe’ primi stivino i creature, poi tutti gli altri e infine i muorti accisi[2]

Io non l’ho mai fatto, però Angiulella quella notta ci provò e li verivo».


[1] Piena, piena.

[2] Morti di morte violenta.