Quando il circo finirà

Quando il circo finirà

Quando l’universo finirà? Siamo stati almeno una volta tormentati da questa domanda esistenziale. Eppure in questi giorni mi sono sorpreso a riflettere su un altro aspetto che, al momento, non mi preoccupa di meno: e il pallone…quando finirà?

Da un po’ ormai scruto le cronache della politica calcistica nel tentativo di mettere insieme i pezzi e cercare di rispondere alla domanda di cui sopra. Il tentativo di creare la SuperLega, i movimenti di mercato conditi da cifre esorbitanti, le varie proposte di riforma accelerate dalla pandemia…tutto ciò non è nient’altro che la spia di una fase di passaggio che però potrebbe seriamente minare le fondamenta dello sport che tanto amiamo.

I calciatori vanno sempre più spesso via a parametro zero, approfittando della gratuità del loro cartellino per guadagnare di più e meglio nella società di destinazione. Emblematici i casi di Donnarumma, Messi e Chalanoğlu: proprio ieri sarebbe stato rivelato l’onorario del fuoriclasse argentino, che ammonterebbe a 110 milioni di euro complessivi in tre anni, di cui una parte verrà versata addirittura in criptovalute. Sembra quasi che il concetto statunitense di “free agent” stia prendendo sempre più piede.

La domanda è: le competizioni sportive odierne sono al passo con i cambiamenti epocali in atto? In termini economici, no. Il paradosso è che, se non si decide per un ridimensionamento, i premi in denaro per la vittoria della Champions League, ad esempio, non riuscirebbero nemmeno più a coprire il monte ingaggio di un anno, facendo scoppiare una bolla che già ora è mossa da fili precari.

Da qui l’idea insana della SuperLega ad inviti, promesse di partite spettacolari a tutte le ore, tutti i giorni, tentativo estremo e disperato di avvicinare un pubblico più giovane perennemente annoiato, più attratto dalla dimensione dei videogiochi che da quella dello stadio (ormai vuoto). A breve i costi del circo potrebbero essere talmente tanto elevati da rendere nullo il significato delle sue stesse competizioni storiche.

E le nazionali? Ormai sono un fastidio, richiamano un certo fascino ma non generano introiti al pari di un dream team come quello parigino. Sono convinto che se non fosse per una certa tradizione storica sarebbero già scomparse. Da qui la nuova proposta insensata: il mondiale ogni due anni. E degli europei? Cosa ne facciamo? Una volta approvato a suon di petroldollari il mondiale invernale, onestamente non so più cosa aspettarmi.

In molti sembrano entusiasti, tutto sembra essere macellato sull’altare sacro del progresso. Le tecnologie già stanno tracciando un solco profondo tra il calcio dell’élite e quello delle serie minori. Abbiamo già un calcio pre-var ed uno post-var, avremmo presto – in men che non si dica – la prossima innovazione da assimilare senza fare troppe storie per non rischiare di passare per retrogradi.

Julian Nagelsmann , il giovane e trendy allenatore del Bayern, cresciuto a pane e Championship Manager, ha sparato l’ultima: un auricolare che consenta al capitano di parlare con l’allenatore tramite ricetrasmittente. In pieno stile football americano. In effetti…se ne sentiva l’esigenza. Direi che questo è veramente un medioevo…più smart e più fashion.

Mentre sono seduto con il mio pacco di pop-corn a godere di questi scenari apocalittici, il Club Bruges (o Brugge, non si offendano i fiamminghi) mi regala soddisfazione: fermato il PSG del terzetto Messi-Neymar-Mbappè nell’esordio in Champions League. Miglior giocatore? Il giovane Charles De Kaetelare, nuovo talento del calcio belga. Tiè!

Il pallone se ne frega, guarda avanti e non fa sconti a nessuno. Il calcio, invece, ahimè, è destinato a perire molto presto, vittima delle sue stesse ambizioni e della sua voglia di sembrare sempre più uno sport da mero consumo. Chiunque lo conosce sa che, con tutto il rispetto, non sarà mai il baseball.

Cosa ci rimane? Bilancio di una folle estate calcistica

Cosa ci rimane? Bilancio di una folle estate calcistica

Settembre incalza, la sbornia dell’Europeo è un lontano ricordo, la nuova normalità calcistica ci ripropone pensieri rituali che ormai fanno parte della consuetudine di ogni appassionato.

Le ultime amichevoli pre-campionato ci hanno già fatto assaporare qualcosa, la Serie A è già iniziata, la Nazionale è tornata con i piedi per terra dopo una fantastica sbornia di emozioni sbattendo contro la cortina di ferro bulgara sapientemente srotolata in quel di Firenze.

Il valzer degli allenatori si è reso protagonista in un campionato italiano alle prese con tempi di ristrettezze economiche, l’Inter si ridimensiona, il Milan perde – a zero- dei pezzi pregiati, la Juve, attendista, preferisce non strafare puntando sull’usato garantito di Max Allegri, Roma e Lazio sull’estro e la verve di due guru come Mourinho e Sarri.

La sessione di mercato è fortunatamente finita. La premiata ditta Cash&Goals rappresentata dal marchio #CR7 sbaracca dall’Italia delocalizzando in porti già noti e più graditi. Ho la sensazione che un “Grazzie” finale non basterà a spazzare via quella che per me è, ormai, una certezza: la Juventus ha perso parecchio sia in termini economici che d’immagine, come del resto tutta la nostra Serie A, azzoppata dalle partenze di Donnarumma, Lukaku, De Paul, Hakimi e, molto probabilmente…Frank Kessie, pronto a cedere alle soavi sirene provenienti da Liverpool, sponda Reds.

Assistiamo al ritorno dell’eterna promessa Pellegri, al nobile e poetico calcio di provincia dell’Empoli, all’avventura romantica di un Franck Ribery prossimo sposo di una Salernitana che non vuole arrendersi alla prospettiva di retrocedere senza aver lasciato il segno. E poi il Psg degli emiri, una squadra ad uso e consumo dei ragazzini che giocano ad Ultimate Team. Donnarumma, Messi, Ramos…per fortuna il calcio è uno sport che va sempre giocato sul campo. Per la serie…ci vediamo a maggio.

Bandiere non ne esistono più, così come è sparita la riconoscenza e la professionalità. I prezzi delle curve rasentano ormai il vertiginoso, allo stadio si accede solo grazie ad una tessera verde, risibile almeno quanto la vecchia “tessera del tifoso” (a proposito…ve la ricordate?). Cosa ci rimane? Un’asta fantacalcistica da svolgere tra mille incognite, sono già due settimane che non trovo pace non sapendo chi sia il secondo portiere del Bologna, né se Agudelo esploderà come merita (giudizio strettamente personale). Ibrahimovic lo prendo o non lo prendo? Fatemi sapere…

Poi, le nuove bellissime maglie dell’Avellino, che ricalcano il modello Ajax degli anni 70, rimasti nella storia della provincia per l’approdo in Serie A, speriamo portino fortuna in una città sempre più irriconoscibile e disamorata da ogni punto di vista. E poi…la storia fantasmagorica di Messias Junior, dai campionati dilettantistici alla ribalta di San Siro in pochi anni. Un barlume di normalità in un mondo sempre più tristemente patinato e scontato nei suoi contenuti.

Ci rimane poco. I tempi sono quelli che sono. Ma ho come la sensazione che, come ogni anno sempre più ciecamente innamorati, questo poco ce lo faremo bastare. Bentornato campionato.