Futuro, significato e direzionalità

Futuro, significato e direzionalità

Il futuro è una dimensione ignota e indefinita per il significato stesso della parola. Anche le persone più convinte dei propri mezzi non possono sapere con certezza quello che il futuro gli prospetta e per quanto ci si possa sforzare a programmare e anticipare le proprie azioni, c’è sempre qualcosa di imprevisto che complica o facilita il tutto, nel migliore dei casi.

Avere l’idea di cos’è il futuro, tuttavia, non è cosa da tutti: ad esempio, i bambini e i ragazzi fino a 10-11 anni non hanno ancora la possibilità di prospettarselo. Il motivo è semplice, non hanno ancora raggiunto la maturità psicologica e cerebrale di formarsi un concetto di futuro plausibile, la loro idea di futuro è sempre impregnata di elementi fantastici che si mischiano con quelli reali e rendono il futuro un luogo mentale ancora “acerbo” per essere definibile come ignoto o indefinito.

Se vogliamo approfondire la faccenda è necessario fare riferimento al funzionamento mentale generale. Nella concezione che sono solito usare, il funzionamento della mente è suddivisibile in 12 competenze che vengono acquisite con lo sviluppo psichico e fisico individuale. Si parte dalla nascita ad imparare a focalizzare l’attenzione, a regolarla e a imparare le cose che il mondo ci fornisce. Si procede imparando a comprendere cosa significa “Affetto” e come lo si comunica, poi si impara a riconoscere nelle altre persone le stesse capacità mentali nostre e si comincia a rendersi conto di essere una persona singola e unica, differenziata dagli altri. In seguito si impara a intrattenere e mantenere delle relazioni e a regolare la propria autostima. Questo elenco di funzioni mentali culmina nella capacità di costruirsi e ricorrere a standard e ideali ispirati ad una propria idea di ciò che è giusto e ciò he è sbagliato e si arriva, finalmente, al titolo di questo articolo: concepire un significato della propria esistenza e, sulla sua base, porre una direzione alla propria vita.

Dare significato e direzionalità alla propria vita vuol dire concepire l’insieme degli eventi vissuti come connessi tra di loro secondo un senso coerente, non per forza logico, di sé stessi. Ciò è la base da cui partire per dare un senso alle scelte personali e implica la consapevolezza di appartenere al genere umano in quanto individui unici e con attenzione alle generazioni che verranno. Tutto questo fa capire il motivo per cui questa capacità mentale è considerata l’ultima della gerarchia.

Concepire il futuro, in definitiva, non è roba per principianti. Per avere un’idea buona di cos’è il futuro bisogna prima di tutto aver superato gli 11 anni in termini di funzionamento mentale, occorre raggiungere la maturità psicologica per tutte le funzioni della mente e tenere in considerazione sé stessi, il mondo e chi lo abiterà dopo di noi.

Ah, quasi dimenticavo. Come ogni cosa che compete la mente umana, non esistono due persone con lo stesso significato e la stessa direzionalità impostata alla propria vita e poche persone riescono a raggiungere una maturità psicologica adeguata. Per capirlo basta vedere di cosa siamo stati capaci rispetto al cambiamento climatico, all’aspettativa di vita del genere umano sulla Terra ed alla considerazione che la maggior parte di noi ha delle generazioni future. Ecco, diciamo che il futuro è la generazione a noi ventura e per valutarne la nostra capacità di prospettarsi il futuro basta riflettere sulla propria concezione delle generazioni a noi posteriori.

La costruzione del passato attraverso la memoria

La costruzione del passato attraverso la memoria

L’argomento di queste due settimane mi permette di parlare di quella funzione psicologica che sta alla base del nostro orientamento nel tempo: la memoria!

Di solito quando sentiamo parlare di memoria si pensa ai ricordi e, complici metafore fatte dai professori a scuola, la si immagina come un fosso archivio dentro cui conserviamo i nostri ricordi. E su per giù è così, solo che questo è uno dei tanti compiti che la memoria umana assolve e che, detto come fanno quelli bravi, si chiama MEMORIA A LUNGO TERMINE. Certo, negli archivi di casa o dell’ufficio le cose si immagazzinano seguendo un certo criterio (ordine alfabetico, numerico eccetera), la memoria a lungo termine invece usa delle “etichette emotive”: ogni evento della nostra vita viene associato ad una emozione da un’altra funzione della memoria che dirò dopo la quale, inoltre, associa altre caratteristiche specifiche di quell’evento (sia un luogo, una data o addirittura un odore); quando abbiamo bisogno di ricordare qualcosa, la stessa funzione della memoria che aveva fatto questa “etichettatura” mette insieme lo stato emotivo attuale con quello associato al ricordo e più corrisponde, più viene frequentemente sentita quella specifica emozione intensamente, più verranno ricordati i dettagli del ricordo stesso. Questo processo si chiama RIEVOCAZIONE di un ricordo.
Capita spesso di sentire di aver dimenticato qualcosa, da un evento del passato remoto a cosa abbiamo mangiato ieri; questo succede per due motivi principali: o perché non abbiamo prestato molta attenzione a quello che abbiamo visto o fatto (o mangiato), oppure perché c’è qualcosa che non possiamo ricordare perché ne soffriremmo per cui l’emozione viene staccata dall’evento e noi ce ne dimentichiamo o, come dicono quelli bravi, subentra un processo di OBLIO (che per capirai non è consapevole ma avviene al di là della nostra volontà).
La memoria a lungo termine, come detto, non è l’unica memoria esistente; ne esisterebbe un’altra secondo alcuni studiosi, un altro paio secondo altri. Ciò su cui tutti vanno d’accordo è dire quello a cui servono e io, per comodità, mi rifaccio al modello di due tipi di memoria: quella a lungo termine e quella DI LAVORO. Quest’ultima è proprio quella che ho accennato poco fa: si occupa di mettere insieme tutte le informazioni che noi, attraverso i 5 sensi, catturiamo dal mondo esterno e, come già detto, associa all’emozione che si sta provando in quel preciso momento. Il modo con cui avviene questo processo meriterebbe un articolo a parte, mi limito a dire che lo fa dividendo le informazioni in base a che siano pensieri o azioni, che siano eventi reali o immaginati e su che tipo di senso (vista udito eccetera) viene usato. Inoltre, la memoria di lavoro ha un secondo compito, quello di mantenere in memoria, appunto, delle informazioni che ci servono per un tempo limitato, tipo ricordare un numero di telefono mentre lo si sta scrivendo; in questi casi non serve associare il ricordo ad una emozione e quel ricordo svanisce in breve tempo, da cui il nome MEMORIA A BREVE TERMINE.
La memoria di lavoro elabora tutto quello che percepiamo, e quando dico tutto intendo PROPRIO TUTTO! In teoria saremmo in grado di ricordare ogni secondo del nostro passato, e forse gli esseri umani del 10000 dopo cristo saranno in grado di farlo; oggi invece noi ricordiamo solo quello a cui diamo un significato personale e lo rievochiamo soltanto quando ci serve veramente, ed è per questo che a volte ricordiamo delle cose mentre altre volte c’è le dimentichiamo: dipende dall’emozione di fondo del momento, cose di cui non abbiamo il controllo cosciente. La questione emotiva, poi, ci fa capire anche perché capita di ricordare cose senza volerlo: dipende dall’emozione provata al momento della rievocazione che “attiva” un ricordo associato a quell’emozione. E questo vale anche per quelle volte in cui un odore, una musica o la vista di un paesaggio rievocano ricordi senza che noi lo abbiamo desiderato.
Il passato individuale, quindi, non è un archivio fatto di informazioni estraibili a proprio piacimento; i nostri ricordi, dunque il nostro passato, prossimo e remoto, sono contenuti tutti all’interno di una rete in cui i ricordi sono custoditi nei nodi e ciascun nodo e collegato ad un altro da un filo dentro il quale ci sono emozioni associate e particolari comuni. Da come abbiamo costruito il nostro passato, dipende la costruzione del presente e del futuro.